13. Pronto Soccorso

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"E stai attento, cazzo".
Gojo sospirò. Quell'idiota sembrava fare del suo meglio per inciampare in qualsiasi sassolino trovasse lungo la strada. Forse accompagnarlo a casa non era stata una delle sue migliori idee.
Rabbrividì dal freddo, alzandosi il bavero del cappotto. No, doveva tenere duro. Un piccolo sacrificio per un obiettivo più grande.
Quante volte si era ripetuto quella frase nella testa?
Sentì i capelli di Geto accarezzargli la guancia. Sorrise. Erano anni che non provava quella sensazione, ed ora aveva il terrore che quell'attimo finisse e ritornasse di nuovo tutto com'era prima... No, doveva solo giocarsela bene. Niente che non fosse in grado di fare.
Il ragazzo biascicava qualcosa ogni tanto, ma rimaneva per lo più silenzioso. Satoru non riuscì a capire se era per la nausea, o se ci fosse qualcos'altro che gli impediva di essere gioviale e chiacchierone come mezz'ora prima.
Optò per farsi i fatti suoi, e continuò a camminare.
"Dove...Stiamo...?" mugugnò l'altro, alzando la testa verso di lui. Gojo gli rivolse un sorriso gelido come l'aria che gli stava congelando le guance.
"A casa tua. Ti scarico sul portone e te ne vai a dormire".
Osservó bene la sua reazione da sopra gli occhiali. Un lampo di delusione sembrava avergli attraversato la faccia... Ma poteva essersi sbagliato. Doveva procedere con cautela.
Optò per non dire nulla. Strinse con più forza il cappotto dell'amico, e continuò ad avanzare verso l'indirizzo che gli aveva dato Sukuna.
Suguru continuava caparbio nel suo ostinato silenzio. Camminava, incespicava, ridacchiava e tornava a tacere. Snervante.
Satoru ringraziò i Kami quando finalmente arrivarono davanti a casa sua. Sì, era stato abbastanza distaccato. Si assicurò che rimanesse in piedi da solo, e lo salutò.
Aspettò giusto una frazione di secondo, e si voltò.
Prese un respiro. Gli dava due passi. Due passi, e aveva fallito.
'Uno.' Niente.
'Due'.
"Satoru" lo sentì chiamare.
Le labbra si incresparono in un sorriso.


Erano passati due giorni dalla cena, e per Y/N trascorsero nella noia più totale, come se l'Universo avesse avuto bisogno di bilanciarsi dopo tutto quello che era successo.
Sukuna era, ovviamente, scomparso. Da quando le aveva lasciato come regalo la sua foto sul telefono non l'aveva più visto; sembrava che non abitasse più nemmeno da loro. Stava iniziando a preoccuparsi, ma Yuji le aveva assicurato che erano solo questioni di lavoro e si sarebbe tutto risolto a breve.
Per il resto, Y/N non sentì nemmeno la necessità di prendere le sue solite gocce; l'unica fonte di disagio proveniva dai due tragitti in auto per arrivare al lavoro dove era obbligata a vedere Uraume. E, quindi, a parlare con lui.
Dopo quella volta, infatti, aveva iniziato a rivolgerle qualche parola. Ovviamente il saluto era ancora un tabù, ma le aveva chiesto un paio di vaghe informazioni sul lavoro. Sembrava una suocera scontrosa che tenta in tutti i modi di trovare dei lati positivi nella donna che gli porterà via il figlio.
Un pomeriggio, dopo la fine del turno, si era azzardata a fargli una domanda. Lui aveva aspettato di arrivare sotto casa sua, aveva messo le quattro frecce e si era voltato verso di lei.
"Qualsiasi cosa io ti chieda, é per un motivo" le aveva sibilato. Y/N aveva spalancato gli occhi, sconcertata. "Non pensare che mi interessi qualcosa di te. Se passo a prenderti, se ti parlo, è solo ed esclusivamente per diretta richiesta del mio superiore". Non aveva aggiunto altro, e la ragazza aveva capito che era arrivato il momento di scendere dall'auto.

Per poter avere la giornata libera per il Festival dell'Anno Nuovo Y/N aveva acconsentito di lavorare la notte della Vigilia, anche se controvoglia. Dopotutto, avrebbe avuto il Natale libero per quando si sarebbe svegliata. Cercò di vederla sotto quell'ottica.
Anche quella volta, per la stupida fissazione di Sukuna, aveva dovuto aspettare che Uraume arrivasse prima di mettere piede fuori casa: dopo il discorso del giorno prima era diventato ancora più pesante passare quei cinque minuti con lui, e anche quella volta il tragitto era stato abbastanza disagiante.
Sbuffò, frugando nella borsa per cercare le chiavi dell'armadietto.
Cercò di non pensare a Sukuna. Non sapeva come prenderlo, alternava momenti di euforia e tenerezza a giorni in cui nemmeno si faceva vedere. Si diede della stupida anche solo per aver perso del tempo a pensarci.
Strinse le unghie nel pugno. 'Piedi per terra' si disse. No, non poteva permettere che qualcuno la distraesse dal suo lavoro. Dal suo obiettivo ultimo.
C'era un motivo se era arrivata fin lì. Era giovane, aveva ancora tanta strada da fare, e sapeva meglio di chiunque altro che qualsiasi deviazione dal suo sentiero prefissato sarebbe stata fatale per la sua carriera.
'Con tutti i sacrifici che ho fatto per arrivare qui' si ripeté in testa, scandendo bene le sillabe ad ogni passo verso il reparto "niente vale la pena".
Prese un bel respiro, sfoggiò un sorriso finto e aprì la porta del Pronto Soccorso.

Just wanna smash his faceDonde viven las historias. Descúbrelo ahora