Gard Biology Genetics Group

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Aveva percorso l'ultimo chilometro e frenato bruscamente davanti all'entrata della GBGG. Era una struttura a due piani simile ad un capannone industriale, più un sotterraneo in cui aveva sempre avuto paura ad entrare. Cercò freneticamente le chiavi e corse ad aprire. Era buio e i fari ad energia solare non rilevarono il movimento e non si accesero. Miriam imprecava guardandosi le spalle, l'agitazione che lo strano essere le aveva lasciato non sembrava scemare, le mani le tremavano, sentiva un oppressione in petto e le battevano le tempie, e in più pensava al povero gatto ancora in auto.

Le caddero le chiavi, si chinò a raccoglierle, sentì un fruscio fra i rami degli alberi, leccio, pini e  quercie secolari , che circondavano buona parte del laboratorio. Si appiattì con la schiena contro la porta e fissò l'oscurità trattenendo il respiro, le chiavi ancora in mano, non riusciva a vederle cercò di riconoscerla al tatto fra le altre agganciate tutte allo stesso portachiavi. Le gambe le cominciarono a tremare.

Ascoltava ogni rumore che sentiva intorno a se, di nuovo sentì un fruscio di fronde, questa volta alla sua destra al lato nord della struttura.
Girò la testa di scatto ma non riuscì a vedere nulla, poi vide quella che le parve una civetta volare via, non fece in tempo a vederla sparire nell'oscurità che un nuovo rumore più vicino si manifestò davanti a se. Al di là dell'ampio piazzale asfaltato di fronte alla GBGG vi era una zona boschiva piuttosto fitta. Miriam cercava di scorgere qualche minimo movimento ma tutto sembrava immobile se non fosse stato per le cime degli alberi che dondolavano cullandosi sfiorati dal vento.

Poi lo sentì. Aveva emesso quel verso stridulo e roco, brevissimo come un colpo di clacson, cercò ancora fra la boscaglia e infine lo vide. La luna proiettava strane iridescenze sulle piume scure, e baluginava nelle zone di pelle bianca fra le striature di pece, ritto a gambe larghe su un ramo perfettamente in equilibrio, i polpacci spigolosi e le caviglie secche, le braccia alate chiuse in petto, il mento unico punto perfettamente illuminato, riusciva a scorgere un riflesso rossastro degli occhi, strano come sembrasse cambiassero colore dal nero al verde giallastro e quel rosso di fiamma.

Era lì e voleva che lei lo sapesse che era lì, quel verso emesso era stato un richiamo. Miriam istintivamente si portò la mano alla spalla ferita dove ancora sentiva la fitta del morso. Cercò di inserire la chiave senza voltarsi tastando con le altre dita della stessa mano che teneva la chiave. Finalmente riuscì ad infilarla nella serratura. L'essere si lasciò cadere come una statua e Miriam istintivamente gridò e corse in avanti per qualche metro, lo vide girare vorticosamente senza far nessuno accenno di volo cadendo giù a piombo. Pensò che si sarebbe sfracellato al suolo ma vide la spinta delle ali all'ultimo istante, non riuscì a muovere un muscolo e sentì sferzare la pelle quando lui le sfrecciò di lato per poi volare via.

Miriam corse indietro verso l'auto per recuperare lo scatolone in cui era il gatto e quasi cadde quando incespicò sul gradino dell'entrata. Quando fu dentro chiuse la porta e cercò di riprendere fiato. Poi si mosse velocemente all'interno compiendo gesti consueti come l'accensione dei neon tramite il contatore dietro il pannello, e il controllo visivo della strumentazione, una rapida scorsa alle cavie e infine la disinfezione del piano in acciaio. Si mise tutto a disposizione vicino al tavolo, il carrello con i bisturi, le pinze la sega e tutti gli strumenti per operare, recuperò da uno dei cassetti garze e bendaggi, preparò il palo con il gancio e la fisiologica per la flebo. Quando credette di avere tutto a disposizione
mise la scatola con il gatto sul tavolo e cominciò a tagliare il cartone in modo da non dover tirare di peso fuori il gatto.
Mise la flebo con un ago cannula sulla zampetta davanti e la fermò con abbondanti giri di nastro, gli fece una piccola anestesia per poter lavorare meglio, steccò entrambe le gambe e cercò di ridurre la frattura del bacino. Forse non sarebbe più riuscito a camminare con le zampe posteriori, sempre che fosse sopravvissuto. Con una siringa aggiunse un antibiotico alla fisiologica.

