Capitolo XLIV

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Era ormai tardo pomeriggio quando Faya riuscì a trovare appena qualche minuto di tempo per guardarsi allo specchio.
Le apparteneva veramente quella figura che le sorrideva in preda all'emozione?
Provò a toccare la superficie del vetro, ma preferì desistere. Se si trattava di un sogno, allora, si sarebbe dovuta risvegliare presto. Meglio non sapere, perchè era davvero bello vedersi almeno per una volta in quel modo, senza malinconia in viso o tristezza negli occhi.
Nessun timore, nessuna preoccupazione in vista.
Tirò un sospiro di sollievo a quella risoluzione. E prima di buttare l'aria che aveva trattenuto, per un attimo, di nuovo fuori, il suo riflesso le mandò un occhiolino di incoraggiamento.
Facile!
Non toccava a lui doversi presentare dinanzi ad un popolo intero, febbricitante e scalpitante, in attesa spasmodica, già da ore, della sua prima apparizione pubblica d'onore, nelle veci di un titolo che, al momento, faticava enormemente a sentire suo: Consorte Reale.

'Come sono arrivata sin qui?', pensava, infatti, nel frattempo.

Era da settimane che se lo chiedeva, in effetti. Non se ne capacitava lei stessa. Tuttavia, aveva smesso da tempo di credere che fosse tutto frutto di un errore o di un caso fortuito. Erano troppe le prove a disposizione, a testimonianza che quello era da sempre stato il suo reale posto di appartenenza.
Ogni dubbio in merito, perciò, era stato dissipato.
Indossava un vestito a strascico bianco, che ricadeva morbidamente sul suo corpo sottile, slanciando l'intero suo portamento. Il tessuto leggero era decorato da tanti piccoli gelsomini blu, ricamati su di esso con ricercata finezza, soprattutto lungo i bordi del lembo di stoffa che sfiorava il pavimento, al suo incedere di passaggio. Le candide spalle scoperte, poi, rimanevano parzialmente celate allo sguardo, dai suoi lunghi capelli ondulati e scuri, intrecciati con cura agli stessi fiori e boccioli. La collana di Galadriel al suo collo, come sempre, era lì a proteggerla e donarle conforto negli istanti di bisogno.
Ma la sua attenzione si sforzò con tenacia ad andare oltre quell'ultima immagine. Non si sarebbe soffermata sul reale motivo per cui era obbligata a portarla.
No...
Non per quel giorno, almeno.
E come se avesse ascoltato le sue silenziose riflessioni al riguardo, fu proprio il luccichio del diadema d'argento che portava sulla fronte, a richiamarla a sè, in tutta la sua brillantezza.
Era giunto da Erebor quella mattina stessa. All'interno del cofanetto che lo conteneva, vi era un biglietto con un sigillo in ceralacca rossa:

~Lo zaffiro ha la capacità di elevare gli intelletti, guarisce e protegge. Nell'intensità delle sue cangianti sfumature, molti raccontano che sia in grado di custodire gli spiriti di amori eterni e fedeli.
Come mio padre fece con mia madre, così io, quest'oggi, intendo offrirlo a te, facendotene dono.
Mi auguro di trovare il modo di renderti felice, quanto meriti.
Perchè, la tua gioia è anche la mia.
Indossalo, per me.~

"Sei meravigliosa, bambina mia...", disse Caletheia, asciugandosi le ulteriori lacrime in arrivo, con un fazzoletto di seta.
Faya, ridestatasi dalle ultime fantasie che la sua mente aveva appena revocato, la guardò commuoversi sinceramente. Era da troppo che versava in quelle condizioni. A nulla erano serviti i suoi abbracci, le sue parole di conforto o di immensa gratitudine.
