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Il giorno seguente io e Tess andammo a casa a cambiarci dopo aver passato l'intera nottata sveglie ancora con gli abiti da sera. Alla fine Emily era riuscita a parlare, ci aveva detto di chiamare la sorella, così che non si trovasse da sola. Oltre a questo, però, non aveva aggiunto altro. Avevo l'impressione che stesse cercando sopra le forze di resettare il suo cervello. Nemmeno la polizia era riuscita a cavarle qualche parola di bocca.
Mi stiracchiai entrando in casa.
«Alla buon'ora Angelica.» mi accolse cordialmente mio padre.
«Buongiorno anche a te papà, vado a cambiarmi.»
«Sei tornata da appena una settimana e già per colpa di quegli Harrison stai tornando a comportarti così.»
«Così come? In maniera insubordinata? Da ribelle? Da miscredente?» sbuffai esausta.
«In modo scostante ed incoerente, tutto ciò che non puoi permetterti in luogo di lavoro.» replicò prontamente.
«Papà, non mi comporterò così in luogo di lavoro. Abbiamo fatto tardi perché abbiamo dovuto portare una ragazza all'ospedale.» dissi.
«Per quale motivo?»
«Stupro» rivelai «Si chiama Emily Miller, se capiti nel reparto di pronto soccorso potresti incontrarla.»
Non gli diedi modo di indagare oltre, nonostante la sua espressione preannunciasse un'attenta analisi della mia serata. Mi rifugiai nella mia piccola camera per cambiarmi.
Dopo tutto quello che era successo quella notte, i miei pensieri non si erano ancora scontrati con il dubbio più irrisolvibile che mi tormentava da anni ormai: Asher.
Quando quel nome oltrepassò l'intricato campo di pensieri, percepii di nuovo il calore sul mio fianco, nell'esatto punto nel quale aveva posato la mano durante il ballo. Nonostante ormai fossimo entrambi cresciuti, non potei fare a meno di rimproverarmi. Non capivo per quale motivo lui non se ne volesse andare dalla mia mente, perché dopo tutti quegli anni i suoi occhi riuscissero ancora a fermare il tempo. Avrei potuto dire a me stessa di mettere da parte l'orgoglio, ma l'unica cosa a cui il mio cervello pensò immediatamente, fu una domanda: come avrei fatto a non pensarlo più?
Il cellulare squillò, perciò lo sfilai dalla borsetta.
Jason mi aveva lasciato un messaggio.
Vieni a pranzo da noi, oggi? Rosa ci tiene molto.
Sospirai pesantemente. Qual è il modo migliore per non pensare ad una persona? Sicuramente non andare a casa di quella persona.
Ma se nemmeno quattro anni di distanza erano riusciti a farmi cancellare tutto di lui, non avevo idea di come fare. Forse l'unica soluzione sarebbe stata un'eternità lontana da lui, ma avrei dovuto rinunciare anche a Jason.
Ci sarò. Risposi.
Lanciai il cellulare sul letto e portai entrambe le mani sugli occhi.

Mi schiarii la voce davanti al cancello e percepii di nuovo quello strano stato d'ansia, che mi impedì di suonare il campanello subito. Avvicinavo il dito, poi lo toglievo, lo avvicinavo e lo toglievo.
Mi sentivo un'idiota totale, ma il nervosismo di stava mangiando a bocconi.
Non importava, ero arrivata in anticipo. Avevo fatto la doccia, controllato le email e avevo persino cercato di fare un pisolino, ma l'idea di dover venire qui mi aveva messo una tale ansia che non riuscii a chiudere occhio nonostante la nottata in bianco. Perciò mi ero alzata e avevo impegnato il mio tempo nel prepararmi, con un po' troppa cura dato l'informale incontro.
«Ang.» Aron uscì sulla veranda e alzò un braccio per salutarmi «Aspetta che ti faccio entrare.»
«Grazie.» risposi con un sorriso forzato.
Schiarii di nuovo la voce e spostai il peso da una gamba all'altra.
«Vieni.» gridò dopo che il cancelletto fece uno scatto.
