Capitolo 1 - Mason

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La persona che aveva davanti gli dedicò un sorriso sfrontano che Mason era quasi tentato di ricambiare.

«Ho una gamba matta. Ho bisogno dei miei tempi», replicò Mason, cercando di non far trapelare dal tono di voce quell'emozione che gli stava causando strani crampi allo stomaco.

Eva spinse Mason con il muso e lo costrinse a farsi di fianco per permetterle di andare finalmente ad annusare il nuovo arrivato, che poi tanto nuovo nella vita del suo padrone non lo era.

«Ti sei trovato un nuovo compagno», affermò, accucciandosi sulle ginocchia per permettere ad Eva di annusargli la mano. Quando capì che di lui poteva fidarsi, gli fece una leccata in pieno viso, facendolo sghignazzare.

«Compagna. Si chiama Eva».

Eva ricevette dal nuovo arrivato una bella grattata dietro le orecchie proprio come piaceva a lei. «Ma guarda un po', abbiamo anche quasi lo stesso nome», fece quella vocina stridula che solitamente usciva fuori solo davanti ad un animale o ad un bambino - quella vocina però non sarebbe mai uscita dalla bocca di Mason - poi le picchiettò delicatamente il tartufo.

Mason scosse il capo, in fin dei conti non era cambiato poi così tanto, internamente. «Era di Olivia, ma ha deciso di scaricarla qui perché non poteva più tenerla».

L'uomo, perché ormai era diventato un cazzo di uomo e non ne era rimasto più nulla di quel ventenne sbarbato di tanto tempo fa, si rimise in piedi e gli dedicò una lunga occhiata, fermandosi per qualche istante in più sul bastone che lo aiutava a mantenersi in piedi, più o meno.

«Mi ricorda la storia di qualcuno. La storia di un Mason che conoscevo bene».

Mason si grattò il capo, nervoso, che da quando era tornato dalla Siria aveva continuato a rasare, un po' per abitudine e un po' perché non riusciva più a vedersi con i capelli lunghi, i capelli del vecchio Mason.

«Cosa ci fai qui, Evan? Non ti trovavi in Irlanda?»

Evan incrociò le braccia al petto. «Sono venuto a compiere il mio ruolo di migliore amico visto che tu, invece, hai dimenticato come si faccia. Me lo avevi promesso, Mason», gli disse, il tono di voce velato di risentimento e Mason sapeva di meritarsi ogni singola goccia. «Mi avevi promesso che, qualsiasi cosa ti sarebbe successa, me lo avresti detto. Invece, hai preferito tenermi all'oscuro di tutto per mesi».

«Non me la sono sentita», fu la sua penosa giustifica.

Evan inarcò un sopracciglio. «Non ti sei sentito di fare cosa? Di informarmi del tuo incidente? Di dirmi della tua situazione? Cazzo, Mason, per poco non ti hanno rimandato in America a pezzi, in una scatola per puzzle con dentro un biglietto di condoglianze!»

Era arrabbiato. Mason aveva avuto a che fare con un euforico Evan adolescente, con un Evan giovane uomo, con un Evan allegro, sensuale, aveva assistito alle sue frequenti crisi esistenziali, ai suoi scleri periodici. Lo aveva visto disperato per la morte di quello che aveva imparato a considerare un vero fratello dopo mille polemiche, ma, nonostante il dolore lacerante, lo aveva trattenuto e messo da parte perché tutti quel giorno di merda avevano bisogno di qualcuno che avesse delle spalle forti su cui piangere, anche se in quella cazzo di automobile c'era stato anche lui. Si era sentito in colpa anche lui per la morte di Timothy.

Mason, però, non lo aveva mai, mai visto arrabbiato in quel modo. Nemmeno quando aveva deciso di partire per la Siria. Anzi, quando aveva deciso di scappare in Siria poco prima che lui stesso si imbarcasse su un aereo per l'Irlanda.

«Chi ti ha informato, Belinda o Alan? Oppure, è stata Rachel?»

La fronte di Evan si increspò. «Ho ricevuto una telefonata, ma non sono sicuro che tu sia così felice di sapere da chi l'abbia ricevuta. Anche Alan, Belinda e Rachel mi hanno tenuto all'oscuro».

Come un fiore tra le mine (Red Moon Saga Vol. 5)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora