Capitolo 57

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Il tempo scorre, puoi essere triste o felice, ma questo scorre anche se non lo vorresti.
È un'arma a doppio taglio: quando si è giovani, si tende a far scorrere le lancette dell'orologio sempre più velocemente non godendoti di quegli anni che stanno passando.
Poi arriva un momento, dove ti fermi, e raggiungi i tuoi obbiettivi, ed allora ti guardi indietro e rifletti sul tempo appena trascorso e ti rendi conto che vorresti fermarti ed assaporare meglio tutti gli eventi appena passati; ma non puoi. La vita va avanti, e non puoi nemmeno rimpiangere ciò che non è stato fatto, perché il tempo anche lì va avanti, e più piangi sul latte versato, meno occasioni hai per goderti il futuro.
Ma per un'essere immortale il tempo non ha questa valenza.
Eppure, dopo aver conosciuto la famiglia Stark, tutto è cambiato.
Trascorrevo i giorni con la costante paura di poter perdere un frammento importante della mia vita, e quindi mi godevo ogni attimo come se fosse l'ultimo.

Con lentezza accarezzai i capelli biondo cenere del piccolo Samuel J, Antony, Rogers.
Lui era la mia stellina, ed io ero la sua luna.
Si era addormentato con la testa sulle mie gambe e non potevo fare altro se non ammirare quanto il suo volto somigliasse a quello di Steve.
Aveva quasi due anni ormai, ed io non riuscivo a non innamorarmi ogni volta che lo vedevo.
I capelli biondi, la pelle di porcellana, due pozze cristalline al posto delle iridi, le guance paffute e le labbra un po' più rosee.
Per il carattere, sebbene fosse ancora piccolo, la somiglianza con il mio e quello di Tony era strabiliante.

«A cosa pensi Svitatella?» la voce di Tony mi risvegliò dai miei pensieri.
Lo vidi sedersi proprio difronte a me, nel salottino di casa sua, e guardarmi preoccupato.
«Niente?» provai a mentire ma perfino un bambino di due anni si sarebbe reso conto della mia pessima bugia.
«Prova a ripeterlo in modo più convincente» mi prese in giro lui.
La verità era che pochi giorni prima io e Steve avevamo discusso, ed ora entrambi ci stavamo evitando.
In realtà, erano esattamente cinque giorni che entrambi non ci rivolgevamo la parola.
E forse stavolta aveva ragione lui.
C'era una remota possibilità di poter far tornare tutto come prima, di poter far tornare tutti di nuovo qui.
Ma io non volevo perdere quello che avevo costruito ed avevo categoricamente rifiutato anche la minima possibilità di cambiare le cose.
In realtà, io e Tony ci eravamo fermamente opposti.

Quattro giorni prima.

«La piccola Morgan sta diventando sempre più simile a te» dissi a Tony, prendendo un sorso del tea alle erbe fatto in casa da Pepper.
Eravamo sul portico, seduti su delle poltroncine in vimini, io con in braccio il piccolo J, o come lo chiamavo io, Jay, ed ammiravamo il sole che baciava il lago cristallino.
Avevamo appena trovato Morgan giocare con le armature di Tony.
Nonostante il miliardario sostenesse di essere andato in pensione, spesso capitava che entrambi scendevamo al piano inferiore di casa sua, per smanettare con le sue armature.

