Cap.10 Caffè amaro

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GRACE

Oh no, sono in ritardo anche stamattina!

Non ho sentito la sveglia - complice anche l'essere andata a dormire tardi - e ora mi ritrovo in giro per casa con una ciambella in bocca mentre cerco di vestirmi in modo adeguato. Per fortuna oggi pomeriggio uscirò con Kelly, lei sì che saprà consigliarmi al meglio. Per il momento indosso una camicia e un pantalone nero. Un po' troppo attillato per i miei gusti, tuttavia non posso presentarmi in jeans al primo colloquio di lavoro. Il mio armadio è davvero privo di abiti eleganti o quanto meno decenti per un posto di lavoro prestigioso come quello a cui punto per cui, devo adattarmi. Esco di casa velocemente, sbattendo la porta dietro di me.

L'ascensore sale con molta lentezza al mio piano; solo Dio sa quanto io stia maledicendo questo palazzo in questo momento. Il signor White mi licenzierà ancor prima di essere assunta.

«Dai, muoviti!», borbotto ad alta voce mentre sbatto una mano ripetutamente su di esso.

Le porte si aprono e finalmente riesco a scendere al piano inferiore. Una volta fuori, mi precipito sul ciglio della strada e alzo una mano per chiamare un taxi.

«Buongiorno signorina, dove la porto?»

«Devo raggiungere la White Enterprise e in fretta... Michigan Avenue...»

Il tassista sorride e in men che non si dica, si immette nel traffico. Sospiro rilassata. Nonostante io abbia l'ansia alle stelle, riesco a controllare in qualche modo l'agitazione. Sono così emozionata. Mi guardo intorno e noto, fuori dal finestrino, uomini e donne in abiti eleganti in procinto di raggiungere il posto di lavoro. C'è chi sorseggia un caffè, chi riscalda le mani sfregandole, chi compra il giornale dal giornalaio che si trova all'angolo della strada.

Sorrido. C'è ancora qualcuno nel ventunesimo secolo che preferisce la carta di un giornale allo schermo freddo del telefono.

«È agitata, signorina?»

Il tassista mi osserva dallo specchietto retrovisore. Ha gli occhi verdi e uno sguardo molto amichevole. Avrà su per giù una sessantina d'anni e credo che faccia questo lavoro da sempre... o quasi. Giusto il tempo per vedere i suoi capelli mutare da un colore scuro al grigiore della quasi anzianità.

«Decisamente. È il mio primo colloquio di lavoro ufficiale. In realtà è il secondo... la prima volta non è andata tanto bene», bisbiglio imbarazzata.

È impossibile non pensare a quel momento.

«Deve essere molto fortunata allora. Il signor White solitamente non concede seconde opportunità!»

Continuo a fissarlo; istintivamente mi piego in avanti, poggiando le braccia allo schienale del sedile e chinando il capo verso di lui, incuriosita.

«Lo conosce?»

L'uomo sorride.

«Abbastanza bene da poterti dire queste parole stamattina. Guarda, siamo arrivati. In bocca al lupo!»

Guardo a destra, sbucando con la testa fuori dal finestrino e noto l'immenso grattacielo del signor White.

«Wow, non avevo mai fatto caso alla sua grandezza», sussurro sognante.

«Non vorrà mica far tardi. Vada, signorina!»

Ha ragione. Pago la corsa, lascio la mancia e corro, letteralmente, all'entrata dell'azienda.

Una volta dentro, raggiungo l'ufficio del signor White.  Ho modo di guardarmi intorno nel breve tragitto che separa la hall dal suo ufficio. Le ragazze non solo sono ben vestite ma camminano sui tacchi in modo impeccabile. Mi viene da pensare che l'abbiano sempre fatto o che siano state 'programmate' per farlo. Sorridono tutte allo stesso modo, mai una parola fuori posto e sono sempre molto cortesi e gentili. Mi chiedo se anche io non debba subire una metamorfosi del genere per avere il posto di lavoro assicurato. Mio Dio, spero proprio di no. Non riuscirei mai.

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