La dolce Caletheia era davvero inconsolabile, soprattutto dopo che la ragazza aveva finalmente trovato l'occasione giusta per rivelarle, in gran segreto, una decisione presa da qualche tempo, ormai; se mai gli Dei le avessero concesso una bambina, era sua intenzione darle lo stesso nome di sua figlia, nonchè della nonna che l'aveva cresciuta: Melil.
Entrambe, a quella rivelazione, avevano impressa nei propri ricordi, però, anche un'altra persona: un claudicante, chiassoso Nano bendato, dal ghigno bonario, seppur deformato.
Era Pamfil.
Ma nessuna delle due si permise di farne accenno. Non era necessario. Si erano comprese.
"E tu, Limir? Non hai niente da aggiungere, invece? Qualcosa di carino, ovviamente...", la rimbrottò, la ragazza.
La sua amica stava a gambe incrociate su una sedia. Smascellava rumorosamente qualche tozzo di pane, rubato dalle cucine. Era imbronciata e annoiata, da un pezzo. Non capiva proprio a cosa servissero tutte quelle cerimonie e tutti quei ampollosi preparativi. Le ancelle che entravano e uscivano dalla stanza nel disperato tentativo di rifinire gli ultimi dettagli, le davano il voltastomaco. Le sembravano tante oche giulive e starnazzanti. Le trovava odiose e insopportabili. Le sue occhiate sprezzanti nei loro confronti, non lasciavano intuire diversamente.
"Credo che sia stata abbastanza esaustiva, stanotte! Sono qui! Mi sono arresa! Cos'altro vuoi?", sbuffò.
"Vederti gioire, ad esempio. Tenermi il muso, d'altronde, non servirà a nulla, se non a guastarti la festa. È questo che desideri?"
La Nana lanciò della mollica per terra, con stizza.
"Raggiungo lo zio Thrain e tutti gli altri. Mi trovo più a mio agio con loro, che tra corpetti, sottane, balze e gingilli di ogni sorta. Mi dispiace. Cercherò di calmarmi, prima dell'inizio. Non posso prometterti altro. Questa pomposità, questo sfarzo mi urtano!", sbottò, chiudendosi la porta alle spalle con un sol tonfo.
"Le passerà...", la rincuorò, di rimando, Caletheia.
Faya cercò di non rattristarsi dinanzi a quella spropositata reazione dell'amica, ma le risultava parecchio difficile, in fondo.
"Fa strani discorsi ultimamente. Le ho già spiegato che mi impegnerò nel venire spesso a Erebor a farvi visita. Non deve temere nessun tipo di cambiamento nei nostri futuri rapporti. Perchè le è tanto complicato da capire?"
"Oh, bambina! Su! Non rimuginarci sopra! Non sono problemi importanti, questi. È una testona, quella lì. E basta! Pronta? Dobbiamo cominciare a scendere! Mi raccomando!", esclamò, trepidante.
Sulle scale, furono per primi Gendir e Alastor a farlesi incontro.
"Ultimo turno di scorta, amici miei! Da domani vi proibirò categoricamente di seguirmi. Sappiatelo! Non tollererò più, vostri pedinamenti vari ed eventuali. È il primo ordine che vi darò. Ricordatelo! Perciò godetevi al meglio, il sontuoso termine del leale e meticoloso servizio, che mi avete concesso sino ad ora!", scherzò.
I due presero posto davanti a lei, rivolgendole le spalle come da programma, perfettamente impeccabili nelle loro armature, lucidate di fresco. Reggevano due stendardi azzurri con cui aprivano la fila, nel tentativo di mantenere il più a lungo possibile nascosto il volto di lei dai curiosi, prima delle celebrazioni.
"Non ci direte, adesso, che siete stanchi di noi, mia Signora! Ci offendete!", le rispose il biondo.
Lei si stranì.
"Hai finalmente imparato ad usare qualche battuta? E da quando di preciso, Alastor? Mi stupisci!"
