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I giorni passarono velocemente e la partenza per Boston era arrivata. La mattina dopo quella notte, mi ero svegliata prima di lui e me ne ero stata in silenzio ad osservare il suo viso rilassato. Avevamo dormito per tutta la notte abbracciati e non era stato affatto strano, anzi mi ero sentita talmente tanto a mio agio da aver riposato pacificamente come mai mi era accaduto prima. Quello che era successo prima di avvolgerci nelle coperte e nel silenzio della notte, non aveva messo a tacere la brama. Tuttavia, mi ero resa conto, fra le sue braccia, che l'aveva trasformata, era come se avessi preso coscienza ancora di più del nostro legame e in quello c'era anche quel desiderio costante, che non mi avrebbe mollato. Perciò ero riuscita a metterlo da parte e a contemplare quella sensazione di pace. Per minuti e minuti ce n'eravamo stati in silenzio, con gli occhi l'uno sull'altro, a sfiorarci casualmente il viso e ad ascoltare i nostri respiri intrecciarsi all'unisono. Eravamo due anime fredde all'esterno, lo eravamo davvero, capaci di schermarci con quel gelo, ma quando ci guardavamo negli occhi mettevamo piede in un posto sicuro, tutto il resto rimaneva fuori, qualsiasi condizione restava fuori da quella sorta di casetta che varcavamo.

La sera dopo e quella dopo ancora avevamo di nuovo dormito insieme. Ogni ora, durante il giorno, mentre lui era a lavorare e io riposavo sul letto, immaginavo come sarebbe stata la sera a venire e non vedevo l'ora di tornare a provare quella sensazione confortante. Quel bisogno di averlo accanto, superava di gran lunga il desiderio sessuale e dopo averlo capito, mi servivo di questa consapevolezza per mettere a tacere la brama quando sgusciava fuori.

Quella mattina, quando avevamo incontrato mio padre in aeroporto per partire, ci aveva squadrati per un lungo istante, come se cercasse qualcosa. E dentro di me sapevo molto bene quali conferme volesse trovare. Ma Asher fu molto bravo a dissimulare qualsiasi cosa e il suo modo di saper gestire quella situazione mi tranquillizzò.

Notai con mio grande stupore, quanto il loro rapporto fosse cambiato. In aereo non avevano fatto altro che rileggere tutti quei fogli scambiandosi opinioni articolate ed incomprensibili per una come me che era appena uscita dalla facoltà di legge. Perciò in quelle poche ore, mentre loro parlottavano sottovoce, io mi ero appisolata. Ogni qua e là sentivo dei riflessi di dolore al fianco, ma evitavo di fare smorfie o di sembrare troppo rigida, altrimenti mio padre avrebbe sospettato.

La sera finalmente arrivammo a Boston e raggiungemmo uno degli hotel riservati all'evento. Nella reception c'era un via e vai di uomini avvolti in giacca e cravatta con un tesserino appeso al collo o fermato alla cravatta. Anche mio padre, durante la piccola discussione avuta con la receptionist, ne aveva ricevuto uno. Vi era scritto il nome, la specializzazione e il centro medico presso cui operava.

«Senta, avrebbe dovuto chiamare prima, queste sono le camere disponibili.» sancì la receptionist.
«Io ho già versato una caparra, non ho intenzione di darvi i miei soldi senza ricevere in cambio il servizio che mi era stato garantito.» ringhiò mio padre.
«Signore, non era garantito, avrebbe dovuto leggere più attentamente sul nostro sito, noi diamo disponibilità e le camere sono sempre disponibili, ma a meno che lei non abbia fatto una richiesta specifica, noi aggiustiamo la disposizione in base alle esigenze di tutti.»

«Che succede?» chiesi avvicinandomi un po' preoccupata.
«Hanno disponibile solo una doppia, quando io ho pagato per una doppia e una singola.» ringhiò mio padre.
Schiarii la voce in difficoltà.
«E non avete disponibile nessun'altra stanza immagino.» constatai.
«No, mi spiace.»
«Io voglio i miei soldi indietro.» mio padre puntò un dito sul banco della receptionist.

«Nessun problema, voi due rimanete qui, io mi trovo un altro posto in cui stare.» s'intromise Asher.
«Oh no! Scordatelo! Ce lo troviamo tutti e tre un altro posto dove stare.» affermò mio padre.

Unconditionally mine || Saga HarrisonWhere stories live. Discover now