Capitolo 11 - Bar

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Erano passati una decina di giorni dallo scontro con Lovecraft e Dazai, da allora, aveva cominciato a dormire di più del solito: prima, quando chiudeva gli occhi, doveva ignorare il ricordo del sangue di Oda sulle sue mani e ricordare, invece, tutte le notti stupende passate al Lupin, che, però, ora, da un lato, gli sembravano solo una grande bugia; ora, invece, per addormentarsi con delle immagini felici, gli bastava ricordare Chuuya che saltava di qua e di là coperto di sangue e assetato di distruzione. Per molti poteva essere un'immagine spiacevole, ma per il moro era una vista stupenda: in quello stato, il rosso era privo di qualsiasi maschera e mostrava completamente quel lato oscuro che tutti gli esseri umani, invece, tentavano di nascondere. Ironicamente, per lui, il lato che Chuuya riteneva il più mostruoso di sé stesso e che odiasse con tutto se stesso, era un lato che, per certi aspetti, trasudava umanità da tutti i pori. Non riteneva umano il fatto che il rosso divenisse una bestia selvaggia ed incontrollabile, riteneva umana la sete di sangue che esprimeva in tutta libertà, al contrario delle persone normali che invece tendevano a nascondere quel lato di sé stessi.

Quel giorno, Dazai lo aveva passato come tanti altri: al cimitero. Ora che si era ambientato meglio, non ci andava più tutti i giorni, ma qualche volta tornava a far visita al suo amico per poi andare a bere qualcosa al Lupin.
Era seduto nella sua solita posizione, scrutando il cielo come al solito: dei colori pastello, che andavano dall'arancio al rosa e poi al cobalto, riempivano il cielo e facevano sembrare le nuvole solo un ammasso di zucchero filato.
Chiuse gli occhi e cominciò a rialzarsi da terra.

-Si sta facendo tardi, io vado Odasaku. Non so tra quanto verrò di nuovo, tu aspettami.-

"Come se potesse andare da qualche parte..."

-Ci vediamo.-

Il moro si incamminò verso l'uscita per poi fare una passeggiata per la città. Il sole stava tramontando e il cielo inondato dalla luce arancione, riflesso sulle vetrine dei negozi, donava alle strade una bellezza indescrivibile. Quella che stava percorrendo Dazai, in particolare, era quella che ne godeva di più: i negozi, affiancati da un marciappiede ampio, si trovavano di fronte alla strada che, a sua volta, era accanto ad un marciappiede affacciato sul mare, con tanto di alberi piantati qua e là e di panchine poste di fronte alla balaustra, che serviva per non far cadere nessuno in mare. La vista era sublime.
Il moro, che non prestava attenzione a quella vista mozzafiato mentre era assorto nei suoi pensieri, non fece caso a dove stesse camminando. Ritornò alla realtà solo quando andò a sbattere contro qualcuno.

-Mi scusi.-

Continuò a camminare, senza degnarsi di guardare chi avesse urtato né voltarsi verso la persona in questione, almeno fino a quando una mano gli afferrò il cappotto.

-Bakazai, almeno le persone dovresti guardarle in faccia quando ci parli.-

"Huh?"

Si girò solo per incrociare uno sguardo dello stesso colore dell'oceano.

-Chibi?-
-Hah?!-

L'espressione del rosso si fece più corrucciata e si dovette trattenere più che potesse per non urlare a pieni polmoni in mezzo a tutte le persone. In quel momento, notando la faccia del più basso, il moro rischiò quasi di soffocare per trattenersi dalle risate.

-Non. Chiamarmi. In quel. Modo.-
-Altrimenti?-

A Dazai piaceva particolarmente prendere in giro l'altro per la sua statura: ogni volta che toccava quel tasto, Chuuya esplodeva e le sue reazioni erano impagabili.

-Altrimenti ti tiro fuori tutte le duecentosei ossa che hai, le spacco ciascuna in duecentosei pezzi e poi ti ficco tutti i quarantaduemilaquattrocentotrentasei pezzi su per il culo. Capito il concetto?-

|| Come mi hai fottuto la vita | Soukoku ||Where stories live. Discover now