Capitolo 7 - Affinché tutto resti uguale

18 3 18
                                    

«Che diavolo fate?»

Furono le prime parole che il Primo Cavaliere riuscì a biascicare.

Penelope aveva inserito la chiave nella toppa dell'appartamento di Elena e per poco non si era fatta scivolare di mano il Cavaliere agonizzante, col rischio di farlo sbattere di testa. Viste le sue condizioni, non era proprio un'ottima idea fargli prendere un'altra botta.

«Un po' di riconoscenza sarebbe gradita, visto che tecnicamente vi sto salvando la vita» disse, mentre lo stendeva sul pavimento della cucina. 

Non aveva la forza per tirarlo su di peso e metterlo sul divano. Ebbe un altro conato e dovette tenersi al lavandino mentre si liberava lo stomaco.

Udì uno schianto e pensò che il Primo Cavaliere avesse fatto qualcosa di stupido come tentare di alzarsi, ma in realtà era stata lei, urtando un vaso di girasoli che era andato in pezzi. Elena l'avrebbe di sicuro perdonata.

Fece un respiro profondo e si raddrizzò.

Sentì il cavaliere emettere un rantolo simile a una risata. «Sempre che ci riusciate.»

«Non fatemene pentire.»

Penelope lo guardò: era quasi irriconoscibile con la pelle bruna sfregiata e i vestiti imbrattati di sangue. Perché non indossava l'armatura? Che diamine stava facendo in mezzo a quel marasma, se non era di pattuglia?

Vederlo ridotto così nel soggiorno di Elena era surreale. Aveva sempre considerato quell'appartamento come un luogo sicuro, un rifugio dove non sentirsi mai sola. In quel momento, udendo il rumore della rivolta fuori dalle finestre, tutte le sue certezze stavano crollando.

Fece qualche altro respiro a pieni polmoni per assicurarsi di essere stabile. Tornò verso la porta per chiudere a chiave. Per sicurezza, gli spinse contro anche il tavolo. Non era molto, ma avrebbe tenuto fuori eventuali saccheggiatori, o quantomeno li avrebbe rallentati.

Si trascinò fino alla parete opposta e tirò giù la cassetta di primo intervento dalla mensola. 

Riempì una ciotola d'acqua e si inginocchiò al fianco del Primo Cavaliere, o meglio, si lasciò cadere, esausta.

«Adesso state fermo e buono.»

Penelope gli passò un panno umido sul volto e una striscia di sangue andò via. Le ricordò il gesto di pulire una finestra appannata col palmo per scrutare il paesaggio al di fuori.

«Principessa» bisbigliò, come se l'avesse riconosciuta solo ora. 

Era probabile, ma Penelope non ci credeva molto. Forse era convinto di essere in preda ai deliri. Non che sussistesse un motivo affinché ci fosse lei, nelle sue allucinazioni.

Non sapeva quanto fosse grave la ferita alla testa. Le sembrava pure troppo cosciente, per avere ragione di preoccuparsi.

Cercò di ripulirgli il capo come poteva e di individuare la lesione tra i capelli impastati.

Scoprì che si trattava di un taglio piuttosto superficiale, ma la parte stava già diventando gonfia.

L'odore di disinfettante si mescolò a quello del sangue. Il cavaliere tossì.

«Perché l'avete fatto?» mormorò.

Teneva gli occhi chiusi, forse per cercare sollievo.

«Una vita per una vita. Siamo pari, adesso.»

«Tecnicamente, siamo due a uno.»

«Non avevo bisogno di voi, contro quegli ubriachi.»

Il cavaliere non rispose, ma le sue labbra esangui lottavano tra una smorfia di dolore e il sorriso. Sembrava uno di quegli angeli caduti dal Paradiso di cui si raccontava nelle religioni cristiane.

Il regno delle Cascate Where stories live. Discover now