"Oso supporre che sia il terzo calice di Miruvor a parlare per lui, mia Signora. E non tenderei nemmeno ad escludere con certezza l'aggiunta di qualche goccia di Limpë, data la palese nota di sarcasmo. Avrà modo di pentirsene più tardi. Ne sono sicuro. Non datevene pensiero", continuò Gendir.
"Elfi ubriachi... Ottimo!"
Mano a mano che procedevano verso l'ingresso, cori e grida di giubilo iniziarono a inondarla da ogni dove.
Migliaia di voci urlavano continue ovazioni all'esterno del palazzo, e fischi o scoppi di giochi aerei, le accompagnavano, amplificando il frastuono generale.
Nello scorgere, da una delle finestre dell'ampio androne, tante stelle colorate che precipitavano giù dal cielo, la ragazza fu perciò certa che, da qualche parte, perfettamente mimetizzato in mezzo alla bolgia, ci fosse già lo zampino del suo carissimo maestro Gandalf, arrivato direttamente da Gran Burrone con gli altri membri del Bianco Consiglio, apposta per l'occasione.
Ed ecco questi ultimi, ad attenderla in prossimità del portone.
Elrond, loro celebrante su fervente richiesta di Thranduil, vestiva abiti dorati ma distinti, non esagerati per sfarzo e opulenza; stile morigerato, quello, ma elegante, che non lo accomunava per nulla allo stretto cugino di Bosco Atro.
Eppure, fu la fulgida Galadriel a rivolgerle un subitaneo quanto sincero sorriso, alla sua comparsa.
Faya, fermato l'avanzare del corteo, si inchinò con compostezza di fronte alle signorie loro, scambiando persino qualche fugace convenevole con il Saggio Saruman.
Il Bianco, scrutandola con severità, non aveva minimamente dimenticato il comportamento impertinente che la fanciulla aveva tenuto durante il Concilio di qualche mese antecedente; eppure, reputò maggiormente ponderato e conservativo, evitare di farne anche il più remoto riferimento, data la speciale ricorrenza.
Era soltanto molto giovane e impulsiva, d'altro canto. E se davvero gli Ainur l'avevano reputata degna di un ruolo così importante per la storia di Arda, magari era stato troppo tempestivo nel giudicarla in maniera irrispettosa.
Ciò nonostante, di scusarsi non se ne doveva nemmeno discutere, ovviamente.
Ma quelle ossequiose cerimonie vennero d'improvviso interrotte, sul nascere.
Un ragazzo con la testa fasciata, infatti, staccatosi dalla massa dei più intimi ospiti che avevano avuto accesso agli interni, si stava facendo largo a spintoni e gomitate tra gli astanti e, cogliendola di sorpresa, la strinse forte a sè, sollevandola dal pavimento.
"Aro! Mettimi giù! Subito! È il momento più sbagliato per apparire come idiota!"
"Secondo me, non c'è attimo migliore, invece!"
"ARO!"
Al successivo scossone, lui la lasciò andare, rischiando quasi che cadesse.
"Ho l'onore di farti conoscere Ìndil, mia cara. La mia splendida mogliettina! Ricordi?"
Fu a quel punto che dietro di lui, spuntò una minuta ragazza dai capelli chiari. Era parecchio intimidita da quella ressa e si affrettò a formulare, lesta, delle raffazzonate formalità, pur di tornare velocemente a non avere tutti quegli sguardi molesti di sconosciuti, puntati addosso.
"Il piacere è mio, Ìndil. Ho l'impressione che diventeremo buone amiche, noi due. Sei la benvenuta, qui. Non preoccuparti. E se ti troverai ad affrontare delle difficoltà con quel grande zuccone che hai per marito, ti prego di comunicarmelo tempestivamente. Mi premurerò io stessa di dargli una bella lezione e rimetterlo in sesto, da bravo soldato"
Poi, rivolgendosi a lui con tono più basso, continuò.
"A buon intenditore... Poche parole... O ti spezzo le gambe, libertino dei miei stivali... Ti avviso! È veramente graziosa!"
