29 - Il segreto dell'Apprendista

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24 Ottobre 2002 (Sesta parte)

La pioggia continuava ad infuriare anche dinnanzi alla scuola di Serena. Avevo chiesto informazioni ad alcuni ragazzi appena usciti che mi avevano confermato che la classe della "ragazza col maialino" non aveva ancora terminato la lezione. Per cui mi ero fermata sotto la pensilina del bus, di fronte all'entrata, per proteggermi dalla pioggia.

Quanto ero stata cieca? Quanto ero stata stupida? Ripensai ad ogni momento passato insieme a quella ragazza ed a tutte le sue parole, tutte le sue domande acquisivano una nuova luce: quando domandava del mio legame con Marco o anche quando mi chiedeva della mia situazione sentimentale.

Ricordavo ancora la sua voce: " Sono sicura che diventeremo grandi amiche" e strinsi i pugni al ricordo. C'erano due possibilità: o non era una brava veggente o era un'abile bugiarda. Entrambe non andavano molto a suo favore.

Quando sentii il suono della campana venni riscossa dai miei pensieri e presi a guardare le scale all'uscita dell'edificio. Molti studenti uscivano spensierati chiacchierando con il compagno affianco e non fu difficile individuare la ragazza: l'unica che non parlava con nessuno.

Feci per andarle incontro pronta a chiederle spiegazioni, quando la vidi tirarsi sulla testa il cappuccio e girare a destra dietro l'edificio, diretta chissà dove e non esitai a seguirla.

Ormai fradicia, cercando di non farmi vedere seguii i suoi passi. La vidi imboccare una piccola strada che si dirigeva verso le spiagge ed  il mare, e successivamente un sentiero che portava a una vecchia fortificazione sugli scogli. Sembrava un posto abbandonato d'inverno, ancor di più sotto l'infuriare del tempo con le onde che si infrangevano quasi al limite del sentiero sugli scogli e la sabbia che veniva mangiata costantemente dal mare.

Il sentiero avvolgeva questa enorme fortezza e pareva scavato tra le rocce e il mare, la osservavo a qualche centinaio di metri di distanza e appena misi piede su quel sentiero e sentii l'acqua del mare mischiarsi alla pioggia dei miei vestiti per un attimo ebbi timore a proseguire.

Che stavo facendo? Inseguivo un quasi stregone da sola in mezzo a una tormenta su un sentiero che probabilmente sarebbe stato inghiottito a breve tra le onde. Mi aggrappai alle rocce taglienti e scivolose e presi fiato: se davvero lui era con lei, quella collana poteva costargli la vita. E questo timore mi diede la forza di ignorare le intemperie, il rumore tonante del mare e il vento furioso e mi addentrai tra gli scogli.

Appena voltate le prime rocce mi accorsi che non era più visibile la figura di Serena sul sentiero e che la strada terminava all'entrata di una specie di grotta, murata nei secoli con un pesante portone di ferro  a difendere quella vecchia fortezza dai flutti.

Facendo attenzione a non inciampare e a non lasciarmi trasportare via dal mare che ogni pochi secondi si infrangeva sul sentiero, giunsi alla porta e provai ad aprirla. Questa non fece resistenza e a causa dell'infuriare della tempesta a malapena percepii lo scricchiolio ferroso che segnava l'ingresso e mi ritrovai in una piccola anticamera.

Le pareti erano di roccia, come gli scogli che avevo solcato per arrivare fin lì e sul fondo una tenue luce sembrava arrivare da una scala a chiocciola intagliata nella parete. Ormai fradicia e trafelata presi a salire e d'un tratto sentii il mio cuore fermarsi, prima ancora che le mie orecchie potessero comprenderne il motivo.

-... mi stai facendo perdere la pazienza e io sono uno che non la perde mai!-

Se anche il mio battito non si fosse fermato per qualche istante, se anche non avessi riconosciuto la sua voce alterata, sicuramente quelle sue parole, sentite più volte non mi lasciarono dubbi: il Lupo Bianco era lì.

