4. La piuma

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Mi risvegliai da quel bellissimo e nostalgico ricordo nel tardo pomeriggio, con il sole che si nascondeva dietro gli alti e imponenti palazzi della città. Mi alzai dalla calda erba del parco e mi diressi all'uscita; avevo il telefono scarico, perciò non sapevo neanche l'ora. Passando per le vie trafficate, vidi gente in ritardo per qualche impegno, gioiosa perché stava passando del tempo con la propria anima gemella, triste perché qualcuno non era venuto; vedevo molte persone, con una vasta gamma di diverse emozioni. Io ero triste, di nuovo. Mi guardavo attorno, ma senza ammirare a pieno il paesaggio urbano, perché avevo in testa solo una cosa: l'accaduto di qualche giorno prima. Avevo la vista come offuscata da questi pensieri; pensieri che non volevano andarsene e che mi facevano male. Decisi di non tornare a casa per cena, così andai al Central Cafe, sperando forse di trovare una faccia di cui avevo il disperato bisogno di vedere. Arrivato, mi sedetti in un tavolino fuori. Mentre aspettavo, contemplai il magnifico parco che a quell'ora si colorava di colori incredibili, facendolo sembrare un inestimabile dipinto; non c'era molta gente, perciò il cameriere arrivò quasi subito.

"Di nuovo qua eh?" Mi disse Austin ridendo e mostrandomi, così, il suo superbo sorriso.

"Prima non abbiamo avuto molto tempo" Risposi "Comunque mi chiamo Alessandro" E sorrisi come una bambina, dalla felicità di vederlo "E vorrei un hamburger, grazie"

"Certo, un hamburger per il bellissimo Alessandro" E rise ancora di più. Fece per andarsene, poi tornò indietro e aggiunse "Più tardi faccio una pausa, se vuoi parliamo un po'" E andò dentro a portare l'ordine. Tornò dopo una decina di minuti con il mio piatto e mi augurò buon appetito. Mentre mi gustavo quel buonissimo panino, in mezzo a quel poco di natura che resisteva contro l'urbanizzazione sempre più forte, pensavo solo ad Austin: era un ragazzo stupendo e non potevo far a meno di guardarlo perché era bellissimo. Oramai ero innamorato perso di lui, come si dice 'amore a prima vista'; speravo solo con tutto il mio cuore che anche lui pensasse lo stesso. A distrarmi da questa riflessione, fu un fatto parecchio bizzarro, una coincidenza troppo strana per essere casuale: una piuma perfettamente bianca come se fosse stata pulita, si posò gentilmente sul mio tavolino, davanti al mio piatto; avevo letto che significa, non solo fortuna bensì anche, che una persona pura di cuore è lì vicino a te e vuole mandarti un messaggio. Ho immediatamente pensato a Jessica; mi mancava tantissimo, troppo. Non riuscivo a stare giorno senza che mi mancasse e mi sentivo vuoto senza di lei, come se quel pezzo, anche se piccolo, contasse più di tutti gli altri. Inoltre, mi venne in mente che lei collezionava piume, perciò era un segno che non potevo assolutamente evitare. Presi senza esitare la piuma e la misi in tasca pensando che forse, facendo in quel modo, sarebbe rimasta con me per sempre. Ma non era così: stavo solamente cercando di illudermi che non se ne fosse mai andata. Avevo gli occhi lucidi per via dei vecchi ricordi che inondarono la mia mente in pochi secondi, quando arrivò Austin e si sedette al tavolo con me.

"Che succede? Tutto a posto?" Esclamò preoccupato vedendo il mio stato, poi aggiunse "Aspettami un attimo" E si alzò per andare dentro; non capivo cosa volesse fare, ma ero curioso. Dopo qualche minuto, ritornò di corsa con dei tovagliolini del bar e mi disse "Tieni, asciuga le lacrime con questi. Non sei bello con gli occhi messi così" E mi aiutò a farlo. Dopo questo gesto, io ero ancora più innamorato di prima; come si fa ad essere così gentili, stupendi, belli e magnifici? A quanto pare lui, ci riusciva.

"Grazie Austin, sei molto carino" Gli dissi in tono gentile.

"Sarò anche carino, ma non come te; tu lo sei più del tramonto" Rispose. Cademmo entrambi in un silenzio, ma non imbarazzante, più che altro, tranquillo. "Che ne dici se più tardi, quando ho finito il mio turno, usciamo a bere qualcosa?" Mi propose. Io annuii e così, aspettai circa un'oretta prima di arrivare davanti ad un pub, con un ragazzo bellissimo, per qualche drink e per divertirci un po'. Prendemmo entrambi una birra, come inizio. Mentre le lancette dell'orologio vintage andavano avanti sempre più velocemente, io prendevo un drink e un altro ancora, assieme a lui, senza rendermi conto che non reggevo tanto bene l'alcol. Dopo quasi due ore, uscimmo da quel locale, per fare un giro, più ubriachi che sobri. Stavamo camminando per la via principale della città. Tra i bar con le insegne talmente luminose da farmi venire il mal di testa e la gente che parlava, mi venne un déjà-vu: come se stessi rivivendo quella notte e dovessi passare di nuovo tutto il dolore.

