West Virginia a month later: o di quando metti dei paletti ad un cuore infranto

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-Amore! Amore! Dovesei?!

La voce di miamadre riempì l'intera rimessa delle auto, dove ero tornata alavorare per la gioia di tutti i dipendenti di mio padre che eranostufi di dover sottostare al regime dittatoriale della signoraWarlock, che mi aveva sostituita come segretaria.

-Sono qui, dovevuoi che sia?

Ero seduta albancone, intenta a sistemare qualche passaggio di proprietà cheaveva tutta l'aria di essere un enigma calligrafico, quando mia madremi piazzò davanti il suo cellulare e fece partire quello chesembrava una diretta Instagram salvata sul profilo.

Il suo voltoabbronzato ed incorniciato da riccioli ora leggermente più lunghi dicome li ricordavo, riempì lo schermo e mi domandai come avessi fattoa resistere così tanto prima di baciarlo: era assolutamentespettacolare.

Ma il suo volto nonera quello di sempre. Sembrava a disagio e questo era davvero stranoper lui. Non pensavo l'avesse mai sperimentato prima ed era palesenon gli piacesse quella sensazione: benvenuto nel mio mondo, MrUniverso.

Oddio da quanto nonlo chiamavo più così? Mi sembravano passati secoli, ma in realtàerano poco meno di un mese, ma forse a fare la differenza era che ionon mi sentivo più la stessa persona di prima.

-Ehi. Come va? E'un po' di tempo che non vengo qui a parlare con voi...

Il tono della voceera più basso del solito, come se si stesse costringendo a tirarefuori le parole dalla bocca, come se gli costasse una fatica immanedire quello che stava per dire. A me, invece, quella voce provocòuna scarica di brividi che mi costrinse a sedermi meglio sulla sedia:sarei mai diventata indifferente alla sua persona?

-E questo perchéc'ho riflettuto parecchio... Su cosa fosse giusto dire, se fossesensato dire qualcosa in generale. Ma sono giunto alla conclusioneche vi meritiate tutti una spiegazione, perché c'è già qualcunoche sono certo pensi di me le peggio cose, quindi sì: intanto misembrava più facile sistemare le cose con voi.

-Si riferiscesicuramente a te.

-Grazie mamma.

Suonavo ironica, madentro di me una stupida, patetica scintilla di speranza si eraaccesa in fondo al cuore, illudendosi che quelle parole fosseroproprio rivolte a me. Che banalmente avesse pensato a me, durantequel periodo. Ma, dannazione, non si era comunque fatto sentire: eraquello che dovevo tenere bene a mente.

-Quello che quelqualcuno ha detto, è vero.

Merda. Cazzo. Porcaputtana. Fanculo.

Eccola là:l'ultima, definitiva conferma.

Mi serviva?Assolutamente no.

Era necessario chelo dicesse con quello sguardo da Golden Retriver abbandonato sulciglio di un'autostrada? Cazzo, no.

Gli occhiiniziarono a pizzicarmi e mi sarei volentieri presa a schiaffipiuttosto che ricominciare a piangere per quel dannato ventiduenne,ma mannaggia era tutto davvero troppo. Perché mia madre me lo stavamostrando? Era un qualche metodo di tortura parentale per farmipentire di tutte le mie scelte di merda? Perché, per i miei gusti,mi ero già contrita abbastanza in quelle tre ultime settimane.

-L'ho usata perriavere indietro quello che pensavo fosse il mio grande amore. Ma no,non voglio che questa sia una giustificazione. Perché non è statogiusto. Diamine se ho sbagliato.

Aveva imprecato indiretta Instagram? Strano come il mio cervello si fosse concentratosu quello e non su tutto il resto del discorso, forse perché misembrava impossibile che lo stesse dicendo sul serio.

-Ho fatto la piùgrande cazzata della mia vita... E la cosa che mi fa sorridere è cheso per certo che quel qualcuno direbbe che ho solo ventidue anni eche quindi ne combinerò anche di più grandi, perché in fin deiconti ho ancora tutta la vita per sbagliare...

Vero, eraesattamente quello che stavo pensando e questo mi fece crollaredefinitivamente. Quel diamine di ragazzino mi conosceva più dellamaggior parte delle persone che erano nella mia vita da sempre e nonaveva senso. Non aveva un cazzo di senso.

