Bayswater, numero 10

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«Vuoi una tazza di tè?»
Ginny era seduta sul divano nel salotto del piccolo appartamento di Hermione, a 10 minuti a piedi dai Kensington Gardens, nel quartiere di Bayswater, ed era immensamente felice di aver ritrovato la sua amica; dopo tutto il tempo che era passato dall'ultima volta che si erano trovate insieme in una stanza. Grattastinchi, il gatto rossiccio di Hermione, stava appollaiato sul davanzale della finestra, facendo le fusa. Ginny era contenta di rivedere anche lui.
«No, grazie» rispose con un sorriso.
La riccia prese posto accanto a lei.
Ginny la guardò dritto negli occhi, e senza riuscire a trattenersi, formulò la domanda che l'aveva tormentata da quel giorno in infermeria, dopo che Fred aveva espressamente detto di non ricordarsi di Hermione.
«Perché te ne sei andata?»
Hermione volse lo sguardo oltre la finestra, e i ricordi dolorosi riemersero come pietre lucide dopo la risacca.
«Dopo aver parlato con Fred, mi sono rifugiata in camera nostra. Sono rimasta a terra per ore, a piangere. Ricordi le sue parole? "Mi dispiace, ma non mi ricordo di te." Non ho mai sentito una frase più dolorosa.
Un vuoto ha iniziato ad aprirsi nel mio petto e presto non riuscii a respirare. Poi  non ce l'ho fatta più: avevo bisogno di andarmene lontano, scappare e non guardarmi indietro. In quel momento non pensavo alle conseguenze, perché non mi importava... volevo tornare a respirare, volevo stare bene. Sapevo che mi era impossibile stargli vicino, fare finta di niente: credevo che allontanandomi da tutto e da tutti sarei stata meglio, ma il peggio doveva ancora venire» iniziò in tono laconico.
Ginny l'ascoltava in silenzio, mentre mille domande nella sua testa cercavano riposta.
«Cos'è successo dopo? Dove sei andata?» le chiese, quasi febbrilmente.
«Sono andata nell'unico posto dove potevo andare... a casa mia, tra i Babbani. Quando i miei genitori mi videro arrivare in anticipo, rimasero un bel po' sorpresi. Volevano spiegazioni, ma io non riuscivo a trovare le parole. Mi sono chiusa nella mia stanza, e non sono più uscita. Mia madre mi portava la colazione, pranzo e cena, ma io non volevo mangiare. Mio padre cercava di consolarmi in tutti i modi, ma non ci riusciva... nessuno poteva. Non sapere il motivo della mia sofferenza, del mio silenzio, li faceva impazzire perché non saperlo significava non potermi aiutare, ma loro mi stavano vicino lo stesso, e per me era abbastanza. Sono stata relegata a letto per un mese, poi i miei genitori hanno deciso di... prendere provvedimenti» disse deglutendo a fatica.
«In che senso?» chiese Ginny confusa.
«Te l'ho detto prima... sono stata ricoverata per sei mesi in ospedale, in un reparto per chi ha problemi di salute mentale» spiegò pronunciando le parole con cautela.
«Dicevano che era per il mio bene: io non avevo forza per oppormi, così li lasciai fare. Odiavo stare lì, nonostante tutti fossero incredibilmente gentili, e volessero aiutarmi sul serio. I primi due mesi furono i più duri perché non volevo fare nulla; poi, da un giorno all'altro, mi resi conto che non avrei riavuto una vita se avessi continuato a piangermi addosso così decisi di... rimboccarmi le maniche, come si suol dire. E così dopo quattro mesi di duro lavoro, in cui non fu per niente facile, i medici stabilirono che ero come nuova e pronta a tornare a casa, fuori nel mondo reale. Mi sentivo sollevata, piena di gratitudine e di speranza, perché mi avevano aiutata davvero. Non appena tornai nella mia stanza, dai miei, decisi di fare qualcosa, qualunque cosa, mi potesse aiutare a tornare a vivere: essendo guarita potevo fare ciò che volevo. Dopo essere stata dimessa da quell'ospedale, mi sentivo rinata, potevo avere una nuova vita... una normale. "Normale" può essere noioso, ma è la cosa che mi ha aiutato a riacquistare una certa stabilità; persino a dimenticare per un po' la fonte del mio malessere. Mi sono iscritta a una scuola babbana, frequentando gli ultimi anni delle superiori, e mi sono diplomata. Ho passato tre degli anni più belli della mia vita, continuando segretamente a soffrire. Ho iniziato i corsi all'Università di Westminster, qui vicino, e ora sto meglio. Studio Letteratura Inglese... mi appassiona molto, come puoi immaginare» aggiunse e la rossa sorrise, conoscendo fin troppo bene l'amore sfrenato della sua amica per lo studio e i libri. Poi la guardò attentamente, e le chiese «Sei felice? Veramente felice?»
Hermione fissò gli occhi in quelli della ragazza. Si chiese se dovesse essere totalmente sincera, o dire una piccola bugia.
Lentamente annuì, cedendo ad entrambe le parti di una verità piuttosto complicata.

Un Amore RitrovatoWhere stories live. Discover now