Diario di bordo di chi non è mai salito a bordo

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La solita storia su una quasi trentennedisagiata? Forse. La solita storia su una quasi trentenne disagiatadalla vita a dir poco incasinata? Probabile. La solita storia su unaquasi trentenne disagiata, dalla vita a dir poco incasinata connessuna relazione stabile all'orizzonte? Esatto. Io sono Bianca Riccie questa è la mia vita.

Sarebbe dovuto iniziare così unprobabile articolo sulla mia vita. La verità è che non è perquesto che sto scrivendo queste pagine. La verità è che devochiedere scusa e ho pensato che farlo con l'unico articolo cheprobabilmente potrebbe darmi la possibilità di avere il lavoro deimiei sogni, fosse la scelta giusta. O almeno lo spero.

Mi chiamo Bianca Ricci e questa è lastoria che mi ha portato dove sono ora.


Okay, siamo onesti: è iniziato tuttoper caso. Cioè letteralmente un caso. Di quelli che se hai un'amicache crede nell'universo come la mia Meg, potrebbe riempirti la testadi stronzate per almeno una settimana per un fatto del genere. Maaggiungiamoci anche una bella dosa di surreale a tutto questo caso,perché altrimenti non credo che la miscela si sarebbe rivelata cosìdannatamente esplosiva. Prima di iniziare sul serio, un piccolodisclaimer: ci saranno tonnellate di parolacce in questo articolo,quindi sì, vedete voi se faccia al caso vostro. Ma, in tutta onestà,si tratta di una signora storia, altrimenti perché mai unasegretaria che si occupa di passaggi di proprietà di auto usatesarebbe finita a scrivere per uno dei più importanti giornali delmondo? (Sì, sto sviolinando, ma voi fate finta di niente econtinuate a leggere, devo trovare i soldi per un affitto e speraredi fare la cosa giusta per una volta nella vita).

Ora, bando alle ciancie o bando alleperdite di tempo, che nella mia vita sono state parecchie, ecco lamia storia.


Ho sempre vissuto a Los Angeles.Nah,stronzate: mi sarebbe sempre tanto piaciuto ma in realtà vengoda un paesino sperduto del West Virginia che credo non esista neanchesu Google Maps. E come se non bastasse sono anche italo americana.Bello vero? Sì, certo. Togliendo gli stereotipi che ti appioppano daquando sei piccola, il fatto che solo guardando un piatto dicarboidrati mi si allarghi il culo di una taglia e che non abbianeanche lontanamente ereditato le tette di mia nonna paterna.Insomma, inutile. Se non per darmi quel tocco di esotico che nonattira per niente la gente del West Virginia.

Vi risparmio il pietoso racconto deimiei primi ventotto anni di vita, perché credo che non interessi anessuno sapere come sia sopravvissuta agli anni di merda del liceo oche tremendo vestito verde indossassi al mio ballo di seconda media.Il college non l'ho fatto, perché non era annoverato nelle miepossibilità per il futuro, visto che era già stato scritto alettere cubitali sulla mia culla: "farai la muffa nel posto dasegretaria per l'impresa di rivendita d'auto di famiglia". Cosa cheho fatto tutto sommato decentemente, insomma: avevo uno stipendio,dei quasi amici con cui distruggermi di alcol nel weekend, un saccodi tempo libero per scrivere. Potremmo dire che non avessi davverobisogno di andare al college. Anche perché in quel caso avrei dovutopensare davvero a cosa fare del mio futuro e non è mai stato ilgenere di domande che mi piace pormi, ecco. Non che sia una personasenza ambizioni, ma diciamo che le tengo a livello di sicurezza: mibasta arrivare a fine giornata viva.

Quindi, escludendo il momentopsicanalisi, vi starete chiedendo -spero- che cosa sia successo aventotto anni. Vi fermo già, niente epifania all'alba di un nuovogiorno, né promesse fatte sul letto di morte di qualche parente o unamore da dimenticare a tutti i costi con un nuovo taglio di capelli.Cioè, non fraintendetemi: sono tutte ottime motivazioni per cambiarevita, solo non fanno per me. La mia è andata più o meno così: ungiorno mi sono svegliata, mi sono guardata attorno, nella miaimmutabile camera ancora in casa dei miei, con nessun messaggio adattendere di essere letto sullo schermo del cellulare e un gigantescopost sbornia che i miei nuovi ventotto anni non mi facevano piùgestire come una volta. E così ho deciso che fosse il momento giustoper darmi un calcio in culo da sola e fare qualcosa di diverso dellamia esistenza. O almeno, morire provandoci. (Sì, avevo appena finitoun rewatch di Twilight quindi ero abbastanza in fissa con tuttaquella questione della mortalità dell'essere umano e no, nonintendevo diventare un vampiro). Così mi sono licenziata, o meglioho detto a mio padre che se non avesse fatto storie non gli avreichiesto tutti i soldi che mi doveva di nascosto da mia madre, hobuttato i miei già stropicciati vestiti dentro una valigia mai usataper andare in qualche posto che non fosse il campo estivo e via,verso Los Angeles. Non so bene perché non sia semplicemente andata aNew York, solo che ero così stanca di vedere boschi e fiumi erocce... Non c'è nulla di tutto questo a New York, lo so. Fanculo,volevo solo vedere l'oceano, okay? Tutto qui. Quello dalla parte doveil sole tramonta, cazzo. Come se vedere una palla arancione che silancia oltre la linea del mare, potesse sistemarmi la vita: almassimo me l'ha dannatamente incasinata.

Comunque, ho preso un aereo e sonoatterrata a Los Angeles senza un piano. O un aggancio. O un postodove dormire. Un genio insomma. Ma dalla mia, devo dire che tuttiparlavano della Città degli Angeli come del posto perfetto pertrovare la propria strada ed io ci ho creduto. Tralasciandovolutamente la parte in cui la gente moriva di fame e dormiva perstrada, mentre ci provava. Troppo deprimente. Sta di fatto che sonoatterrata e il destino ci ha visto meglio di me. Ecco che cos'èsuccesso.


Diario di bordo di chi non è mai salito a bordoWhere stories live. Discover now