Capitolo XXXXI

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Corsi a perdifiato. Faticavo a respirare sott'acqua ed il mio ilu pareva annaspare e perdere velocità ad ogni svolta rapida e ad ogni acrobazia in cui lo lanciavo per evitare i proiettili. Il mio cuore esplodeva, affannato nel tentativo di pompare sangue in tutto il corpo teso e contratto, contratto e steso, ritmicamente e ben al di sopra della sua resistenza fisica. La gente del cielo mi era addosso: tre sommergibili veloci, due che non riuscivo a vedere nell'oceano intorno a me, ma che ero sicuro fossero usciti dalla nave ed uno, armato più del nostro intero esercito, alle mie calcagna, che non mi lasciava per un secondo. I colpi della nave alle mie spalle mi sfioravano, si perdevano nell'oceano intorno a me, ma passando così vicini da farmi alzare i peli delle braccia. Cercai di accelerare, ma l'ilu era stanco, entrambi eravamo affannati. Perdevo terreno sulla nave. Lanciai alle mie spalle il rilevatore di posizione che ancora tenevo stretto, più per liberare il mio animale del peso che perché mi desse problemi portarlo, e mi strinsi contro la schiena dell'ilu, implorandolo sottovoce perché andasse più veloce. Un proiettile mi fischiò accanto all'orecchio, aprendo un tunnel stretto nell'acqua intorno a me che mi fece sobbalzare. Spalancai la bocca per la sorpresa. Imbarcai acqua. Se avessi continuato a correre sarei morto annegato. Gettai un'occhiata alle mie spalle: la nave ricopriva interamente la mia visuale, così vicina da permettermi di distinguere gli umani che la pilotavano. Gettai un'occhiata sotto l'ilu: in profondità, molto più a fondo di quanto non mi fossi mai spinto, c'era una foresta di piante larghe. Parevano delle campane, rivolte con il dorso alla superficie. Riconobbi che potevano essere la mia ultima possibilità di sopravvivere. Ordinai la picchiata all'ilu. Non era per nulla come volare: su un ikran, quando ti gettavi in avanti e cominciavi la discesa, sentivi l'aria intorno a te che cambiava densità, il fischio intorno alle tue orecchie che cambiava musicalità, il vento al tuo fianco che sfrecciava più veloce. In acqua pareva quasi di muoversi ancora più lentamente. Malgrado la lentezza, malgrado l'affanno, per qualche secondo la nave mi perse. La gente del cielo avanzò, mentre io sparivo verso il fondale. Quando riuscirono a fermare e girare il largo sottomarino per rincorrermi avevo già raggiunto la foresta di piante. Mi fiondai sotto i loro cappucci rosati e presi a sfrecciare fra quelli, pregando che non mi raggiungessero. Continuavo a guardarmi intorno, gli occhi che schizzavano da una parte all'altra, disperati, per trovare un luogo dove nascondermi e riprendere fiato. I polmoni mi esplodevano, il cuore mi aveva costretto a rallentare la corsa. Gettai un'occhiata alla mia destra ed arrestai di botto l'ilu: i piedi di Tuk sbattevano nell'acqua per portarla all'interno della campana rosata della pianta. Immediatamente mi staccai dall'animale, ordinandogli di continuare. Riuscii ad infilarmi dietro il fusto di una delle piante appena prima che i fari del sottomarino illuminassero il fondale. Strizzai gli occhi, terrorizzato all'idea di essere visto, mentre la nave supera il mio nascondiglio, correndo dietro all'ilu. Appena il sottomarino passò oltre mi mossi, nuotando il più rapidamente possibile fino alla campana sotto cui avevo visto nascondersi Tuk. Percorsi il fusto in salita, come avevo visto fare a mia sorella. Non riuscivo più a respirare. Il cuore mi esplodeva. Non avevo più aria nei polmoni. Morirò annegato qui. Ricordo distintamente cosa pensai. La vista mi si offuscò, mentre battevo i piedi per risalire. La testa mi martellava ed intorno agli occhi cominciavo ad avere una macchia nera. Ad ogni falcata che facevo per avanzare nell'acqua la macchia si allargava. Merda. Raggiunsi la cima della campana e la superficie dell'acqua si allungò e si spezzò contro la mia testa. Ero uscito dall'acqua, c'era dell'aria intorno a me. Inspirai. I polmoni mi si riempirono. Annaspai di nuovo e di nuovo per riempirmi il petto dell'aria che mi era mancata fino ad ora. Aprii gli occhi e l'aria bruciò sulle mie ciglia. Riconobbi immediatamente Tuk davanti a me, Tsyreia appena alle sue spalle. "Teyam!" Come d'istinto Tuk strillò, si lanciò al mio collo. "Shh! Non possiamo farci sentire, Tuk!" Tsyreia intervenne immediatamente, mentre io ricambiavo l'abbraccio di mia sorella, annaspando ancora in cerca d'aria. Tsyreia mi gettò un'occhiata piena di significato, appena si rese conto che Tuk aveva la testa affondata nel mio collo. Con gli occhi azzurri mi chiedeva cosa avremmo dovuto fare. "Aspettiamo che se ne vadano tutti i sottomarini" Dissi, la voce ferma, come avessi davvero saputo cosa sarebbe stato meglio fare. "Poi andiamo al villaggio: dobbiamo avvisare Jake che la gente del cielo ammazza i Tulkun" Tsyreia annuì, Tuk si strinse contro di me.