«Tu dici? A me sembra che invece abbia ereditato da te il persuadere sempre tutti».
«Papà! Papà!» strillò Morgan correndo tra le braccia del padre.
Aveva un giornale in mano, ed appena Tony la posò sulle sue gambe lo guardai con la coda dell'occhio e feci una buffa smorfia confusa per la sua affermazione «Biologicamente parlando, non è possibile come cosa» gli feci notare.
«Me lo compri?» la piccola indicò il giornaletto.
«Che cos'è? Una bambola di plastica?» chiese Tony confuso.
«Ma no! È Barbie Regina dell'inferno fatato».
«Ah, scusa. Come ho fatto a non notarlo prima!» borbottò sottovoce per poi scoccarmi uno sguardo come a dire 'vedi? Ho ragione!'
Poi si rivolse a me «Vedi? Come spieghi il fatto che ogni sua richiesta viene accontentata?».
Alla sua affermazione ridacchiai «Non c'è nessun potere!» esclamai sorridendo «Stravedi per Morgan, e la piccola diavoletta lo sa benissimo, per questo chiede sempre a te».
«E questo non è un potere?» il tono di voce di Tony si fece stridulo.
«Si, quello del farti fesso».
Prima mi fulminò con gli occhi, poi guardò Jay e gli strinse leggermente le guanciotte «Ancora non ho capito perché questo piccolo semidio ha la bellezza di tre nomi, e ti ostini a volerlo chiamare semplicemente Jay» mi rimbeccò lui.
Accarezzai la piccola testolina bionda per poi baciarla teneramente.
Tony non aveva tutti i torti, ma una piccola parte di me sentiva che era giusto cosi.
Bucky ci aveva fatto del male in passato, ma non era in lui, ed io lo avevo perdonato.
Ma non era solo per questo: se non fosse stato per Steve, molto probabilmente Bucky sarebbe stato l'unico capace di amarmi come meritavo; anzi molto probabilmente non avrebbe mai lasciato dei conti in sospeso.
Bucky era così diverso da Steve, quello che voleva, lo prendeva e basta.
Steve invece, doveva riflettere bene prima di fare una qualsiasi mossa.
E forse era anche per questo che fra me e lui è sempre stata un'altalena di emozioni.
«James è una parte importante della vita di Steve» decisi di non rivelare tutto ciò che stavo pensando.
«Ma anche della tua» subito Tony colpí l'argomento.
Sospirai.
Non potevo nascondere granché al miliardario «Forse è per questo che preferisco chiamarlo Jay» feci un cenno del capo verso mio figlio.
Tony mi guardò dolce per poi scuotere la testa «Preferisci Jay perché se non avessi mai conosciuto Steve, molto probabilmente ti saresti perdutamente innamorata di James Barnes, il ragazzo che hai salvato da quel treno in corsa».
Strabuzzai gli occhi per il modo in cui Tony riuscisse a leggermi nella mente, poi il miliardario continuò «Ma hai conosciuto Steve, ed hai compreso che sarebbe stato tutto fin troppo semplice per i tuoi gusti con Bucky; ma al tempo stesso non ti spieghi come sia possibile sentire la mancanza di una persona che sai di non amare veramente».
Tony stava toccando tutti i punti più nascosti della mia anima, ed io mi sentii vulnerabile.
«La risposta è che ami entrambi: da un lato hai Steve, colui che ti ha fatto scoprire cosa significa davvero amare così tanto da stare male, dall'altro James, colui che ucciderebbe un'intero arsenale per vederti felice e che non ha mai lottato contro quello che provava per te» il suo tono era deciso e serio.
Stetti per ribattere ma lo scricchiolio delle ruote di una macchina sulla ghiaia ci fecero voltare verso la fonte di quel rumore.
Dall'auto scesero Natasha con la piccola Amora in braccio, Steve, ed un uomo mai visto prima d'ora.
La prima aveva deciso di farsi crescere i capelli, e la tinta color biondo le copriva solo le punte.
Indossava un pantalone di pelle ed un cardigan verde.
La piccola Amora aveva preso il colore dei capelli rossi dalla madre, mentre la pelle era lattea proprio come il padre, con qualche spruzzata di lentiggini sul naso e sulle guance. Da Loki aveva preso anche gli occhi: verdi smeraldo.
Steve chiuse la portiera dell'Audi e mi si mozzò il fiato nel contemplare la sua bellezza.
Una giacchetta nera di pelle e la maglietta del medesimo colore, i jeans scuri che gli fasciavano perfettamente le gambe, ed i capelli portati all'indietro lo rendevano l'uomo più affascinante che avessi mai visto.
Si avvicinarono a noi con sguardo preoccupato.
Io e Tony ci alzammo dalle nostre sedie con Morgan e Jay in braccio.
«Chi è il nuovo arrivato?» chiese Tony una volta che ci raggiunsero.
«Sono Scott!» disse «Scott Lang» precisò.
Non era troppo alto, capelli scuri, abbigliamento abbastanza discutibile e sguardo da pesce lesso.

PHOENIX ☯︎︎//MARVELWhere stories live. Discover now