What did I do?

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§

"Che cosa facciamo ora? L'imperatore crede che tutto sia sotto controllo!"

"Gli diremo quanto successo e presenteremo lo stesso piano che avevamo pensato prima, andrà tutto come pianificato"

"Generale Li, non credo che il generale Cheng-"

"Il generale Cheng non è qui, capitano Min, come nemmeno il generale Han."

Un silenzio straziante invase l'aria, tutti acconsentirono.

...

Tutti i generali erano arrivati ormai. Sette in tutto. Minho pensava che i generali fossero molti di più in realtà: vedendo la stanza dove si svolgevano le riunioni, era anche abbastanza lecito pensarlo.

Difatti le riunioni si svolgevano in una sala enorme, con le stesse dimensioni di una piazza popolare: si potevano osservare delle colonne altissime posizionate ai lati del salone, erano color rosso porpora; ed un tavolo del miglior legno di ciliegio, scuro, liscio, che come tutto l'ambiente ti metteva abbastanza in soggezione. Per il resto non c'era quasi nulla; solo il trono di suo padre, un mobile con tutte le pergamene dell'imperatore al suo interno e un'altra porta, altrettanto imponente come la prima, al capo opposto della stanza, era da lì che entravano i generali.

Minho sedeva accanto a suo padre, e cercava di mantenere l'aspetto più solenne e pacato possibile, ma la verità era tutt'altra: non vedeva l'ora che quella riunione finisse; era completamente nel panico da quando era entrato. Aveva una tremenda paura di poter commettere qualche errore e per di più non sapeva cosa fare per evitarlo: se fosse stato in silenzio tutta la riunione probabilmente sarebbe sembrato uno stupido che evita di parlare perché non capisce o non sa abbastanza di quanto si discute, se invece avesse parlato avrebbe rischiato di dire qualcosa di sbagliato o comunque di sgradito ai generali, o peggio, a suo padre.

Non sapeva assolutamente come comportarsi, un po' come per gli equilibristi: all'inizio credi di essere capace di fare quei 5 metri sospeso nel vuoto, ti sei allenato duramente e sei il migliore nel tuo campo, ma una volta che sei salito sulla fune, una volta che hai percorso quei due metri e le tue gambe iniziano a tremare terribilmente per l'instabilità, una volta che ti rendi conto di essere andato troppo in là per tornare indietro, lì ti rendi conto di una cosa fondamentale: potresti fare qualsiasi cosa, tanto la fune è troppo sottile per darti la giusta stabilità, e gli allenamenti non ti hanno preparato per questo. Hai solo due opzioni: o vai avanti e finisci la tua esibizione, dove probabilmente la fune cederà comunque e non sai se prima o dopo il tuo arrivo alla piattaforma, o rimani fermo dove sei sperando che qualcuno si accorga che quella dannatissima fune non era adeguata per quel tipo di numero, ma nel caso qualcuno lo facesse, potrebbe comunque essere troppo tardi. Non puoi nemmeno scendere da lì visto che è troppo alto. Ti sei messo nei guai da solo, e non c'è nessuno che ti può dare una mano: gli spettatori nel pubblico pensano che sia tutto per creare suspanse e far salire l'adrenalina e lo stupore per il numero che stai guardando, i tuoi colleghi... in realtà non hai colleghi che facciano il tuo stesso numero, quindi nessuno se ne può accorgere, l'unico che può è il tuo "capo", che però potrebbe ricavare più soldi dalla tua morte che dallo spettacolo in se: si è già preparato un piano B nel caso dovessi cadere, non gliene importa chissà che e lo sai bene.

Minho era in questa esatta situazione: non poteva tornare indietro e non partecipare alla riunione, non poteva parlare, non poteva stare in silenzio, suo padre non lo avrebbe aiutato, ai generali poco gliene importava di lui, sua nonna lo aveva lasciato ancor prima che se ne potesse accorgere, stessa cosa per sua madre.

Non poteva fare nulla. Assolutamente nulla-

Sentì il suono del gong, di solito lo suonavano quando mancava poco alla fine delle riunioni, alle 12.45 in punto. La riunione sarebbe finita per le 13.00.

<<Per concludere vostra maestà, nonostante gli Unni abbiano superato la muraglia, abbiamo  la situazione sotto controllo. Sposteremo tutte le truppe a nostra disposizione sul fronte, in modo che sconfiggano gli Unni il più velocemente possibile, vista la superiorità numerica, concorda con noi?>>

<<Mi affido a voi generale. Minho tu che ne pensi?>>

<<Si, principe Minho, cosa ne pensate voi?>> Lo esortò a parlare il generale Cheng.

Perse un battito. Volevano sapere che cosa pensava? Sul serio? Gli era difficile crederlo.

<<Principe Minho può parlare in totale libertà>>

Il vice-capitano Min lo rassicurò, per convincerlo a parlare.

Si decise. Parlò.

<<Purtroppo la mia conoscenza in ambito militare non è sufficientemente estesa per dirlo con certezza, ma ai miei occhi, forse è un po' rischioso mandare tutte le truppe sul fronte. Dubito che possa accadere, ma c'è da considerare l'eventualità in cui vengano sconfitti>>.

<<Una cosa del genere non è mai successa Minho>>

 <<Lo so padre, ma se succedesse? Non avremmo più soldati, le città sarebbero completamente indifese, gli Unni avanzerebbero senza alcun ostacolo. Non abbiamo nemmeno fonti certe su quanti siano! Padre, è rischioso mandare tutte le truppe e tutti i capitani al fronte senza una minima sicurezza che il piano, progettato dai generali Nu e Li, funzioni>>

<<Stai mettendo in dubbio le competenze dei generali accuratamente scelti da me per svolgere il loro lavoro!?>>

<<Non ho mai detto questo->>

Qualcosa in lui si spezzò. Come un cristallo. L'equilibrista, come prevedibile, era caduto ormai, non si poteva più fare nulla per aiutarlo, era troppo tardi.

Quelle parole erano state terribili, e nonostante fossero durate meno di un battito di ciglia, continuavano a ruotare e ruotare all'interno della sua testa, senza fermarsi mai; erano persistenti nella sua mente, non riusciva a dimenticarle, e mai ci sarebbe riuscito; come facevano delle parole ad essere taglienti come un pugnale? Come era possibile? Perché era possibile? Perché, quando aveva iniziato a parlare, aveva avuto l'impressine che quella richiesta della sua opinione, fosse una richiesta retorica? Perché lo avevano incoraggiato a parlare se poi era successo questo? Perché se sapevano già quale risposta volevano, lo avevano incoraggiato a parlare liberamente?

Perché era stato così ingenuo da credere che qualcuno, per una volta, volesse sentire davvero cosa aveva da dire? Perché suo padre lo aveva fatto parlare? Perché non glielo aveva impedito? Avrebbe potuto, eppure non l'aveva fatto. Ma si è riscattato dal suo errore con quelle 11 semplici parole:

Allora smettila di parlare e non disonorarmi oltre.

Sei una delusione.

§

In amore e in guerra-- MinsungWhere stories live. Discover now