"Cercherò di... Mettere giudizio... O quantomeno... Ci proverò... L'impegno conterà pur qualcosa. No?"
Tuttavia, quel trambusto era niente a confronto, quando furono i Nani ad incedere, con fierezza, tra i presenti.
Marciavano compatti, guardinghi nei confronti degli Elfi, cui si flettevano per rispetto e decoro, non per stima o affetto.
Probabilmente conservavano ancora qualche remora nei confronti dei due Supremi.
Eppure, quello non era di certo territorio neutrale, e si trovavano nella tana del lupo, in netta minoranza. Non era per nulla una posizione conveniente, la loro. Perciò, era parecchio complesso stabilire se le loro deferenze fossero sentite o affettate, in modo da garantire una globale quiete.
La tensione lampante che li attanagliava, però, sparì del tutto non appena si imbatterono in Faya.
Thròr scoppiò in una fontana di sonori singhiozzi, mentre Bersak e Thrain corsero a salutarla.
"Lunga vita a Faya!", le auspicarono, all'unisono.
"Vi ringrazio della vostra presenza, amici miei. So quanto possa risultarvi tedioso questo, seppur breve, periodo di permanenza qui, quindi la mia riconoscenza è doppia. Ve lo assicuro, mio Signore!", ammise al Re, inginocchiandosi.
"Un buon vino, dell'abbondante cibo, una discreta, nonchè rumorosa, compagnia, e non c'è niente per me da doverti perdonare. Dopotutto, figliuola... Non potevo di certo esimermi dal fornire qualche avvertimento a Thranduil..."
"Del... Del tipo?", gli chiese, sospettosa.
"Hai una famiglia numerosa che ti attende ad Erebor. Siamo pronti ad intervenire, per qualsiasi ragione tu riterrai opportuna. È bene che l'Orecchie a Punta lo sappia. Per sua cautela personale, quantomeno..."

'È una malcelata minaccia, per caso?'

"Non ce ne sarà la necessità. Tranquilli! So difendermi benissimo da sola. Ho avuto i migliori esperti del settore ad addestrarmi, dopotutto. Non siete d'accordo? E a tal proposito... Beh... Dov'è, Thorin?", domandò, perplessa, affrettandosi a cambiare argomento di conversazione.
Peccato che ne avesse scelto uno altrettanto spinoso, pur inconsapevolmente.
L'intera truppa si lanciò occhiate fugaci di reciproca intesa, prima che fosse suo padre a prendere la parola, infine.
"Non credo che arriverà, Faya. Ma mi ha invitato a porgerti i suoi omaggi. Sarà oltremodo contento di rivolgerteli anche di persona, allorquando una tua futura trasferta, ti conduca di nuovo da noi"
"Al più presto... Allora... Ricambierò, volentieri..."
Pur tuttavia, fu l'improvviso silenzio che si abbattè sui presenti a trasformare di colpo l'intera atmosfera, bloccando il discorso che stava per completare.
Una strana tensione si distese nell'aria, mentre i fiati rimanevano sospesi.
La ragazza, come da schema, venne superata da Elrond.
Lei era rivolta verso il viale esterno, in attesa dei primi segnali di avanzata.
Il sentiero, che avrebbe dovuto percorrere, divideva la ressa del pubblico in due ali simmetriche, e conduceva ad un'immensa e sopraelevata tettoia cupolare, marmorea, sorretta da quattro larghe colonne bianche.
Da quella prospettiva tutti avrebbero potuto osservarla, giudicandola in ogni sua movenza, gesto o espressione.
Da una semplice smorfia o vocabolo non richiesto, sarebbe dipeso il suo futuro, in quel luogo: la benevolenza più assoluta o il rifiuto più sventurato.