Non potei fare a meno di chiedermi se davvero quello fosse Aron. Non era cresciuto solo in altezza, ma anche di muscolatura. Aveva indosso una maglietta a maniche corte e riuscii a vedere i bicipiti scolpiti e abbronzati. Uno sconosciuto avrebbe sicuramente affermato che era un turista, sicuramente non uno del Vermont. Nessuno qui poteva avere un colorito della carnagione così bronzeo e lucido. Qualcosa mi diceva che se si fosse spogliato l'avrei potuto scambiare per una statua di quelle dell'antica Grecia.
«Beh non sei cambiata affatto.» disse lui.
«Nemmeno tu.» cercai di dire in modo convincete.
«Allora, sei riuscita a prendere il Nobel?» mi spalancò la porta,
«Se lo avessi preso, lo sapresti di sicuro.» sorrisi entrando.
«Oh finalmente abbiamo di nuovo quella fastidiosa pulce petulante di Angelica in casa, non vedevo l'ora di rivederti.» esordì Josh dal divano. A differenza di Aron indossava una camicia bianca infilata sotto i pantaloni neri. Era estremamente elegante e se non avesse aperto bocca, non l'avrei riconosciuto. Anche lui doveva aver speso più tempo in palestra che a lavoro.
«È un piacere rivederti anche per me, Lingua Tagliente.» risposi alzando gli occhi al cielo.
«Ciao Angelica.» mi salutò Aidan gelidamente, facendo la sua comparsa dal piano superiore. Era avvolto in un cappotto elegante e come il fratello, sotto portava una camicia bianca.
La sera prima non avevo avuto modo di notare l'incremento esponenziale dei suoi tatuaggi, non si riusciva più a vedere nemmeno la pelle del collo.
«Ciao.» ricambiai la freddezza.
Ero convinta sopra ogni cosa che il cambiamento di tutti i fratelli, fosse a causa del suo ritorno.
«Josh, Aron.» disse. I due alzarono il viso immediatamente, come se scattassero sull'attenti. Il fratello fece un cenno verso la porta.
«Jake?» chiese Aron.
«È in ufficio con Jason.» rispose controllando il cellulare.
«Non pranzate qui?» chiesi confusa.
«Sì, ma abbiamo un lavoro da svolgere.» rispose Josh avviandosi verso l'ingresso.
Annuii osservandoli uscire.
Mi trovai così di nuovo sola, in quel luogo che un tempo sentivo essere come la mia seconda casa, ma che ora percepivo freddo e sconosciuto.
«Rosa.» la chiamai avvicinandomi alla cucina.
«Chica, estoy a qui!» gridò.
«Eccomi qui.» entrai.
«Chica, il Signorino Jason mi ha detto che ti ha invitata a pranzo, allora mi sono impegnata un po' di più.»
Quel "Signorino" mi strappò un mezzo sorriso imbarazzato. Era strano sentirla parlare in quel modo così formale di loro.
«Sono felice di essere qui.» dissi «Era troppo tempo che non ci vedevamo.»
«Sì, credevo che per il Ringraziamento l'anno scorso, saresti venuta a farci visita.»
«Io...» cercai di trovare una giustificazione, nonostante non fosse davvero necessaria.
Lei mi guardò e mi regalò un gentile sorriso di comprensione.
«Le cose sono cambiate» disse scuotendo la testa «Non credevo che dopo il suo ritorno sarebbe stato così.»
«Rosa tu hai fatto quello che era più giusto per tutti loro.» mi accomodai sullo sgabello.
«Dici? Ora guarda come sono...» fece un cenno «...non li riconosco più, si comportano come se fossero nell'esercito, passano la maggior parte del tempo in palestra o a lavoro.»
«Beh per lo meno non fanno più quelle stupide feste.» dissi.
«No, ma ora hanno delle amiche.» rivelò.
«Amiche?» alzai le sopracciglia.
«Sì, sai amiche...» fece un gesto con la mano «...amigas de la cama
Aggrottai le sopracciglia. Lo spagnolo non era il mio forte, ma riuscii a capire che si trattasse di qualcosa che a Rosa imbarazzava.
«Intendi amiche di letto?» chiesi.
«Sì.» annuì.
«Tutti loro?» indagai. Non era una vera e propria novità quella. Da quando li conoscevo, gli Harrison erano stati sempre degli accalappia donne, amavano andare a caccia di una donna diversa ogni sera e avevo ben impresse le immagini di alcune serate, nella quali, si scordavano di chiudere la porta, lasciando che le persone si accorgessero.

Unconditionally mine || Saga HarrisonWhere stories live. Discover now