10. L'ultimo tè

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Il sole entrava timido dalle imposte, accarezzandomi il viso e facendo sì di svegliarmi dolcemente. Quella mattina, dopo tanto tempo e per la prima volta dopo la morte di Jessica, ero veramente di buon umore. Capisci di stare meglio quando, aprendo anche solo le persiane, guardi fuori e pensi "Che bella la vita": questo era quello che provavo. Felicità, gioia e serenità; perché? Perché avevo lasciato il passato, al passato, e ora pensavo solo più al presente.

Dopo essermi vestito con dei semplici jeans azzurri e una maglietta grigia andai di sotto, in cucina, per fare colazione con un grande sorriso stampato sulla faccia. Come sempre c'era zia Mary con la sua tazza di tè, seduta al tavolo. Appena mi vide, mi diede il buongiorno e io ricambiai; mi sedetti anch'io e presi del caffè.

"Come mai oggi sei così di buon umore?" Mi chiese.

"Non lo so. Forse perché Jackson se n'è andato, finalmente" Risposi. Lei mi guardò, accennando un sorriso e prendendomi la mano per stringerla nella sua. Finimmo il pasto e andai a distendermi sull'amaca color ametista nel terrazzo, con la vista su un lago di cui non ricordavo il nome. Forse non ce l'ha mai avuto o non è mai stato talmente importante da affidargliene uno, da far sì che la gente se lo ricordi. Alla fine siamo solo dei miseri fili d'erba, chi più verde e chi meno, in questo immenso mondo a cui, da piccoli e insignificanti esseri che siamo, diamo etichette a tutto quello che vediamo, facendolo diventare come un grande archivio, senza dargli più il vero significato che dovrebbe spettargli.

Presi un libro e mi feci trasportare dalla lettura in un mondo completamente diverso da quello in cui ero. Alla fine la lettura serve a questo: a farci dimenticare i problemi e fare da evasione verso un altro universo. Mentre mi stavo rilassando, con la fresca arietta che faceva dondolare dolcemente l'amaca, arrivò mia zia.

"Io vado in farmacia" Disse, tossendo almeno cinque volte pronunciando questa frase "Cerco di capire perché ho così tanta tosse. Per qualsiasi cosa, chiamami se hai bisogno". Annuii. Mentre se ne andava verso la porta d'ingresso la sentivo, un po' più lontana, tossire e tossire. Chissà che cosa avrà preso; ci mancava pure questa, mi dissi. Cercai comunque di non pensarci troppo e continuai la mia lettura.

[...]

Passarono praticamente due ore e Mary non era ancora tornata. Iniziai a preoccuparmi così la chiamai: non rispose. Riprovai e riprovai ma nulla. Cercai lo stesso di tranquillizzarmi un po', così andai in salotto per guardare la tv e non pensarci. Mi facevo troppe paranoie, quindi tanto valeva pensare ad altro.

Vidi sul tavolino il joystick della console che Jackson usava per giocare. Senza rifletterci un attimo, decisi di prenderla e portarla in camera sua. Staccai filo per filo e, con cura, salii le scale. La posai sulla scrivania; mi fermai a guardare quella stanza, vuota. Il letto ancora disfatto, l'armadio vuoto come lo scaffale dei televisori durante il black friday e neanche più uno dei tanti poster che lui aveva appeso in giro. Ma quello era il passato, era la camera di una persona cattiva e così uscii. Decisi, inoltre, di chiudere a chiave la porta in modo tale da non poterci più entrare: sarebbe rimasta sempre uguale e come ferma nel tempo. La nascosi in una scatolina di metallo, all'interno di un cassetto dell'armadio del corridoio del piano di sopra. Stavo giusto andando in cucina per farmi da mangiare per pranzo, quando suonarono alla porta. Il bizzarro campanello che zia aveva scelto risuonò per tutta la casa. Andai ad aprire.

Davanti a me si trovò un uomo sulla trentina vestito da agente di polizia.

"E' qua che vive la signora Marino?" Mi chiese guardando anche dietro le mie spalle come se ci dovesse essere qualcun altro.

"Sì, perché? Che è successo?" Domandai abbastanza preoccupato.

"Posso entrare?". Lo feci sedere sul divano e gli offrii da bere, ma rifiutò. "Come ti chiami ragazzo?".

"Alessandro" Risposi con voce angosciata.

"Vedi, Alessandro, la signora" Lo interruppi "La chiami pure Mary o Marianne, tanto è mia zia".

"Beh allora, tua zia, oggi è passata a miglior vita. So che sarà difficile ma devo farti delle semplici domande solo per ..." Non stavo più ascoltando. Le parole dell'agente risuonavano come un vago sottofondo, nella mia testa, e io non capivo più nulla. Mi iniziò a girare la testa e ad avere la nausea. Il poliziotto mi chiese se stessi bene: risposi di sì, ma era un 'sì' palesemente falso. Come potevo esserlo sapendo che la persona a cui volevo più bene in tutto l'universo, mi aveva lasciato. Mi aveva lasciato in un mondo pieno di persone tremende e senza di lei non potevo andare avanti. Era inconcepibile per me; pensavo di averla nel mio futuro per ancora molto, dato che aveva cinquant'anni appena passati. Ma come sempre, il destino ha deciso di portarmi via la persona più importante; era successo prima con Jessica, ora con zia Mary. Non potevo crederci ancora, era la ciliegina sulla torta. Avrei tanto voluto andare da Austin e farmi dare un suo caldo abbraccio, ma c'era la sua ragazza di mezzo, almeno fino a quella sera, poi se ne sarebbe andata. Passato il momento di sorpresa, che avrei preferito evitare, l'agente tornò in centrale ed io rimasi da solo, a casa. La casa, una volta piena di vita e felicità, ora era vuota e silenziosa. E pensare che fino alla sera prima, mangiavamo una pizza e guardavamo la televisione, incuranti del fatto di ciò che sarebbe successo. Passai tutto il giorno a casa, cercando di non stare male, ma era impossibile, infatti piansi praticamente sempre.

[...]

Mentre mangiavo cena, bagnai tutta la pasta con le mie fredde lacrime: il piatto divenne immangiabile. Dalla rabbia, dalla frustrazione, dalla tristezza e chissà cos'altro, presi in mano il bicchiere, pieno d'acqua, e lo tirai con tutta la forza possibile contro il pavimento. In un secondo migliaia di schegge erano sul suolo della cucina. Alla fine, quei milioni di cocci di vetro sembravano come il mio cuore in quel momento: distrutto; lasciati lì, sul pavimento freddo, da soli.

Dopo che la rabbia passò, presi una scopa e ripulii la cucina; mi tagliai con diversi pezzi e sanguinai un poco dalla mano sinistra. Quello che prima era un oggetto totalmente innocuo, dopo divenne come un'arma. Come tutte le cose d'altronde: una volta rotte, diventano più pericolose e, in un modo o nell'altro, fanno sempre del male.

Peccato che, mentre spazzavo, non sapevo che la morte di zia Mary sarebbe stata solo la punta dell'iceberg di quello che mi sarebbe capitato.

Quella notteOnde histórias criam vida. Descubra agora