Genuinamente Sukuna non si aspettava una risposta del genere. Si voltò verso di lui, stupito; ma quando lo vide irrigidire le spalle, probabilmente temendo un altro schiaffo, sentì un tremendo peso al cuore che non provava da anni.
Ogni problema passò in secondo piano. Fece per allungare una mano, ma la bloccò a mezz'aria: sapeva quanto odiava essere toccato.
"Ti prego" mormorò. Da quanto tempo non pregava qualcuno? Ma per lui era disposto a fare di tutto. Anche supplicare?
"Lasciamelo fare. L'ultima volta che ti ho toccato... Non voglio che rimani con quel ricordo".
Vide chiaramente il lampo di spavento comparire negli occhi del suo amico. Glielo si leggeva in faccia: stava combattendo una tremenda lotta interna fra il disagio e il terrore di non accontentare il suo Sukuna.
Aspettò quasi un minuto, prima di vederlo annuire incerto. Avvicinò piano il palmo alla sua nuca, e gli accarezzò la spalla.
"Sono solo un po' teso" cercò di giustificarsi. Avrebbe chiesto scusa, se fosse stato capace.
Ma la fronte di Ume era tornata di nuovo alla normalità: la piccola rughetta fra le sopracciglia era sparita, e aveva alzato il mento verso l'alto. Era molto contento.
Come al solito, fra loro non c'era bisogno di tante parole.



Anche Gojo Satoru era una persona difficile da decifrare.
Per lavoro era obbligato a mascherare le proprie emozioni per mentire e crearne di nuove, a seconda del copione. Aveva adattato la sua personalità a decine di personaggi differenti, tanto da arrivare al punto di non capire più quale fosse veramente la sua originaria - non che la cosa gli importasse, in fondo; essere fedele a se stesso era qualcosa a cui aveva rinunciato tanti anni prima.

Al contrario, Geto Suguru era l'uomo più facile da comprendere del mondo intero.
Ce ne volevano, di persone così: quando era triste, sembrava triste; quando era felice, sembrava felice. Chiaro, semplice, lineare.
Per quel motivo, il suo ragazzo aveva capito benissimo che qualcosa non andava.
Certo, anche senza quell'espressione corrucciata Satoru avrebbe capito benissimo il suo stato d'animo: il bruciore di stomaco, la mano fissa davanti alla bocca, lo sguardo perso verso il basso significavano solo guai in vista.

Avevano appena finito di fare sesso, che Geto si era già alzato dal letto. Altro segno inconfutabile che qualcosa non andava; Gojo si drizzò a sedere, e si sistemò la fascia intorno al ciuffo.
"Se non mi dici cosa ti preoccupa ti lancio dal balcone" sentenziò, senza guardarlo in faccia. "Non sopporterei di diventare vedovo ancora prima di sposarmi".
Geto si pietrificò, un brivido gelido lungo la schiena nuda. Tentò di dissimulare un filo di buonumore.
"Wow, una proposta di matrimonio? Devo aspettarmi l'anello...?" scherzò. Il silenzio che ne seguì non fece altro che raggelargli ancora di più il sangue nelle vene.
"Su, Satoru. Che c'è che non dovrebbe andare?" rispose, raggiungendo la finestra per accendersi una sigaretta. "Non ho detto-"
"Ah, così mi offendi". Gojo si decise ad alzarsi, e lo raggiunse, cingendogli la vita. Appoggiò il mento sulla sua spalla. "Pensi che non mi accorga quando sei preoccupato? Dimmi tutto" la presa si fece più soffocante "o col cazzo che ti faccio uscire da qua".



"Sempre in ritardo".

Nanami aveva perso il conto delle volte in cui si era chiesto perché si fosse invischiato in quella situazione.
Ogni volta la risposta sembrava la stessa: la paga era più che buona, e aveva già lavorato con Sukuna in passato; ma perché quell'uomo si ostinasse a circondarsi di incapaci, rimaneva per lui un mistero inspiegabile.
Geto Suguru, un teppistello di quartiere che si era fatto strada con qualche rissa e rapina a mano armata. Segni particolari: i continui lamenti e il perenne ritardo.
Choso, invece, non era niente male; peccato che assumere lui significava portarsi a casa il pacchetto intero dei suoi due fratelli, inutili bamboccioni incapaci di stare da soli. Gli sembrava di essere diventato un babysitter, cazzo.

E poi c'era Uraume.
Uraume era l'essere più inspiegabile che si fosse mai trovato davanti. A primo acchito sembrava un ragazzino viziato, che avrebbe avuto schifo pure a pulirsi il culo; eppure, in più di un'occasione aveva dimostrato una freddezza e una capacità d'agire che avrebbero fatto invidia a un serial killer. O a una spia del KGB. In effetti, ora che lo guardava bene metteva davvero i brividi.
Insomma, la banda sembrava davvero un insieme di scoppiati raffazzonato alla bell'e meglio; se non fosse stato per Sukuna, non avrebbe creduto in loro nemmeno per un minuto.
Ma sapeva bene chi era il famigerato Ryomen, e cosa fosse capace di fare. Anche se, quella volta, sembrava essersi intestardito a ficcarsi in un casino più grande di lui.
Sbuffò, allungando le gambe. Era una buona mezz'ora che stava in quella scomodissima posizione, appoggiato al muro di quell'appartamento sporco e polveroso. I tre fratelli erano intenti a discutere fitti fitti in un dialetto che non capiva, Uraume e Sukuna erano ancora in macchina ad aspettare chissà chi, e... Beh, e ovviamente Geto era in ritardo.
frenò l'impulso di aprire il portatile per portarsi avanti con il lavoro. No, meglio non essere tracciabile, in quelle situazioni.

Just wanna smash his faceWhere stories live. Discover now