10

113 5 0
                                    

Trascorse circa un mese e mezzo da quella notte.
Continuai ad andare a scuola e agli incontri pomeridiani a casa del prof Milligan con Austen, ma mi stava riuscendo difficile continuare a coprire tutti i lividi, ormai nemmeno il trucco riusciva ad aiutarmi. 

Una volta Milligan mi prese da parte in classe e mi disse che aveva notato una macchia leggermente bluastra sulla mia guancia destra; mentii dicendo che in realtà mi ero macchiata con della vernice blu e che fosse rimasto l'alone dopo averla sciacquata. Era una scusa che credevo non avrebbe retto, ma dopo una lieve pacca sulla spalla mi congedò, ma sempre con sguardo sospettoso. Da quando andavo a casa sua con Austen aveva iniziato a guardarmi con occhi diversi.. quasi più attenti. Era come se studiasse le mie mosse, la mia voce, le mie espressioni del viso. Avevo notato che arricciavamo il naso e sorridevamo nello stesso modo, e che i nostri occhi e capelli avessero il medesimo colore. Reggevamo anche la penna per scrivere nello stesso modo. Si trattava sicuramente di una coincidenza, però erano piccole cose che mi facevano sentire legata in qualche modo a lui; era gentile con me, mi parlava dei suoi quadri, dei suoi saggi sulla filosofia e mi raccontava degli aneddoti di quando andava all'università. C'era una luce diversa nei suoi occhi quando parlavamo o quando mi vedeva sorridere per qualcosa.  Fin dal primo anno lo avevo associato a una figura paterna; il padre che avevo io non prestava certe attenzioni a determinati particolari. Anzi, mio padre faceva tutt'altro con me. Notai anche in Ariel la stessa luce degli occhi del Professore; quando io e Austen chiacchieravamo con lei la vedevo sorridere nonostante il viso distrutto con le occhiaie sotto agli occhi. Mi chiedeva se avessi bisogno di qualcosa, se volessi aiutarla con i fiori, mi domandava che cosa mi piacesse, dal cibo, alla musica, ai vestiti. Si interessava a me. Mia madre non era così.. ma voleva correggermi, come mio padre: ero una stupida ragazzina in fondo.
Tra meno di un mese sarebbero anche arrivate le giostre e questo avrebbe significato dormire con Austen, Luna ed Elton nella stessa casa. Certo, potevo stare fuori per due notti, ma mi sentii spaventata perché avevo paura che qualcuno di loro potesse notare eventuali cicatrici o ematomi. Una parte di me invece era felice, perchè non avevo mai dormito a casa di altre persone. Luna ed Elton erano felici di trascorrere insieme questo nostro week-end a quattro: avevano stretto un rapporto di amicizia con Austen e avevano notato che stava influendo positivamente sul mio stato d'animo.
Con Austen, a proposito, avevamo legato molto. Avevamo iniziato a scriverci quasi ogni sera e a trovarci sempre davanti al portone della scuola prima dell'inizio delle lezioni. Una mattina ricordo che mi aveva fatto trovare sul banco un cappuccino con un bigliettino sul quale avevo trovato scritto: "So che ultimamente nel cappuccino ti fai aggiungere oltre al cacao un pizzico di cannella. Spero ti piaccia, arrivo subito!". Conservai quel bigliettino segretamente e con cura. Si ricordava ogni piccolo particolare, prestava attenzione. Un altro giorno, mentre fuori pioveva, mi aveva accompagnata sotto l'ombrello fino al solito punto dove ci salutavamo e me lo lasciò per terminare il tragitto.

- Stai tranquilla, non vorrei ti bagnassi e non venissi domani a scuola - mi disse con un sorriso che ricordo mi scaldò il cuore. Lo ringraziai e mi stampò un delicato bacio sulla fronte prima di salutarmi. Ricordo di essere diventata rossa come un peperone e sperai con tutta me stessa che non lo avesse notato. 