Aspettammo quella che parve una vita, in silenzio. Solamente l'acqua che turbinava intorno a noi, smossa dai motori dei sottomarini, scandiva i secondi. Tuk tratteneva il fiato, fra le mie braccia, Tsyreia mi gettava occhiate insicure, cercando di capire dal mio sguardo cosa avremmo dovuto fare. Io non riuscivo a far altro che pensare ad Aonung, a Kiri, a Lo'ak: avevano trovato riparo? Erano riusciti a sfuggire ai sottomarini? Erano al sicuro? Erano tutto il mio mondo. Sapevo che non sarei mai riuscito a perdonarmelo, se fosse successo loro qualcosa. Trattenevo il respiro, espirando lentamente solo quando i polmoni stanchi mi costringevano a farlo, cullavo Tuk, mi tenevo a galla battendo piano le gambe sott'acqua. Dopo cinque minuti (che parvero un'ora) non riuscii più a stare fermo lì ad aspettare. Misi Tuk in braccio a Tsyreia: "Aspettate qui, io controllo com'è la situazione fuori" Niente nella mia voce tradiva la preoccupazione che mi stringeva lo stomaco, la paura che mi faceva tremare appena le mani. Con il tempo, allontanandomi da mio padre, ero in qualche modo diventato sempre più come lui: ogni difficoltà, ogni pericolo, ogni paura, tutto era diventato solo una situazione da risolvere, un problema da gestire. Baciai Tuk sulla fronte e mi immersi. 

Nuotai con cautela, come se dai sottomarini avessero potuto sentire il rumore delle mie braccia che smuovevano l'acqua o dell'aria che esalava lentamente dai miei polmoni. Scrutavo il fondale intorno a me, cercando gli altri. Aonung. Kiri. Lo'ak. Pregavo Eywa che ce l'avessero fatta. Dietro di me, sopra di me, attorno a me non si vedevano sottomarini e perfino la nave da cui erano scesi era parecchio distante ormai. Sembrava stesse ritornando a largo. Avanzai fra le piante, disperato. Aonung? Kiri? Lo'ak? Mi pareva di piangere e supplicare il mare di portarli da me, senza versare una lacrima o aprire la bocca. Aonung? Kiri? Lo'ak. Lo vidi sporgersi da una delle campane, testa avanti. Non aveva alcuna prudenza, non aveva alcuna cura di non essere visto: avrei riconosciuto mio fratello solo da questo. Tirai un sospiro di sollievo, nuotai fino alla campana dov'era nascosto. Quando gli poggiai la mano sulla spalla sobbalzò, terrorizzato. Risi. Lo'ak finalmente mi riconobbe, tirò visibilmente un sospiro di sollievo anche lui, e mi condusse sotto la sua campana. Lì c'era Kiri. Mi fiondai fra le sue braccia con il cuore che finalmente rallentava. Kiri mi spiegò subito che Aonung si trovava in una campana piú avanti con Roxto perché aveva distratto il sottomarino affinché loro potessero nascondersi. Fui fiero di lui, sorrisi. Per questa volta l'avevamo scampata.

Tornammo a riva tutti insieme, tenendoci bassi sul fondale per evitare di essere visti da nuove navi, da nuovi sottomarini. Sulla spiaggia, Kiri stramazzò a terra, esausta, Lo'ak si stese accanto a lei per riprendere fiato. Tuk era avvinghiata al mio collo, ancora tremante ed ansimante. Aonung mi stringeva, il braccio intorno alle spalle, cercava di confortarmi. Tsyreia carezzava i capelli di Lo'ak, lo sguardo nel vuoto: "Cosa facciamo?" Chiese d'improvviso. La sua voce tremava. Kiri alzò lo sguardo su di me, imitata da Lo'ak e Rotxo. Tuk affondò il viso nel mio collo ed Aonung si voltò per guardarmi. Aspettavano una risposta da me. Deglutii. "Dobbiamo avvisare Jake." Mi parve di averlo già detto, ma lo ripetei comunque. "Se la gente del cielo caccia i Tulkun è perché sanno che ci siamo rifugiati qui." Gettai un'occhiata a Kiri, senza neppure rendermene conto. Sapevo che se la gente del cielo ci aveva trovato era stata colpa della spedizione di Norm e gli altri, quella che avevano fatto per far svegliare Kiri dal suo coma. Mia sorella abbassò lo sguardo. Solo allora mi resi conto di starla fissando e distolsi lo sguardo. "Dobbiamo muoverci." Lo'ak si alzò di scatto, si mise davanti a me. Fremeva di urgenza, di preoccupazione. "Papà non ci crederà se sarò io a dirglielo, Teyam" Mi parlò come all'orecchio e capii immediatamente dove voleva andare a parare. Mi si gelò il sangue. "Glielo dirà Kiri, allora" Risposi. Lo'ak scosse solo la testa: "Lo sai che non è la stessa cosa" Certo che lo sapevo. Jake non avrebbe capito la gravità della situazione, se fossero stati Kiri o Lo'ak a descrivergliela. Avrebbe capito che qualcosa di brutto stava per succedere, ma non avrebbe capito che stava già succedendo. Gli avrebbe creduto, ma non avrebbe agito con la stessa urgenza, semplicemente perché sapeva che Lo'ak non era ancora pronto per vedere le cose con ottica militare o strategica e Kiri non era mai stata addestrata per farlo. Dovevo essere io a dirglielo. "Devi farlo tu." Kiri alzò di nuovo lo sguardo su di me. "Devi avvertirlo che non abbiamo molto tempo"

THE ELDEST -atwow con gli occhi di Neteyam Sully-Where stories live. Discover now