Quelle meditazioni le piombarono addosso con tutta la loro pesantezza, allora. Forse, era stata stupida a pensare che sarebbe stato semplice. Aveva sottovalutato ogni cosa e... Quella calma, poi, non faceva altro che rendere le sue congetture e supposizioni ancora più assordanti nella sua mente; erano turbinii che la disorientavano, la turbavano.
Serrò le palpebre, mentre la sua mano si muoveva in direzione del monile al collo. Tenerlo in pugno le avrebbe dato sollievo.
"Va tutto bene... Respira... Hai affrontato di peggio... Respira...", si ripeteva.
Eppure, fu qualcun'altro a stringere il suo palmo, all'interno di un caldo e accogliente contatto.
"Nervosa, Faya?"
Avrebbe potuto riconoscere ovunque quella voce. E anche il suo cuore tumultuoso, come se obbedisse ad un'ammaestratore o incantatore, seppe ritrovare una sua calma, al solo udire quel timbro.
Profumo di muschio bianco la investì. E fruscio di mantelli e vesti di broccato, infine, la indusse a riaprire gli occhi, incuriosita.
"Non dovrei?", vi rispose con sagacia.
Thranduil la osservava, esterrefatto, sfoggiando, però, senza alcun imbarazzo, uno sfacciato sorriso. Portava un abito blu con fili e trame di fine argento. Un diadema identico al suo, gli adornava il capo.
I suoi occhi azzurri e cinerei avevano un'intensità peculiare, un coinvolgimento profondamente percepito.
Era scosso quanto lei.
Ma appena le sollevò di sprovvista il mento, e il tepore dei loro reciproci sospiri si mescolò sulla superficie sottile delle loro labbra, quella momentanea debolezza svanì, dissolvendosi.
"Non è nient'altro che l'inizio, questo, mia adorata...", commentò, baciandola con passione.
La bellezza di lei lo aveva rapito sin dal primo sguardo.
Era meravigliosa, e lui finì per cederle, senza indugiare oltre.
Bastò soltanto quel fugace quesito che gli aveva posto, quell'impercettibile vezzo di ingenuità, mentre lei posava per la prima volta le proprie iridi sul suo viso, accarezzandogli i lineamenti. Seppe avvertire distintamente ciò che lei provava, come mai era capitato in precedenza. Le emozioni che lui stesso percepiva erano identiche.
Il suo animo, quindi, palpitò e lo spinse con ardore a trasmettere anche a lei quel fremito, quel medesimo afflato.
Era questo, l'effetto che Faya aveva sulla sua persona e agì senza badare ad eventuali conseguenze, lasciandosi guidare solo dal suo istinto.
Eppure, mai nessuno aveva osato tanto, in occasioni talmente illustri.
Inoltre...
Chi avrebbe immaginato che sarebbe stato proprio il Re a rompere, per primo, l'etichetta del suo rigore e della sua famigerata compostezza?
Erano atti di puro candore che ci si sarebbe aspettati dalla futura consorte!
Di certo!
Thranduil era... anche questo?!
Esclamazioni di stupore, perciò, accompagnarono quel sorprendente atto.
E persino Faya, non potè frenarsi dal reprimere l'infinito scombussolamento che ciò le aveva provocato.
Al distacco, quindi, non riuscì a sentire il suono delle arpe, intonare le prime note di apertura della cerimonia, nè a rendersi conto che l'Elfo aveva già iniziato ad incamminarsi senza di lei.
Dovette subito intervenire la brusca Limir per risvegliarla dall'incantesimo che l'aveva appena inglobata, strattonandola con veemenza.
"Se dopo tutto quello che ho fatto, osi avere dei ripensamenti, ti bastono per davvero! Fosse anche l'ultima cosa che faccio! Muoviti, carina! Sono partiti!", gridò, spintonandola da dietro.
Ritornata perfettamente in sè, così, lei si affrettò a raggiungerli di corsa, gettandosi, senza ulteriori indugi, in pasto alla bolgia urlante.

Thranduil's ProphecyWhere stories live. Discover now