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Era bastato così poco a farmi ripiombare a quelle notti di nove anni prima. Era bastato sentire la sua voce, leggermente più roca di quella che aveva quando ero bambina. Eppure non era cambiato di una virgola, con quegli occhi scuri così simili ai miei e il naso che gli pendeva aquilino dandogli un aspetto maturo sin da quando eravamo più piccoli. Passai lo sguardo su quel corpo da uomo che aveva sviluppato, le gambe lunghe e il torso ampio e forte e i miei occhi caddero sulle mani nodose e grandi, capaci di infliggere dolore senza il minimo sforzo.

Un brivido mi corse lungo la schiena e mi affrettai a mettermi in piedi, ignorando il capogiro che quasi mi fece crollare a terra, mettendomi in una posizione di difesa senza perdere il contatto visivo con quel mostro che aveva reso la mia infanzia un'inferno.

-"Che c'è sorellina, non me lo merito un abbraccio? Pensavo fossi morta e invece eccoti qui, come un miracolo"- commentò facendo passare lo sguardo in modo lascivo sulle gambe lasciate scoperte dalla camicia da notte fin troppo corta che indossavo e dovetti farmi forza per non vomitare a causa di quello sguardo insistente che sapevo bene cosa volesse significare.

Cercai a tentoni qualsiasi cosa con cui potermi difendere, passando le dita sulle cianfrusaglie posate sul mio comodino senza mai distogliere lo sguardo dal suo. Non gli avrei mai più permesso di approfittarsi di me, non gli avrei più permesso di farmi del male.

Non ero più la bambina spaventata che non si sarebbe mai riuscita a difendere contro quello che era ormai un'uomo. Perché Matteo aveva sedici anni quando aveva iniziato ad intrufolarsi in camera mia la notte e ci era rimasto fino ai diciotto. E io non ero altro che una bambina, indifesa e debole.

Ma ora non gli avrei lasciato più alcun potere sul mio corpo. Avrei lottato con le unghie e con i denti piuttosto che lasciargli ancora una possibilità di farmi del male.

Trattenni le lacrime quando lo vidi mordersi il labbro inferiore, sistemandosi il cavallo dei pantaloni palesemente rigonfio -"Cazzo, quanto mi eccita vedere tutti quei lividi su di te"- sorrise mesto facendo un passo nella mia direzione -"Mi ricordano i bei vecchi tempi in cui a lasciarteli ero io"- concluse con un sospiro malinconico.

Un altro conato mi ribaltò le interiora e dovetti farmi forza per non scoppiargli a piangere davanti, non gli avrei mai più dato quella soddisfazione.

Non doveva avvicinarsi, non doveva neanche provare a toccarmi.

-"Ho sentito che non riesci più a parlare"- il ghigno sul suo viso si allargò mentre infilò le mani nei pantaloni scuri che indossava mentre il suo sguardo si puntava nuovamente nelle mie iridi offuscate dalle lacrime incastrate al loro interno -"Per fortuna il medico ha detto che con il tempo tornerai a poter gridare e supplicarmi di smettere di farti del male, e fidati che non aspetto il momento in cui potrò sentire ancora le tue urla e i tuoi gemiti uscire da quella boccuccia"-.

E probabilmente fu il modo in cui lo disse piuttosto che le parole che utilizzò a farmi reagire. Afferrai il vaso di fiori poggiato sul davanzale della finestra dietro di me e lo scagliai con quanta più forza avessi in corpo addosso a Matteo. Quel verme non si sarebbe mai più dovuto avvicinare a me e, se avessi potuto gli avrei rimosso gli occhi dal cranio con le mie stesse dite piuttosto che lasciare che mi guardasse in quel modo ancora una volta.

Era rivoltante quella scintilla di follia che gli illuminava lo sguardo pensando a chissà quale pensiero malato. Perché si vedeva lontano un miglio che quello a cui stava pensando non era per nulla frutto di una mente sana. Per anni i miei incubi erano stati abitati da quegli occhi scuri così terrificanti da riflettere tutto il sadismo di cui il suo proprietario era impregnato fino al midollo. Perché in fin dei conti si trattava di quello, godere del male che infliggeva alle persone, del male che faceva a me.

THE COUNCILLORWhere stories live. Discover now