𝐔𝐧𝐨

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Fa caldo.
Dio, fa caldo e ho bisogno di una sigaretta per calmare i nervi. L'ultima volta che ho fatto una pausa come si deve risale a qualche settimana fa, direi che afferrare il pacchetto di sigarette e fumarmene una o due – perché no? – non è un'idea terribile. Il mio cervello ha bisogno di staccare da tutti i casini che ci scorrono dentro e questo sembra il modo migliore di farlo. Mi rendo conto di star esagerando in questo periodo ma non ce la faccio, ne sento la necessità come fosse l'unica cosa in grado di distrarmi, di farmi respirare, nonostante la sua funzione sia tutto l'opposto.
Smettere del tutto non è mai stata un'opzione per me; ho cominciato con una sigaretta a settimana, praticamente le volte in cui mi incontravo con i miei amici al parco di Marina Bay, poi sono diventate una al giorno perché in fondo mancava poco al mio diciottesimo compleanno e che poteva dirmi mamma a parte che mi avrebbe incenerito con le sue stesse mani? Nulla. Con gli anni è diventato un vizio sempre più frequente, sempre più necessario, questo fino a quando non ho aperto lo studio e sono stato risucchiato dal lavoro. Ricordo che mamma ne era entusiasta, mi vedeva sempre meno preso da questa roba tossica e più concentrato sul riuscire a costruirmi una rete di clienti con l'aiuto di Trevor, il mio migliore amico da tempi immemori. Ne sono rimasto sorpreso anche io quando la donna che mi ha messo al mondo, la donna che amo più di ogni altra cosa insieme alle mie gemelle, me lo ha fatto notare. Talmente immerso nella passione che sono riuscito a tramutare in lavoro non mi ero nemmeno reso conto di aver mollato quello schifo. Ho cominciato a fumare sempre meno e sono persino arrivato a pensare che avrei smesso del tutto prima o poi, peccato che poi il Red Moon abbia affrontato una tempesta che ci ha soffocati tutti. Problemi su problemi, debiti su debiti e adesso, tornati a lavoro da qualche mese, navighiamo in un mare di incognite. È difficile riprendersi dopo il pensiero di dover buttare nel cesso tutte le attrezzature per cui tu e il tuo socio avete tanto faticato. È difficile tornare a casa la sera con l'idea che da un giorno all'altro i soldi per l'affitto potrebbero finire perché non ci sono più modi di scampare alla verità. È maledettamente difficile.
Quindi, eccomi qui, messo con le spalle al muro dalla vita, ad accendere la prima sigaretta. La settimana non è cominciata bene e sono quasi certo che si concluderà alla stessa maniera. Tre appuntamenti cancellati, due rimandati chissà a quando e il fiato sul collo dell'affittuario che ci chiede i soldi. Oh, e non dimentichiamoci che devo trovarmi un dannato coinquilino visto che quello attuale ha deciso di mollarmi. Trevor mi ha già proposto di andare a stare da lui ma non se ne parla. Sono troppo scattante nell'ultimo periodo, troppo sull'orlo di una crisi nervosa per affrontare un trasloco e rischiare persino di litigare con il mio socio. No, è meglio non mischiare la vita privata con gli affari. Affari che vanno di merda ultimamente. A telefono con mamma non è semplice mantenere una facciata tranquilla, addirittura speranzosa ma ci riesco, così come faccio con tutti.
«Va alla grande, sì.»
«Ci stiamo riprendendo, come no.»
Tutte frottole.
Una dopo l'altra.
Sono consapevole che io dovrei essere il primo a credere in me, in Trevor, nelle potenzialità del Red Moon, ma come faccio a fare una cosa del genere se lo studio è quasi arrivato al punto di non poterle sfruttare queste potenzialità visto che si trova quasi sull'orlo di uno strapiombo?
Prendo un respiro profondo, inalando la nicotina e chiudo gli occhi poggiando la testa sulla superficie gelata. Rilascio il fumo tra i denti e tiro su col naso.
Apro gli occhi sentendo come uno strano ronzio e aggrotto la fronte quando vedo una pazza in abito da sposa pedalare verso di me. Spero abbia intenzione di spostarsi, altrimenti rischierà di finire spiaccicata contro il muro e non credo sarà un bel vedere. No. Ho già abbastanza problemi nella mia vita, di sicuro non sarò testimone di un suicidio. Ci sarebbero troppe scartoffie da firmare.
Vedo la pazza scendere immediatamente dalla bici e portare una mano al petto, come se si stesse accertando di essere ancora in vita e di non avermi ucciso.
Certo che sei ancora viva, psicopatica in bianco.
Mentre dà di matto pensando di avermi quasi investito, rimango fermo a fissarla, una sigaretta in mano che porto alle labbra e un'espressione scocciata in viso.
«Harper è un nome terribile» butto fuori il fumo dopo qualche minuto di silenzio.
«Eh?» mi guarda confusa, il cuore ancora in gola.
Devo dire che anche stridula, la sua voce non è niente male. Non è squillante ma nemmeno troppo profonda, è... piacevole.
«Sul cestello» specifico accennando col mento all'oggetto in questione.
Segue il mio sguardo e inorridisce.
Fiori e stelline incorniciano sei lettere.
Penso abbia appena realizzato di aver rubato una bici ad una ragazzina.
Il nome è carino ma è stato divertente vederla sbiancare poco fa.
«Cielo, no. Non mi chiamo Harper. È orrendo» arriccia il naso, come disgustata.
«Mia madre si chiama Harper» assottiglio gli occhi, prendendola in giro.
Lei sgrana i suoi.
Beh, non credo abbia colto l'ironia.
Non che io sia stato poi chissà quanto esplicito.
«Beh, sono certa che lei sia una tipa a posto» guarda dietro di sé. Il perché credo lo sappia solo lei.
«Adesso posso entrare?» torna a guardarmi con quegli occhietti smarriti.
«Dipende. Hai intenzione di farti un tatuaggio?»
«Sì», risponde piccata.
Ha carattere la ragazza.
Mmh.
«E con quali soldi?» la schernisco.
«Questi qui» dice prima di infilare una mano dentro la scollatura di quello che ha l'aria essere un costosissimo vestito. Ci fruga dentro tranquilla, quasi come se non ci fosse un completo sconosciuto davanti a lei ad osservare ogni sua singola mossa. Dopo qualche secondo, tira fuori un paio di banconote e me le sbatte sul petto.
Sembra così aggraziata all'apparenza. Peccato che con i fatti abbia la leggerezza di un elefante.
«Mi farò andare bene qualunque cosa. Ora...» molla la bici in un angolo «entro.»
Detto ciò, afferra l'orlo dello stupido vestito e mi supera prima che sia troppo tardi.
«Va bene, Harper, vediamo cosa possiamo fare con... trentacinque dollari» la stuzzico mentre conto alla svelta le banconote e la seguo all'interno del Red Moon.
Indignata dal mio tono divertito si volta di scatto facendo arrestare i miei passi.
«Io mi chiamo Vivienne» assottiglia lo sguardo, cercando di intimidirmi.
Piacere di conoscerti, Harper.

𝐃𝐀𝐍𝐍𝐘, 𝐓𝐑𝐄𝐕𝐎𝐑, 𝐓𝐎𝐌, 𝐂𝐀𝐋𝐄𝐁Where stories live. Discover now