Capitolo 23 - Mason

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«Io e te dobbiamo parlare», esordì Mason, approfittando dell'assenza di Seb, il quale era uscito in giardino a far sgranchire le zampe a Eva e Sanji.

Evan alzò gli occhi dalla sua bottiglia di birra vuota, erano forse cinque minuti buoni che continuava a fissarla mentre scorticava l'etichetta bagnata dalla condensa.

«Vuoi chiedermi anche tu di farti da testimone di nozze?» scherzò.

«Non fare il coglione, Evan. Sta accadendo qualcosa nel tuo cervello e il fatto che non riesca a capire quale sia il tuo problema mi sta facendo venire voglia di prenotarti una seduta dalla mia psicologa del Centro.»

Evan strinse le labbra in una linea sottile, riabbassando gli occhi sulla bottiglia di birra. «Non mi serve lo psicologo.»

Mason inarcò un sopracciglio biondo, sempre più convinto del fatto che Evan avesse qualcosa che negli ultimi tempi lo stava turbando o che, forse, lo aveva sempre turbato. Era diventato pensieroso, straparlava di meno, la mattina preferiva uscire presto per una camminata da solo o con Eva, piuttosto che svegliarlo - come aveva iniziato a fare da quando si era trasferito a casa sua dall'Irlanda - con le sue rumorose canzoni pop punk o pop rock preferite.

Sembrava che la sua palla di energia, che tendeva a far rimbalzare da tute le parti in perfetta sincronia con i coglioni di Mason, si stesse pian piano affievolendo.

«Hai qualcosa che non va. L'ho capito, Evan. Non sarò un buon osservatore, ma sei il mio migliore amico da anni.»

Evan abbozzò un piccolo sorriso, solo che i suoi occhi non stavano sorridendo.

«Cos'hai che non va, coglione?»

Il suo migliore amico spostò la birra di lato sul tavolo della cucina, fece stridere la sedia all'indietro e si alzò. Compì tutti i movimenti con estrema lentezza. Alla fine, alzò gli occhi su Mason, continuando ad avere le labbra inarcate in quel piccolo sorriso triste.

«Non ti preoccupare per me. Vado a farmi una passeggiata, poi penso che rimarrò a dormire da mamma e Alan. Hai casa libera, stallone.»

Si infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans e si voltò per raggiungere la porta principale.

Stava scappando.

Prima che potesse mettere la mano sulla maniglia, Mason si mosse velocemente con la sedia a rotelle per raggiungerlo.

«Sei ipocrita», lo accusò Mason. Evan si bloccò, ma continuò a dargli le spalle. Mason ne approfittò per continuare a dirgli: «Sei piombato in casa mia dopo anni passati in Irlanda, ti sei trasferito qui, mi sei stato vicino, hai giocato per settimane a fare lo psicologo con me, hai preteso che cacciassi la testa dal culo e che la smettessi di buttarmi la merda addosso da solo. Ti ho dato ascolto e sono riuscito a far avvicinare Seb al sottoscritto, nonostante sia una grandissima testa di cazzo. Ma tu non sei meno testa di cazzo di me, Evan. Stai scappando e io non riesco a capire da cosa o da chi. Oppure...» Mason sgranò gli occhi. «Stai scappando da te stesso?»

Evan alzò il capo verso il soffitto, aveva le mani strette in due pugni accanto ai fianchi. Mason lo vide prendere un profondo respiro per poi rilasciarlo. Girò il capo sopra la spalla, verso di lui, Mason si accorse che erano lucidi. Evan stava trattenendo le lacrime.

Ma quella testa di cazzo tentò di dargliela a bere, sorridendogli e facendogli un occhiolino. «Ti stai preoccupando troppo, Mason. Abbiamo tutti dei momenti no, giusto? È tutto apposto. Non preoccuparti.»

«Evan...» provò a dirgli, ma il suo migliore amico lo bloccò, scuotendo una mano per aria.

«Vai da Seb e libera un po' di quella tensione che ti sta facendo uscire le rughe sulla fronte con del buon sesso. Ci vediamo domani.»

Come un fiore tra le mine (Red Moon Saga Vol. 5)Where stories live. Discover now