-Ma non voglio piùfare uno sbaglio del genere. Perché se è vero che era iniziatotutto come un piano per riavere indietro Rebecca, non è più statocosì beh... Credo dopo la prima serata passata a parlare dei nostrisegreti inconfessabili davanti ad un milkshake. Questa persona mi èentrata sotto pelle a furia di sorrisi e parolacce. Assurdo.

Quello che vedevoera un ragazzo di una bellezza strabiliante che stava rivivendo imomenti della nostra conoscenza come se fossero i ricordi piùpreziosi che potesse custodire, le iridi azzurre che si velavano diquelle che sembravano lacrime. Forse era la prima volta che provavadel rimorso e non lo potevo biasimare: faceva schifo.

-Mi dispiace. Midispiace di avervi in qualche modo mentito, ma soprattutto midispiace di aver buttato all'aria quello che avevo con lei. Vorreidavvero non averlo fatto. Mi manca averla nella mia vita. Mi manchitu.

Gavin guardòdritto in camera e seppi in quel preciso istante che stava parlandocon me. Ed in un mondo perfetto, sarebbe andato tutto apposto: avreipreso il primo aereo per Los Angeles, sarei piombata a casa sua odovunque fosse, con la complicità di Nick e avremmo fatto pace,probabilmente finendo per fare l'amore come aspettavamo dall'attimoin cui ci eravamo scontrati lungo quella dannata piscina.

Ma il mondo non èperfetto, soprattutto quello in cui vivo io. L'avevo imparato a miespese. Quindi spensi il cellulare di mia madre e glielo restituii.

-Quindi che farai?Devi prenotare un volo?

Mi si strinse ilcuore a vedere come sperasse ancora ci fosse spazio per qualcosa distraordinario nella mia vita. Ma non era così.

-No.

-Come no?

C'era sgomento nelsuo sguardo, ma prima o poi avrebbe capito che non tutti a questomondo sono destinati a cose spettacolari: alcuni di noi possono soloarrabattarsi a sopravvivere con la normalità. Ci vuole abilitàanche per quello.

-No. Non prenderònessun volo, non rivedrò mai più Gavin e credo morirò da sola conabbastanza gatti da dividere la mia eredità equamente, di modo chenon si scannino per chi avrà più croccantini.

Ecco: quella eraun'occhiata che non scorgevo da un po' sul volto di mia madre. Erapura disapprovazione, con un misto di disperazione e commiserazione.Un'espressione riservata solo a chi le aveva dato le più grandidelusioni della sua vita: io.

-Sei veramentepessima.

-No, mamma: sonorealista, che è diverso.

-Ma sembrava cosìsincero.

-Fa l'attore diprofessione mamma, nel caso ti fosse sfuggita questa cosa. Ecomunque, sono tutti bravi a chiedere scusa attraverso uno schermo:sarebbe potuto venire qui e affrontarmi di persona, ma non l'hafatto.

-Ti è mai sorto ildubbio che tu non sia la persona più facile da gestire?

Quello faceva malee trovavo piuttosto crudele che me lo dicesse in quel momento.

-Grazie mamma.Grazie davvero.

Mi alzai dallasedia, incapace di restare lì un solo secondo in più.

-Lo so che sonodifficile, che sono una continua delusione, che non combino nullanella vita, ma scusami se spero che almeno qualcuno che dice ditenerci a me si presenti di persona a chiedermi scusa e si scomodi achiamarmi per nome.

Mia madre restòferma a guardarmi, come se si fosse accorta solo allora del fatto cheGavin non avesse mai usato il mio nome.

-E no, prima chetenti di salvarlo dicendo che era per proteggere la mia privacy, nonc'ha pensato due volte a postare foto sul suo profilo, taggandomicome se ci conoscessimo da una vita e mettendomi in pasto ai leonidelle sue fan. Quindi scusa se non corro come una disperata ai piedidi uno che non ha il coraggio neanche di chiamarmi per nome.

Restammo aguardarci per qualche secondo e mi accorsi che finalmente laconsapevolezza prendeva piede anche in mia madre: quella non era unastoria a lieto fine.

-Vado a fare ungiro.

Uscii dalla rimessae mi diressi verso il mio fiume arrabbiato preferito, sperando dipoterci gettare dentro tutta la mia frustrazione e tristezza, per nonrivederle mai più.



Diario di bordo di chi non è mai salito a bordoWhere stories live. Discover now