37. Cuori infranti

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NdA

Ok, dovevo pubblicare ieri, ma sono stati due giorni molto pesanti: ho ricominciato l'Università, ma chi me l'ha fatto fare, ed é ancora peggio di quanto mi ricordassi.
Non ascoltatemi, studiate se vi piace. Mi lamento, ma poi sono contenta.
Beh, ecco il capitolo. Sono stata molto male quando l'ho scritto, mi ha davvero spezzato il cuore. Fazzoletti? Pronti?
Ciauuuu

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Uraume, come al solito, sapeva benissimo cosa doveva fare. Il suo cervello si resettó sul compito attuale, e cancellò completamente ogni altro pensiero superfluo.
Corse verso il furgone, la mano stretta al calcio della pistola. Teneva d'occhio sia il suo capo che ogni eventuale punto di fuga; alzò la pistola, e sparò agli pneumatici.

Il boato dello scoppio raggiunse come un'onda l'intero interno del veicolo. La lamiera tremó.
Sukuna teneva gli occhi incollati al portellone posteriore. 'Apriti, dai' pregó, sperando con tutto il cuore che finisse in fretta. Normalmente gli piaceva fare un po' di casino, ma quella sera proprio non aveva testa.... Per di più, vedere Uraume scoprirsi a quel modo gli provocava sempre un'ansia assurda.
Ma il suo assistente era veloce. Dopo i colpi si era rifugiato di nuovo al riparo dietro al muro portante del capannone; ora attendeva indicazioni, la pistola puntata al parabrezza.
Geto e Choso lo raggiunsero pochi istanti dopo. "Non sta uscendo nessuno" constatò il primo, digrignando i denti. "Siamo sicuri che..."
"Esci allo scoperto" lo interruppe Uraume, secco. "Fai da cavia, e lo scopriremo".
Geto chiuse gli occhi. "Sei ironico, vero...?"

Sukuna interruppe il loro sproloquio. "Andiamo, o adesso o mai più".
Serrarono il furgone con un fuoco incrociato. Raggiunsero lo sportello in breve tempo, fermandosi solo quando lo avevano abbastanza crivellato di colpi.
"Saranno morti" constatò Geto, aprendo di scatto la maniglia. Uno sparo gli ferì la spalla, facendogli lanciare un grido di dolore.
In un attimo, Choso svuotò il caricatore della mitraglietta nello spiraglio.
"...Ora sono morti" lo corresse. Spalancò la lamiera con un calcio, la canna puntata verso il buio.

La luce del faretto del parcheggio gli svelò l'interno.
Un uomo giaceva sul pavimento del mezzo, le braccia e le gambe piegate in modo innaturale. Era crepato, senza ombra di dubbio.
Il secondo - cazzo, Uraume ci aveva visto giusto anche quella volta - si teneva una coscia fra le mani, una maschera di dolore dipinta in faccia.

Sukuna si voltò, dandogli le spalle: farsi riconoscere non era certo una buona idea.
Con un cenno del capo ordinò ai due uomini di occuparsi di lui, e si allontanò verso la sua auto.
"Quello è Jogo" lo aggiornò Uraume, trotterellandogli dietro. Sukuna non si chiese nemmeno come facesse a saperlo. "Mi occuperò di farlo parlare per rintracciare Mahito. A quanto pare non c'era, stasera".
"Mmh. E vedi di capire come collegarlo a Yoshinobu". Sukuna si accese una sigaretta e si slacciò il primo bottone della camicia, prendendo finalmente un po' di aria. Si appoggiò con il gomito al portellone dell'auto.
"Sono contento che abbiamo finito in fretta".
L'assistente lanciò un'occhiata alla sua agenda. "Sì, anche perché per mezzanotte dovevamo aver finito".
L'uomo alzò un sopracciglio.
"Perché, scusa...?"






"Attenta a non cadere".
Le guance di Y/N si scaldarono improvvisamente. Riconobbe immediatamente la voce, e un sorriso stanco le comparve sulle labbra.
"Inumaki. Che ci fai qui?"
Ci provò con tutta se stessa, davvero. Fece del suo meglio per sembrare contenta... Ma la delusione le si leggeva in faccia.
Toge se ne accorse subito. Sentì il cuore stringersi nel petto fino a fargli male, e sospirò.
"Posso?" chiese, indicando il posto accanto a lei. La ragazza si spostò di lato, invitandolo a sedersi.
"Ma certo. Tanto sono qua da sola".
Toge si accovacciò, sfilando una sigaretta dalla giacca. Le porse il pacchetto aperto.
Lasciò che il rumore dell'accendino riempisse l'aria della sera. Dopo qualche secondo, si decise a parlare.
"Vieni spesso qui?"
Y/N annuí, il mento appoggiato al ginocchio. "Soprattutto quando non voglio pensare".
"Mmh". Il ragazzo lasciò che il fumo gli scivolasse via dalle labbra. Che strano: quella sera sembrava lui quello più propenso a parlare. Era la prima volta che gli succedeva una cosa del genere.
Massí, forse era meglio così. Dopotutto, il silenzio era il suo habitat naturale.

Just wanna smash his faceWhere stories live. Discover now