8 ; Intra Venus

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Benedikt aveva passato tutto il pomeriggio a cercare ed ormai il sole era quasi sparito all'orizzonte... stava per perdere le speranze di trovare chissà quale indizio, quando si trovò davanti qualcosa di diverso: coperto da uno spesso strato di felci, incavato ai piedi della montagna, c'era quello che sembrava un buco.
Si adoperò per sradicare le piante e ci guardò dentro, ma era talmente buio... vedeva solo nero davanti a sé. Non poteva però fermarsi lì – a cosa sarebbe servito quel lunghissimo viaggio?
Senza rimuginarci troppo sopra, entrò nella caverna con la lanterna accesa, la quale risultò inutile ed incapace di illuminargli la via. Ad un certo punto si voltò, ma anche dietro di sé non vedeva più nulla; l'unica opzione era proseguire e scoprire dove sarebbe arrivato.
Scese un vasto numero di scalini ripidi per minuti che parvero interminabili, finché non arrivò in fondo ed accadde qualcosa di sensazionale: quando il suo piede poggiò terra, a terra iniziarono a disegnarsi linee di una tenue luce azzurra che proseguirono per tutto il pavimento ed illuminarono l'ambiente circostante. Si trovava in un corridoio molto largo ma basso, con le pareti ed il soffitto attraversati da decine di tubi di ferro di diametro variabile. Non aveva mai visto niente del genere, non capiva da dove venisse la luce, non riusciva a percepire alcuna fonte magica, né vedeva del fuoco... semplicemente assurdo.
Il silenzio tombale rendeva tutto ciò ancor più inquietante.
Riprese a camminare seguendo l'unica via percorribile -a volte sulle pareti incontrava anche delle frecce luminose di colore giallo che fornivano indicazioni-, finché non si trovò di fronte ad un vicolo cieco: sul pavimento era disegnato un triangolo rosso, il quale ne conteneva un secondo assieme alla scritta "GO" e sotto dei caratteri che non riusciva a leggere. Le strisce luminose si arrampicarono sul muro e solo dopo il principe capì che quella era una porta. Ma come aprirla?
Provò a toccare con i piedi quell'insolito segnale senza successo, ed in quel momento comprese che avrebbe dovuto usare la pura e semplice forza bruta. Tastò con la mano il metallo alla ricerca di un punto debole, ma inaspettatamente quel gesto suscitò una reazione. Sulla porta le strisce di luce si mossero come serpenti fino a formare un particolare disegno: all'interno di un grosso rombo ne erano contenuti altri e da essi partivano quelle che sembravano le estremità di una luna crescente rivolta verso il basso, altri tre rombi di dimensioni diverse, uno sopra e due sotto, erano collegati al principale.
Non ebbe il tempo di studiarlo ulteriormente perché la porta si aprì.
Ciò che si trovò dinanzi fu quella che sembrava una piccola città completamente diroccata ma dall'architettura stranissima ed al suo centro un palazzo simile ad una piramide, anch'esso attraversato da linee e disegni luminosi.
Benedikt proseguì guardandosi attorno e rimanendo in allerta; seppur vuoto, quel luogo sembrava contenere tracce di vita – che senso avrebbero avuto, allora, tutte quelle luci funzionanti? La sua destinazione fu la piramide, della quale iniziò a salire la gradinata che portava all'entrata.
C'era un'altra porta, perciò si mise a tastarla come la precedente ed essa, ancora, rispose al comando e si aprì. Si domandò come mai riuscisse ad entrare tanto facilmente, un luogo del genere aveva davvero una così bassa sicurezza?
Dovette abbandonare il quesito per seguire la strada ed arrivare al cuore del palazzo. Al contrario di come sembrava, la costruzione si estendeva ancor più in profondità nel terreno e non verso l'alto; percorse corridoi e scalinate per svariati minuti finché, di nuovo, non trovò una porta, l'ennesima – in cuor suo sperò fosse l'ultima, già non ne poteva più, era esausto. Stesso procedimento, uguale successo.
Quella era una grande stanza quasi interamente spoglia, illuminata dalle solite luci come tutto il resto della città, ma non fece in tempo a studiarla.
In un angolo c'erano due figure, una era seduta ad un tavolino che non c'entrava nulla con tutto ciò a cui aveva assististo fin'ora, mentre l'altra... l'altra era un gigantesco mostro con una maschera di ferro il quale, non appena percepì la sua presenza, scattò su due zampe come una molla e gli corse incontro, pronto ad attaccarlo ed ucciderlo.

- DEDUE, NO!

Una voce, più precisamente un urlo di donna.
Aprì lentamente gli occhi -li aveva chiusi?!- e si vide davanti la bestia, la sentì respirare attraverso quel pezzo di ferro, sembrava fissarlo nonostante non riuscisse a capire dove fossero gli occhi. L'abominio indietreggiò e, alle sue spalle, vide avvicinarsi qualcuno con fare a metà tra il preoccupato ed il timoroso.
Passato lo spavento iniziale, trasalì: pelle diafana, occhi di ghiaccio, vestita di nero come se fosse in lutto e trucco pesante... era lei, la salvatrice, la donna che tanto aveva desiderato rivedere per ringraziarla propriamente.

Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'AquilaWhere stories live. Discover now