"Sei a posto Ale? Ti vedo preoccupato, che succede?" Mi chiese, preoccupato come non so cosa. Risposi con qualche specie di mugugno. Non capivo più nulla, girava tutto; questo mi mandò in tilt e così persi i sensi, cadendo a terra.

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Mi ritrovai in piedi, dentro alla casa sull'albero; l'avevo già vista, anzi, ci ero già stato, qualche anno prima, con il campeggio estivo. I letti disfatti, con le valigie aperte e i vestiti riposti male dentro quei piccoli armadietti in legno di betulla. Ci fu una cosa che catturò la mia attenzione: tra le coperte di uno, si intravedeva un peluche bianco che, a pensarci bene, conoscevo perché era mio. Fino alla seconda media l'ho tenuto con me perché durante molte notti facevo incubi sui miei genitori, che non c'erano mai, così tenni sempre vicino a me quell'orsacchiotto, per farmi sentire al sicuro. Effettivamente quello era l'ultimo anno, perciò era circa il 2014. Scesi dalla casetta e, mentre camminavo per l'accampamento, vedevo bambini correre avanti e indietro; stavo cercando forse qualcosa? Perché mi ritrovavo lì? Cercai di dare delle risposte plausibili, ma non riuscivo a concepire come fosse possibile. Vidi ad un certo punto, una bambina con lunghi capelli biondi e degli occhioni marroni castagna, passarmi accanto veloce, seguita da un altro bambino, con capelli castano chiaro e occhi azzurri come il mare; capii allora di essere di fronte al me e alla Jessica di qualche anno prima. Li seguii per vedere che volevano fare. Lei staccò il ragazzino, talmente era veloce, e andò dietro ai bagni sperando che l'avrebbe trovata; lui si fermò, stremato, per prendere fiato quando vide una piuma bianca destreggiarsi nel fresco vento mattutino e posarsi esattamente di fronte al lui, sul suolo umido del bosco; la raccolse e, incamminandosi, andò alla ricerca della sua compagna. Dopo qualche minuto, riuscì a scorgerla, nascosta dietro un albero, così si avvicinò con calma e le porse quel regalo della natura; lei lo ringraziò infinitamente e gli diede un bacio sulla guancia. Lui arrossì. Non sapeva da dove fosse arrivata o da quale animale provenisse, sapeva però che l'avrebbe legato per sempre a quella spavalda ragazzina. Capii, così, che non era stata una coincidenza, bensì, Jessica che mi diceva che era lì, vicino a me, e che saremmo per sempre stati legati da una piccola, ma grande, piuma.

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Mi risvegliai su una panchina, per la strada. Ero di nuovo scombussolato; tanto scombussolato. Austin era lì davanti a me; tirò un sospiro di sollievo non appena aprii gli occhi. Era preoccupato per me e questo mi scaldò il cuore. Mi continuava a dire qualcosa ma io non capivo perché avevo un fortissimo mal di testa. Da sdraiato, mi sedetti, strofinai le mani sulla faccia, per svegliarmi, e feci un grande respiro.

"Hey Ale. Menomale che ti sei svegliato, mi stavo già preoccupando" Mi disse abbracciandomi forte. Sentii il suo battito veloce, rallentare, e questo mi fece stare molto meglio.

"Che è successo?" Chiesi.

"Sei svenuto, direi. Ma ora è tutto a posto".

"Io mi ricordo di aver visto come me da piccolo e-" Stavo dicendo quando lui mi interruppe.

"Sei stanco e ubriaco, avrai solamente sognato. Ora ti riporto a casa". Annuii sapendo che tanto non mi avrebbe mai creduto, perciò lasciai perdere. Austin aveva bevuto di meno e così era più sobrio e razionale. Mi ricordai a mala pena la via di casa, ma dopo un bel po', riuscimmo ad arrivare davanti alla soglia della piccola villetta azzurra, a chissà che ora.

"Vai a dormire ora, Ale. La prossima volta bevi un po' di meno, ok? Se hai bisogno, questo è il mio numero" E mi allungò un fogliettino con sopra questo.

"Grazie Austin, ti ringrazio che almeno tu ti prenda cura di me e mi salvi dalla tristezza; ti chiedo anche scusa se la serata è andata così per colpa mia" Dissi, con tono di voce colpevole.

"Tu non ti devi mai scusare per sciocchezze simili; hai semplicemente esagerato, ma è normale". Feci per aprire la porta quando lui mi chiamò, io mi girai e lui mi diede un grosso abbraccio. Un abbraccio che connetteva i nostri cuori, talmente era stretto.

"Grazie" Disse, quasi bisbigliando. Poi, senza darmi il tempo di rispondere, se ne andò. Lo guardai fino a quando fu inghiottito dall'oscurità della notte. Sapevamo entrambi che c'era un forte legame che stava nascendo tra di noi, ma non sarebbe stato facile portarlo avanti. Sapevo già che sarebbe stato difficile stare insieme, anche se era quello che volevo più di ogni altra cosa, ma sarebbe stata semplicemente un'illusoria utopia.

Quella notteWhere stories live. Discover now