Capitolo XXXIV

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Il funerale di Pamfil fu straziante.
La tomba vuota, senza un corpo su cui piangere, era scenica pantomima di una tragedia che si era già consumata, e ampiamente conclusa, nei due giorni antecedenti.
Faya era stata la prima a rientrare.
Non aveva, nemmeno per un secondo, pensato di cambiarsi.
Insanguinata com'era, correndo all'impazzata in mezzo a facce che la guardavano sconvolte, si mise subito alla ricerca di Caletheia.
La trovò ridere spensierata, poco dopo, mentre cuciva degli indumenti e rammendava qualche toppa, in allegra compagnia.
Perse il coraggio.
Non poteva essere lei a darle la notizia. Non sarebbe stata lei a spegnerle quel sorriso.
Cambiò idea.
"Bambina mia... Cosa ti è successo?"
Si era appena voltata, ripercorrendo a ritroso il cammino, ma l'aveva notata.
Alla giovane mancò la voce, ma i suoi occhi inumiditi non riuscirono a mentire.
Prese il ninnolo che aveva in tasca e glielo restituì, incapace di aggiungere altro.
La povera donna, l'aveva guardata confusa all'inizio, quasi la ritenesse colpevole del fatto.
Si sentì sporca...
E prima di vederla crollare al suolo, colta da un mancamento improvviso, scappò via.

Forse, non era nemmeno necessario celebrare quelle esequie, dopotutto.
A che serviva?
Esposizione pubblica del dolore di una donna che aveva perso il proprio marito, e nient'altro.
Tutti avevano già speso le proprie lacrime, altrove.
Nel silenzio delle Sale dove il timbro di Pamfil rimbombava ovunque, aleggiava terribile, la sua assenza; in quel posto a mensa vuoto, avreste ancora potuto vederlo sghignazzare tra una portata e l'altra, rincuorando qualcuno o spronandolo ad andare avanti; di lui, che trovava sempre una parola di conforto per tutti, rimaneva un fantasma adesso, fatto di ricordi e tristezza, che accomunava ognuno, indistintamente.
A Caletheia, quella recita poteva essere risparmiata...
A lei che non aveva bisogno di dimostrare niente a nessuno, il Re avrebbe potuto concedere di dirgli l'ultimo addio in completa solitudine, evitandole la fatica.
Ma no...
Stava all'impiedi, ringraziando ciascuno per le condoglianze rivoltele, in una nenia infinita che, già alla decima ripetizione, aveva perso valore, ritta dinanzi un inutile e vuoto sarcofago di pietra.
C'era inciso un nome sulla sua superficie, dettaglio finale di quella patetica scenografia, montata ad arte. Peccato che gli attori sul palco non fossero così bravi a straziarsi a comando, e preferissero rimanere ammutoliti, implorando che lo spettacolo finisse.
Solo allora sarebbero giunti applausi e acclamazioni.
Perchè?
Faya non ne trovò il senso.
Procedeva verso la Nana, nutrendo una vivida paura di dover fronteggiare di nuovo quelle silenziose accuse.
"Mi dispiace...", cominciò.
"Il bracciale... Tienilo..."
"Non posso... Ti prego... Ti... Prego"
Tremava, singhiozzando.
"Lui avrebbe voluto, così. Lo so... Gli Dei ci hanno dato la possibilità di sentirci di nuovo genitori, con te... Siamo fieri di ciò che sei diventata, bambina. Concediti pace, ora"
La ragazza percepì con chiarezza l'istante preciso in cui le sue ferite si rimarginarono, a quel punto.
Sparì quella eterna impressione che la faceva sentire sbagliata, fuori posto; in perpetua lotta con la sè stessa che le ripeteva di non essere mai abbastanza, di dover spingersi sempre oltre, di non potersi permettere di essere debole.
Ma era umana, in fondo.
E anche Gandalf, durante una lezione a Bosco Atro, le aveva confessato che era proprio questa la fonte della sua forza.
"Porterò Melil con me. Sempre"
"Mostrale tutto quello che non ha potuto vedere. La renderai felice!"
Detto questo, le lasciò un bacio sulla fronte.
Era una benedizione, che i Valar prontamente accolsero.
"Siamo qui riuniti oggi, per salutare il nostro caro compagno", esordì Thorin, dinanzi a tutti, schiarendosi la voce.
"Alla dolce Caletheia chiedo umilmente perdono. Guidavo io la ricognizione. Sono stato avventato. Ho abbassato la guardia. Ci hanno intrappolati, senza che potessi fare nulla per evitarlo e io ne sono l'unico responsabile. Ho sempre reputato Pamfil un secondo padre. Ma io... In quel frangente... L'ho..."
"Anche per me, lo era!", gridò Faya d'improvviso, interrompendolo.
Quella frase rimbombò per tutta la galleria, creando echi cristallini, all'impatto contro gli altissimi e scuri soffitti.
Il Nano si girò verso di lei.
Teneva il volto basso, ma lui seppe perchè era intervenuta.
Gliene fu grato.
Profondamente.
"E pure per me!", esclamò Limir, dall'altra parte della stanza, senza alcun indugio, in risposta alla sua amica.
"E per me!", ripetè Bersak, affranto.
Un coro generale, seguì quest'ultimo.
Erano ragazzi e ragazze delle più disparate età, figli e figlie, appartenenti alla più grande famiglia che fosse mai esistita su Arda, mossi dallo stesso accoramento e da un'identica devozione verso il caduto.
Fu così che Pamfil tornò a vivere, in ognuna di quelle grida di appartenenza, di amore.
Afflati all'unisono, che una spiegazione a quella celebrazione, adesso, riuscivano finalmente a darla.
Il sepolcro, scese dentro la terra con incessante lentezza, accompagnato da quei commiati e dal pianto, di nuovo inconsolabile, di Caletheia.
Solo alla chiusura della pietra, il clamore cessò.
È così che doveva andare.
Nella caducità della vita, tutto ha una propria fine.
L'eternità non apparteneva a quella razza, e chi la possedeva, d'altronde, la considerava persino un ostacolo, un peso, un covo di rimpianti e visi assenti.
Sì... È così che doveva andare.
"Salutami Eschiel", sussurrò la giovane, raccolta in preghiera.

Thranduil's ProphecyWhere stories live. Discover now