Capitolo LII

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L'etere plumbeo non prometteva nulla di buono.
Purtroppo, però, anche guardando in basso la vista non era affatto confortante.
Orde di Orchi gremivano la Foresta, investendo qualsiasi cosa si frapponesse sul loro cammino, come fa acqua sporca che scorre a valle a partire da una diga ceduta.
Agli occhi rivolti in lontananza, quell'orizzonte di distruzione sembrava non avere alcun termine.
E Thranduil era impossibile da localizzare.
Faya cercò di sfruttare la luce lunare per individuarlo.
Un ultimo saluto. Nient'altro. Almeno per non avere rimpianti... Nonostante la smorfia di sdegno che egli le aveva rivolto presso le carceri.
Tuttavia, qualcosa oscurò d'improvviso quello speranzoso bagliore.
Sollevò lo sguardo, mettendosi all'erta. Ma nulla.
Nesseth risultava nervosa, quasi nutrisse la sensazione di essere braccata.
"Che cosa è stato..."
Il volo virò verso l'alto.
Faya tese le orecchie, mentre lentamente sguainava la spada dal suo fodero in pelle.
Anarórë brillò fulgida attraverso il banco di nubi all'interno del quale si erano immerse, rischiarando, seppur di poco, la traiettoria.
Ed ecco, una mastodontica ombra profilarsi dinanzi a loro.
Le due scattarono in avanti, sicure di aver agganciato il bersaglio, quando quella macchia scura si dileguò e l'attacco successivo le trovò impreparate.
Alla loro sinistra una Creatura Rettiliforme, sprovvista di piume ma ricoperta di scaglie, emerse dalla fitta coltre, emanando un fetore pestilenziale di decomposizione.
La sua razza apparteneva ad un mondo scomparso, ignorantemente sopravvissuto tra i pertugi e i covi delle fredde montagne orientali, desistendo dall'estinguersi e pascendo di magia nera arcaici esemplari come quello.
A cavalcarla, lo Stregone di Angmar: la tenebra lo accompagnava ed urlava con la voce della morte.
La sua lama era percorsa da fiamme.
Un'ala di pipistrello si protese sulla testa di Faya.
Il suo elmo, beccato in pieno, le venne strappato via, lasciandola rintontita.
Nesseth stridette dal terrore e cambiò rotta con uno scarto a destra. La ragazza era stesa agonizzante sulla sua groppa dopo l'impatto, e senza la sua guida l'aquila iniziò a spaventarsi.
Ritenne, perciò, che condurla in salvo fosse la scelta migliore.
"Fuggi, Faya? Ancora? Ti troverò. OVUNQUE!"
"No... Nesseth... Calma... Calma... Sono qui... Shh...", provò a tranquillizzarla, accarezzandola.
L'animale percepì il calore confortante di quel contatto, nonostante l'incoraggiamento suonasse di rantolanti gemiti.
"Ferma... Non voglio scappare..."
A palpebre serrate, la fanciulla si sollevò, subendo un terribile scossone quando Nesseth schivò la successiva aggressione.
Il Nazgûl continuava ad inseguirle.
Lei si aggrappò alle penne con tutte le sue forze per non perdere l'equilibrio.
Rivoli di sangue fresco le colarono sul viso: uno squarcio le apriva la testa.
L'angoscia divenne rabbia.
Il dolore si trasformò in delirio, poichè solo un pazzo avrebbe potuto affrontare tutto quell'orrore lucidamente. Il senno non sarebbe stato di alcun aiuto: vane le spiegazioni su quell'abominio, inutile la logica.
L'aria lacerata da un fendente mirante dritto al suo collo, la indusse a sollevare l'arma, parando.
Il contraccolpo che ne seguì la fece precipitare giù.
Fischiò.
Nesseth accelerò per ghermirla.
Il mostro ad incombere su di lei.
Eppure, ad un segnale, il rapace la superò senza acciuffarla e Faya si trovò faccia a faccia con le fauci spalancate di quell'essere.
Anarórë gli cavò una pupilla e trapassò la sua melmosa carne, bagnandosi dei liquami putridi che gli davano linfa.
Catrame nero le imbrattò la corazza, mentre un ruggito acuto riecheggiò per tutta Bosco Atro, perforandole i timpani.

Thranduil, a quel frastuono, si impietrì.
Scrutò la volta stellata e quella lunare sfera rossa, leale, fedele custode dei suoi passati sospiri d'amore.
Parevano passati secoli da quel tipo di struggimento.
Ma questa volta, lei non lo rincuorò. Restò muta, inespressiva e quasi... minacciosa.
Il sudore e la polvere gli imperlavano la fronte e lo ricoprivano di bruna fuliggine.
Uno strano presentimento cominciò a turbarlo.
"Ragazzo!", gridò Gandalf, in mezzo alla bolgia.
"Ci siete riusciti? L'avete tratta in salvo?"
"Sta bene", proseguì il Grigio.
"Lei dov'è?"
L'altro si zittì.
L'Elfo tirò con forza le redini di cuoio del suo cervo, dalla furia che lo assalì.
Esigeva una risposta.
Muggendo, questi sollevò le sue zampe anteriori, scalciando dalla sorpresa di quel gesto.
"DOV'È FAYA! PARLATE, VECCHIO! È IL VOSTRO RE CHE VE LO IMPONE! ORA!"
Un'ascia lanciata da una gran distanza lo ferì ad una gamba.
L'ira crescente mascherò la sua sofferenza.
"Concentratevi, mio Signore! Ve ne prego! Siamo circondati!", lo spronò Gendir.
Thranduil si stizzì.
"Siete messaggero di sventura, Mithrandir: Láthspell, io dico! Il malaugurio è un cattivo ospite, entro i miei confini... Soprattutto in questo momento. Vi nego il benvenuto. Sparite!", lo appellò ripugnato, cacciandolo e tornando a combattere.

Thranduil's ProphecyWhere stories live. Discover now