Gli altri veterani erano abbastanza comprensivi e, senza che nessuno avesse detto loro niente, evitarono di fissare Mason per non aumentare in lui l'agitazione. Mason era come un animale selvatico, non bisognava compiere passi falsi. Ma i veterani lì dentro dovevano conoscerlo, dovevano sapere che l'uomo faceva fatica a parlare, ma che quella volta era stato messo con le spalle a muro.

Mason aveva bisogno di chiudere delle porte altrimenti non sarebbe mai riuscito ad aprire il famoso portone che gli avrebbe permesso di far entrare un po' di luce perché all'interno di quell'uomo c'era solo buio.

Non aveva mai alzato la voce con lui, anzi, forse Seb non aveva mai alzato la voce in generale, ma Jamie, a prescindere da ciò che era successo nel loro passato, non si meritava quel trattamento ed era ormai risaputo che Mason gli faceva sfarfallare il cervello, quindi alla fine anche Seb si era ritrovato ad unirsi al club "urliamo tutti contro Mason Musone".

Si era beccato urla ed insulti, ovviamente. Si era sentito ferito, ma quello era perché era sempre troppo sensibile e perché quell'uomo dagli occhi cupi, ahimè, lo intrigava. Era attratto inspiegabile te da lui. Però, non si era pentito di avergliele cantate a suo modo.

Dylan si era seduto sulla sua solita sedia, continuava a tamburellare la sua penna sulla cartellina rossa. Al suo fianco era giunto Bill Paterson, lo psicologo del centro che partecipava ad ogni seduta di pet therapy.

Entrambi gli uomini dissero qualcosa ma Seb non aveva idea di cosa avessero detto perché era ritornato a fissare il viso teso di Mason. Aveva delle occhiaie violacee sotto agli occhi e i bicipiti contratti. Il pomo d'Adamo sussultò quando deglutì, poi annuì bruscamente con il capo, ma Seb nuovamente non seppe a cosa avesse annuito.

Sbatté gli occhi. Doveva darsela davvero una calmata, Toby aveva ragione.

«Io...», iniziò a dire Mason, aveva la voce rauca e gli occhi sempre puntati su Eva, la quale, fedelmente, rimaneva al fianco del suo padrone. «Io non volevo far parte dell'esercito. L'uniforme non mi era mia interessata, non mi interessava nemmeno la scuola. Non sono mai stato una cima ed ero troppo irrequieto per riuscire a stare ore fermo ad ascoltare i professori. Poi sono arrivato a Rockford. Cioè, i miei genitori mi spedirono qui con la forza, io non volevo nemmeno venirci. In realtà, non sapevo nemmeno io cosa volessi. Ma, poi...» Mason terminò il suo racconto, chiuse gli occhi e si aggrappò al suo cane come se avesse improvvisamente paura di affondare.

Si udì un singhiozzo. Seb vide Jamie che aveva abbassato il capo, le sue spalle tremavano ed Evan gli stringeva una mano. Lui sembrava più forte, ma Seb, che era sempre un buono osservatore, comprese dalla rigidità del suo corpo che si stava trattenendo per suo fratello.

Anche a Seb stava venendo voglia di piangere. Anche Seb si trattenne e continuò a far finta di essere forte.

«Con i tuoi tempi e senza portare fretta, Mason. Hai già detto più parole di quanto mi aspettassi», dichiarò lo psicologo. Bill non scriveva, Dylan sì. Seb aveva voglia di fregargli quella dannata cartellina rossa piena di fogli per capire cosa diavolo scrivesse ogni volta.

Mason annuì di nuovo, le sue spalle si piegarono in avanti, Seb lo interpretò come... un segno di sconfitta.

Seb strinse le mani in due pugni, lui che amava gli abbracci aveva iniziato ad avvertire una necessità crescente di correre ad abbracciarlo, nonostante rischiasse di ritrovarsi con entrambe le braccia tranciate di netto.

«Poi mi sono ritrovato a casa di mio zio Alan, a lavorare con lui. Con il tempo ho scoperto che potate siepi, falciare prati e concimare fiori mi piaceva, mi... calmava». Mason scosse il capo, con quel gesto sembrava voler dimostrare che concimare fiori fosse una cosa stupida, ma non era una stupidità se era un'attività che lo faceva stare bene.

Come un fiore tra le mine (Red Moon Saga Vol. 5)Место, где живут истории. Откройте их для себя