-Finora abbiamo fatto come volevi tu e non ha funzionato!-

La voce di Serena, decisamente furiosa mi riscosse e sentendo il cuore riprendere a pulsare mi sedetti un secondo sulla scala a chiocciola per recuperare, intravedendo sulla cima una sottile porta di legno appena accostata.

Fu un attimo e  di nuovo la sua voce mi attraversò le orecchie: -Ti ripeto che non ho intenzione di mettere qualcosa che le appartiene!-

Il sangue mi pulsava nelle vene furioso e sentivo il tatuaggio sulla mia spalla riscaldarsi, come se la vicinanza con il mio compagno lo avesse risvegliato. Sentire dalla voce che stava bene era un sollievo e al contempo una sofferenza, perchè significava che davvero non mi aveva cercata in tutti quei mesi, che davvero non mi aveva voluta con sè e come se quella consapevolezza si fosse tramutata in lame, sentii delle fitte allo stomaco attraversarmi.

-Sei un animale stupido! Questa è la soluzione a tutti i tuoi problemi!-

Decisamente era uno stupido, un deficiente che mi aveva abbandonata tra le montagne alla guida di un branco che non mi riteneva minimamente capace e alla mercè dei suoi nemici. Decisamente era uno stupido perchè non mi aveva parlato dei suoi problemi, dei suoi timori e dei suoi incubi. Decisamente era uno stupido che era stato indifferente ai miei sentimenti e al dolore che la sua partenza mi avrebbe causato. Decisamente era uno stupido se pensava che queste sue azioni non avrebbero avuto conseguenze, se pensava che avrei passivamente accettato ogni sua decisione. Decisamente era uno stupido se pensava che non mi sarei infuriata una volta rivisto: Stefano era decisamente un animale stupido.

E mentre sentivo montare la rabbia come le onde della tempesta che mi avevano travolta fin lì salii gli ultimi scalini e afferrai la maniglia della porta di legno.

-Attenta! Ho fatto a brandelli streghe per molto meno...-

Non feci quasi caso alle sue parole, ero furiosa come mai nella mia vita e sentivo il sangue ribollirmi e il tatuaggio bruciare. Ero pronta a vederlo, pronta ad affrontarlo e per un attimo ringraziai di non essere uno stupido animale anche io o forse non sarei stata in grado di trattenermi dal "ridurlo a brandelli".

Senza nemmeno prendere fiato spalancai rumorosamente la porta e mi ritrovai in quella che sembrava una cella. Una brandina con una coperta ed un tavolo in legno con una lampada a petrolio erano tutto il mobilio presente, l'unico affaccio sull'esterno era una feritoia da cui spirava l'aria della tempesta, sbarrata da pesanti sbarre in ferro arrugginito.

Serena stava in piedi vicino alla lampada con i vestiti umidi, reggeva una strana collana in mano con un'espressione decisamente stupita sul volto.

E lui era in piedi, poco distante da lei ed era dannatamente diverso da come lo ricordavo. Nulla aveva perso della sua invidiabile altezza, ma dei muscoli possenti delle spalle e delle braccia che gli avevano sempre donato una corporatura possente e decisamente animalesca non c'era più traccia, come se fosse deperito o meglio consumato da qualche evento. Anche il volto era diverso da come lo ricordavo: i lunghi capelli racchiusi nel solito codino erano spariti, sostituiti da un taglio corto, spettinato e sul volto era comparsa invece una barbetta incolta che gli dava un'aria trasandata che non aveva mai avuto.

Per chi non lo conoscesse bene sarebbe stato difficile guardarlo e riconoscere in lui il Lupo Bianco, ma chiunque in quel momento avesse incontrato i suoi occhi ambrati e furenti non avrebbe avuto dubbi, erano quelli dell'erede dei De Leonibus.


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