Mi resi conto che iniziavo a pensare spesso a lui, alle attenzioni che mi riservava e ai contatti che stavamo avendo, specialmente quando andavamo a casa di Milligan. Grazie a lui avevo iniziato sempre di meno a farmi del male. Pensare a lui mi distoglieva spesso quel pensiero di infliggermi quei tagli dopo che i miei genitori mi sottoponevano alle loro correzioni.

E.. mi resi anche conto che quel ragazzo biondo con gli occhi azzurri che riuscivano a rapirmi ogni volta e dal sorriso dolce e sincero, stava riuscendo a rapire il mio cuore ogni giorno che passava.

Forse mi ero innamorata. Anzi, togliamo il "forse"; mi ero davvero innamorata .

*

Un pomeriggio, mentre mi trovavo in garage per sistemare gli attrezzi sul banco da lavoro, sentii delle mani stringermi forte il collo come se volessero soffocarmi. 

Annaspai e cercai di liberarmi da quella stretta, ma tutto sembrava inutile; ero troppo debole.

- Chi cazzo ti ha detto di toccare le mie cose, stupida ragazzina che non sei altro? - chiese la voce rabbiosa di mio padre. Probabilmente era di nuovo sotto effetto delle sostanze che assumeva. Non potevo rispondere, la stretta era così forte che le parole mi morivano in gola ancora prima di pronunciarle. Abbandonò la presa scaraventandomi a terra e iniziai a respirare tutta l'aria intorno a me con disperazione e mi massaggiai il collo dolorante, ma accadde una cosa inaspettata. Lo vidi bloccarsi. Notai i suoi occhi farsi lucidi con le pupille che non erano più dilatate come prima, e iniziò a passarsi le mani tra i capelli nervosamente. Si girò verso di me e quando mi vide scoppiò in lacrime. Era come se avesse realizzato in una sola volta tutte le cose che mi aveva fatto, compresa questa. Si inginocchiò vicino a me e io d'istinto mi allontanai da lui con quel minimo di forze che mi erano rimaste. Mio padre lo notò e il suo volto assunse un'aria dispiaciuta. Che fosse tornato in se..?

- Cristo.. - imprecò, con la voce rotta dal pianto.

- Mi dispiace.. cazzo.. - disse abbassando lo sguardo a terra. Cercò di fermare le lacrime che gli rigavano le guance, ma invano. Non sapevo cosa dire: so soltanto che provavo una serie di sentimenti contrastanti, come pena, rabbia, confusione. Allungai cautamente una mano e la poggiai delicatamente sulla sua spalla. Con mia sorpresa non reagì negativamente. I nostri sguardi si incrociarono.

- Mi dispiace.. - continuò. Io non sapevo cosa rispondere. Ero sotto shock. Vederlo così vulnerabile per la prima volta in quasi diciotto anni era.. strano. Dopo tutto quello che mi aveva fatto..

Si alzò lentamente da terra e mi tese la mano per aiutare a rialzarmi. Titubante l'afferrai e mi alzai piano da terra. Lasciò delicatamente la mia mano e tornò a guardarmi coi suoi occhi colmi di lacrime.

- Scusami.. - disse ancora, prima di sparire fuori dal garage, mentre continuava a passarsi le mani tra i capelli nervosamente.

Quello era mio padre senza l'effetto di quelle sostanze. Anche lui magari possedeva un briciolo di umanità.. ne avevo passate fin troppe a causa sua e di mia madre. La mia testa era stata talmente indottrinata, però, da pensare che loro facessero quelle cose solo per educarmi. Per essere una persona migliore, per saper stare al mondo. 

Quando fui sicura di essere sola scoppiai a piangere per non so quanto tempo, fino ad accasciarmi sul pavimento del garage con le braccia al petto e il viso nascosto dalle ginocchia.

Ciò che gli occhi non vedonoМесто, где живут истории. Откройте их для себя