nove

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Harry Styles.

Zayn esitava sulla porta, un'espressione incerta sul suo viso mozzafiato

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Zayn esitava sulla porta, un'espressione incerta sul suo viso mozzafiato.

«Certo», risposi con voce acuta per la sorpresa. «Entra». Mi alzai, scivolando verso una sponda del divano per fargli spazio.

Il mio stomaco sussultò nervoso mentre l'unico Tomlinson a cui non piacevo entrava silenzioso nella stanza. Mi chiesi il motivo di quella visita, ma ogni supposizione era vana.

«Ti dispiace se parliamo qualche minuto?», domandò. «Non ti ho svegliato, vero?». Il suo sguardo si posò sul letto spoglio e poi sul divano.

«No, ero sveglio. Parliamo, certo». Chissà se sentiva la preoccupazione nella mia voce come la percepivo io.

Fece una risatina, che risuonò come un coro di campane. «È così raro che ti lasci solo», disse. «Dovevo approfittare dell'occasione».

Che cosa voleva dirmi di così importante da non poterne parlare di fronte a Louis? Le mie mani torturarono l'orlo del piumone.

«Ti prego, non giudicarla una brutale interferenza», disse Zayn con voce gentile e quasi in tono di preghiera. Teneva le mani giunte in grembo e parlando le fissava senza alzare lo sguardo. «Ho ferito i tuoi sentimenti già abbastanza, non voglio farlo di nuovo».

«Non ti preoccupare, Zayn. I miei sentimenti stanno benissimo. Cosa volevi dirmi?». Rise di nuovo, stranamente imbarazzato. «Voglio provare a spiegarti perché credo che dovresti rimanere umano... Perché io, se fossi in te, ci rimarrei». «Ah».

Sorrise al tono sorpreso della mia voce, poi sospirò. «Louis ti ha mai spiegato com'è andata?», chiese indicando il suo stupendo corpo immortale.

Annuii piano, improvvisamente cupo. «Mi ha detto che è accaduto qualcosa di simile a ciò che è successo a me quella volta a Port Angeles, solo che nessuno è venuto a salvarti». Rabbrividii al ricordo.

«Davvero è tutto ciò che ti ha detto?». «Sì», annuii confuso. «Perché, c'è dell'altro?». Mi guardò e sorrise: era un sorriso duro, amaro, ma pur sempre incantevole.

«Sì», disse. «C'è dell'altro». Restai in attesa, mentre guardava fuori dalla finestra. Sembrava si sforzasse di calmarsi.

«Ti va di ascoltare la mia versione, Harry? Non ha un lieto fine... Del resto, quale fra le nostre storie ce l'ha? Se ci fosse stato un lieto fine, a quest'ora saremmo tutti sottoterra». Il tono della sua voce mi spaventava.

«Vivevo in un mondo diverso dal tuo, Harry. Il mio mondo umano era molto più semplice. Era il 1933. Avevo diciotto anni, ero bello, la mia vita era perfetta». Guardò verso le nuvole argentate, con espressione lontana.

«Venivo da una tipica famiglia di ceto medio. Mio padre aveva un lavoro fisso in banca, e soltanto ora mi rendo conto di quanto se ne compiacesse: era convinto di aver ricevuto quel benessere come ricompensa dei suoi sforzi e del suo talento, anziché ammettere che fosse stata anche una questione di fortuna. All'epoca davo tutto per scontato; a casa mia la Grande Depressione era soltanto un pettegolezzo fastidioso. Ovviamente vedevo i poveri, quelli che non erano fortunati come noi. Ma mio padre mi aveva indotto a pensare che erano essi stessi la prima causa dei loro problemi. Il compito di mia madre - e mio, e dei miei fratelli più giovani - era tenere la casa lucida come uno specchio. Ovviamente, ero il suo preferito e il suo primo pensiero. All'epoca non potevo capirlo, ma avevo il sospetto che i miei genitori non fossero soddisfatti della propria condizione, sebbene avessimo un tenore di vita nettamente al di sopra alla media. Volevano ancora di più. Avevano aspirazioni di un certo genere... li si potrebbe definire arrampicatori sociali. La mia bellezza per loro era un tesoro. Ci vedevano molte più possibilità di quante non ne vedessi io.
Loro non erano soddisfatti, ma io sì. Ero entusiasta di essere Zayn Malik, di essere me stesso. Compiaciuto perché, da quando avevo dodici anni, ovunque andassi attiravo gli sguardi delle donne. Compiaciuto che i miei amici sospirassero d'invidia quando guardavano il mio corpo. Felice che mia madre fosse orgogliosa di me, e che a mio padre piacesse comprarmi bei vestiti. Volevo il meglio dalla vita, e sembrava non ci fossero ostacoli a ottenere ciò che desideravo. Volevo essere amato, adorato. Volevo un matrimonio sfarzoso, pieno di fiori, con tutta la città ad assistere mentre vedevo la donna, a quell'epoca, della mia vita, i miei genitori a guardarmi come fossi la più bella cosa mai vista. L'ammirazione per me era come l'aria, Harry. Ero stupido e superficiale... ma ero contento». Sorrise, divertito da quel giudizio.

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