West Virginia day 50: o di quando dire la verità diventa l'unica cosa importante

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Erano passati tregiorni dal video di Gavin ed io cercavo molto malamente di vivere lamia vita creando il minor quantitativo di entropia possibile.

Avrei volentierimandato tutto a fanculo per trasferirmi in mezzo alla foresta, ma miamadre continuava a dirmi che avrebbe chiamato i ranger per venirmi atrovare, facendo anche qualche scenata alla tv nazionale. Non neavevo davvero bisogno.

Nonostante avessibloccato tutte le notifiche dappertutto, qualcosa continuava comunquead arrivare alla mia attenzione, come in quel momento in cui stavotentando di cucire un buco nella mia maglia-pigiama preferita, ma ilcellulare si accendeva senza sosta.

Questa voltatoccava al tweet di un ragazza con un nickname riguardante Gavin chesosteneva di non capire come mai non gli avessi risposto e nonavessero ancora visto foto di noi due assieme. Mi prudevano le manidalla voglia di rispondere, ma sapevo che non dovevo farlo: non avevoalcuna intenzione di aggiungere benzina sul fuoco. Soprattuttoconsiderando il post di sfogo che Rebecca aveva pubblicato la serastessa del video di Gavin, dove sostanzialmente malediceva me e lui,fino ai nostri trisavoli e oltre. Molto poco adatto al suo visinoangelico, se dovevo essere sincera, ma non me ne importava piùnulla.

Un'altra notificacomparve sullo schermo e questa era di un sito di gossip chesciorinava l'ennesima teoria su come fossero andate davvero le cose,se la differenza d'età non fosse effettivamente un problema in unarelazione del genere e su come avessi fatto bene a non correre dietroad "un ragazzino dalle idee confuse". Lanciai per la milionesimavolta il cellulare il più lontano possibile da me e sentì lelacrime pungermi gli occhi.

Odiavo tuttoquello.

Odiavo i ricordidei momenti passati con Gavin che mi tormentavano ogni notte; odiavoquel cazzo di video che aveva fatto senza dire il mio nome e che miperseguitava come un sogno infranto; odiavo le fotografie che avevapostato sul suo dannato profilo e che ora tutti non vedevano l'ora difarmi rivedere a dimostrazione di qualsiasi fosse la loro teoria.Cazzo, quanto odiavo quelle foto. Io non vengo bene nelle fotografie:ci sono persone che sono assolutamente fotogeniche e poi ci sono io,che appaio come la statua di cera di me stessa. Non credo si possabloccare nel tempo la personalità di qualcuno se dentro ha un enormecaos. Ed io ero indubbiamente un caos ambulante.

Il cellulare suonòdi nuovo e mi ci fiondai sopra come se fossi stata un lottatore diwrestling, pronta per disintegrarlo in mille pezzi.

Ma era una mail. Diun giornale. Un signor giornale. Di questo giornale, per laprecisione.

Eccoci quindiarrivati a come io sia finita a scrivere queste pagine. Più o meno.

Il contenuto erasemplice: mi chiedevano se avessi piacere di essere intervistata o discrivere io una prima bozza per un articolo che parlasse di quelloche era successo con Gavin. La mia verità.

Già, ma quale erala verità? Mi chiedevano se volessi essere pagata e il solo pensierodi poter prendere dei soldi per raccontare che disastro fosse la miaesistenza, mi fece sorridere amaramente. E piangere. E singhiozzare.Come ero arrivata a tutto quello?

Uscii dalla mail,mi soffiai il naso e tornai a concentrarmi su ago e filo. Almenoquello era semplice: infili, tiri, infili, tiri, chiudi con un nodo.Avrei voluto fosse stato così facile ricucire anche la voragine chemi stava squarciando il petto.



Ebbene sì, nonrisposi al giornale per ben due settimane e cercai di perseguire ilmio proposito di dimenticare tutto: il tempo rimargina tutte leferite, no? Quindi avrei aspettato che la mia esistenza tornasse alniente di prima e Gavin sarebbe sembrato solo un sogno molto lucido.

Diario di bordo di chi non è mai salito a bordoWhere stories live. Discover now