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La macchina di Carl imboccò una strada colma di villette a schiera. Percorse ancora qualche metro e si fermò davanti alla casa che aveva il numero civico che mi aveva scritto Austen. 

- Grazie per il passaggio, signore - ringraziai. 

- Figurati, Anna. Ci vediamo presto - mi salutò sorridendo. Scesi dall'auto e lentamente suo padre ripartì. Lanciai un'occhiata alla casa. Era una villetta bianca, dall'esterno potei notare l'ampio portico e che avesse tre piani almeno. Da quello che sapevo suo padre faceva parte di un'azienda importante e quella la trovai, esternamente, la casa di qualcuno di importante. Il giardino era molto curato e c'erano alcuni fiori colorati nelle aiuole. Mi avvicinai al cancelletto e suonai il campanello del citofono.

Mi rispose la voce di una donna, probabilmente doveva essere sua madre.

- Si? - 

- Salve, sono Anna, un'amica di Austen. Dovevamo vederci oggi, è in casa? - chiesi timidamente.

- Certo, entra! - 

Il cancelletto scattò, lo spalancai ed entrai nel vialetto, richiudendolo poi con cura. Mi avviai verso la porta d'ingresso, dove una donna mi stava aspettando. Era alta nella media, bionda e con gli occhi azzurri. Erano gli stessi occhi di Austen, quelli che ogni volta mi catturavano. Portava un paio di mom jeans e una camicetta con dei fiori viola. Mi accolse con un sorriso.

- Vieni cara, Austen ci aveva avvisati che saresti passata - salutò.

- Io sono Hellen, sua madre - si presentò, tendendomi la mano. Ricambiai la stretta e ribadii il mio nome. 

- Prego, entra, Austen è di sopra che sta finendo di prepararsi - spiegò, conducendomi in salotto. C'era tanta luce e anche l'interno era curato come l'esterno della casa. Sua madre sembrava una persona molto alla mano, non pensai che potesse essere una persona snob, anzi. 

- Siediti pure qui sulla poltrona - mi disse. Annuii e feci come mi aveva detto, poi la vidi sparire verso le scale. Probabilmente era andata a chiamare il figlio, infatti sentii che avesse alzato leggermente la voce e udii pronunciare il nome di Austen. Quasi subito dopo ritornò da me accompagnata da lui. Notai che avesse i capelli bagnati, indossava una maglietta bianca e dei jeans azzurri. 

- Ciao - mi salutò imbarazzato. Capii dallo sguardo che mi rivolse che avrebbe voluto salutarmi in un altro modo, ma probabilmente la presenza di sua madre lo aveva imbarazzato. Ricambiai il saluto con un piccolo sorriso. 

- Dai, mamma noi siamo di sopra - disse a sua mamma, e mi invitò con gli occhi a seguirlo. La salutammo e salimmo le scale, fino ad arrivare a una porta con sopra scritto il suo nome in un font molto particolare. Aprii la porta e mi invitò ad entrare. Era molto ordinata, notai il letto a due piazze con le lenzuola blu rifatto con cura, le librerie ordinate e due chitarre poste vicino alla scrivania. C'era anche una televisione a muro montata sulla parete davanti al letto, con un cassettone sotto con appoggiata sopra la PlayStation 4. Chiuse la porta e mi abbracciò da dietro, stringendomi delicatamente la vita, come se avesse paura di rompermi.

- Ehi - mi sussurrò all'orecchio.

- Ciao - sussurrai a mia volta. Mi stampò un piccolo bacio sulla tempia.

- Scusami se ti ho salutato in modo freddo quasi, ma.. - 

- C'era tua madre, lo capisco. Stai tranquillo - lo rassicurai. Ci staccammo piano da quell'abbraccio e mi voltai verso di lui per guardarlo negli occhi. Mi facevano sempre lo stesso effetto: quei bellissimi occhi azzurri e il suo viso era come se fossero abbinati, e le farfalle nel mio stomaco non esitavano a prendere il volo. Gli sorrisi.

- Hai una bella camera - dissi, cercando di distogliere lo sguardo da quegli occhi magnetici. Pensavo davvero questa cosa, era così diversa dalla mia. E c'era un profumo buonissimo, forse menta ma delicata.

- Ti ringrazio - sorrise. Mi invitò a sedermi sul letto e invece lui si sedette sulla sedia della scrivania. Calò un silenzio gelido, con un leggero imbarazzo. Mi sarebbe piaciuto abbracciarlo e poter parlare liberamente, ma non ci riuscivo. Ero ancora bloccata nel mio cervello. Avevo paura. Fu Austen a spezzare il silenzio: - Ti va di giocare a qualcosa e poi di fare un giro? -

L'idea mi piacque e acconsentii. Sorrise, e tirò fuori dal cassetto della scrivania un gioco: "The last of us". E così iniziammo a giocare a turno, con io che spesso mi coprivo gli occhi dalla paura e le risate divertite di Austen.

















Ciò che gli occhi non vedonoWhere stories live. Discover now