Quando ebbe finito portò lo scatolone con il gatto nell'unica gabbia libera del laboratorio, spingendo con il piede il trespolo della flebo.
«Bene piccolo, quanto potevo fare per te l'ho fatto. Ora penserò alle mie di ferite.»
Prese uno specchietto e guardò il lato dove il becco di quell'essere si era fiondato. Un livido a forma di smile segnava tutto il retro della spalla. Miriam tolse la canotta e sfilò la bratellina del reggiseno per poter vedere meglio. La scienziata che era in lei le fece fare passi precisi per documentare tutto.

Accese il faretto su braccio mobile e indirizzò la luce verso la spalla. Mise un nastro di carta millimetrato per segnare la distanza massima fra i segni dei denti e fece le foto davanti, dietro e una presa da sopra.  Fece una foto anche agli sgraffi che l'essere aveva causato sfrecciandogli di lato.  Prese dei contenitori per la raccolta dei campioni, ne svitò uno e strofinò il tamponcino  del tappo ad uno dei fori che aveva sanguinato. Mise del reagente nel contenitore e riavvitò il tappo con il tampone, lo mosse un po' per far agire il reagente. Fece la stessa cosa con l'altro foro sanguinante. Ne fece un altro per l'impronta dove i denti non erano riusciti a penetrante nella carne, con un po' di fortuna avrebbe potuto tracciarne il DNA.

Una volta raccolto tutti i campioni, poté medicarsi, mise una graffa sul taglio della fronte, e un cerotto sulla spalla. Prese del ghiaccio sintetico e lo tenne sopra, sul livido per un po'.
Poi si occupò dei campioni. Prelevo del liquido da ogni contenitore per metterlo nelle fiale e li mise nella centrifuga azionandola.
Ne mise delle gocce sui vetrini e li osservò subito al microscopio. "Cos'era?" "Cosa diavolo era?"  Corrugò la fronte e caricò l'immagine del microscopio sul pc e avviò la scansione e la ricerca automatica.

Tornò a controllare il gatto. Sembrava respirare meglio, poteva lasciarlo tranquillamente. Aveva tremendamente fame, ma aveva anche paura di uscire da lì per tornarsene a casa. Cercò nel cassetto di Teresa, la sua collega di origine italiana, qualche pacchetto di cracker, o frutta secca ma stavolta non c'era nulla, l'amica era generalmente ben fornita, ma ultimamente era uscita da una tormentata storia d'amore e mangiava tutte le sue scorte.

Fece un giro per i corridoi della GBGG. Entrò nell'ufficio di Teylor al secondo piano senza accendere la luce e si avvicinò al finestrone che dava sul lato est del cortile.  Cercò di nuovo quell'essere fra i rami, e intorno ma non ne vide traccia. Vedeva il cortile sotto, la sua jeep parcheggiata appena sotto la finestra.

La GBGG  era situata alla periferia della città, in pratica era in un anfratto del bosco, una zona ripulita dalla selva per un progetto ambizioso di Jeff Gard. Quello che fu definito all'epoca lo scienziato pazzo ben 20 anni prima, quando l'associazione fu colpita dallo scandalo per degli esperimenti non proprio ortodossi messi in atto dall'uomo nei sotterranei dell'edificio. Miriam nei tre anni che aveva lavorato li ne aveva vagamente sentito parlare. Ricordò una strana conversazione, con un Teylor dei primi tempi, piuttosto diffidente e restio a sbottonarsi. Non poté fare a meno di dirle che il fondatore della GBGG fu arrestato e che di lui era rimasto solo il nome Gard nelle intestazioni della società e negli articoli su varie riviste scientifiche.

Di altre chiacchiere arrivatele all'orecchio ne aveva scarsa fiducia. Le importavano di più i progetti attuali dell'associazione che la avevano assunta per le sue competenze in ambito genetico. La cura delle leucemie infantili era sempre stato di suo interesse, ma nell'associazione l'obiettivo era più generico e incentrato sulla produzione e sperimentazione dei farmaci. Questo le faceva spesso venire voglia di cercare altro. Con questi pensieri era ancora alla finestra quando vide un ombra proiettata vicino all'auto.

Nero Where stories live. Discover now