Capitolo Cinquantaquattro

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«So che non era sua intenzione, farle del male.» disse Solean, «E so che parte della colpa è mia. Accetto il peso che sono costretto a portare, e tra tutti i miei ricordi, voglio tenerlo, anche se fa male. Perché è giusto. Ma Therius... Therius non si è nemmeno reso conto di ciò che ha fatto. Non si presentò nemmeno al capezzale di Jaliarin, né per dirle addio, né per chiederle perdono.»

«Credo che il suo sfregio lo abbia reso incapace di comprendere che cosa siano la morte e alcune altre questioni basilari.» disse Rozsalia, pura. Vedeva solo il bene nei Djabel. Vedeva solo il bene negli Ember. Era così cieca.

Lo sguardo di Solean scattò su di lei, a metà tra incredulo e tradito. Lo stava difendendo?

Rozsalia inclinò lievemente la testa, come a chiedere a Solean che cosa ci fosse di male, in ciò che aveva appena detto.

Ma era proprio questo il punto. Non c'era nulla di male. Il male mancava. Ma il male doveva esserci. «Non è colpa sua.» continuò la giovane, «Come hai detto tu stesso, Therius non si rende conto di ciò che significhi la morte. I suoi compagni che cadono in battaglia, lui dice che sono andati via, o che non sono tornati. È come un bambino.»

«Già, è come un bambino.» convenne Solean, ma la sua voce era amara, le sue sopracciglia aggrottate, «Deve crescere.» disse.

«Solean...» cominciò a dire Rozsalia, slacciando la mano sinistra dalla loro stretta, e usandola per accarezzare il volto del giovane.

Lui la prese con la sua destra, e copiò Rozsalia nella posa, puntando il gomito sul cuscino e sdraiandosi sul fianco. I suoi occhi del colore del miele non si staccarono per una frazione di secondo da quelli celesti di lei. Solean non batté nemmeno le palpebre, rimanendo pienamente concentrato sul volto di Rozsalia.

«Anche se non aveva il controllo, è colpa sua.» disse lui, incapace di giustificare Therius.

Poi, i suoi occhi si addolcirono. «Io non potrei mai perdonarmi, se facessi del male alle persone che mi sono vicine, di nuovo, con le mie illusioni o semplicemente a causa dello sfregio. Se facessi del male a te...» l'ipotesi spaventò entrambi, e Solean si ritrovò a ringraziare di trovarsi in quella condizione, immobile e innocuo nel mondo Reale.

«Per questo non riesco a perdonare né Therius, né mio padre.» continuò il giovane, «Anzi, il mio falso padre.» si corresse, il suo sguardo ora basso, in un punto casuale del materasso, tra loro due.

«Non potrei perdonare nessun Yksan. Non potrei perdonare nessun assassino. In qualsiasi circostanza.»

La sua mente andò alla guerra, alla guerra che rendeva tutti degli assassini. Anche Larenc doveva esserlo, allora. Anche i suoi vecchi amici dell'Accademia. Ma no, non poteva perdonarli. Perché avevano sottratto una vita al mondo. Avevano destinato qualcuno all'oblio. E questo è semplicemente imperdonabile.

«Tu non sei un Yksan.» lo rassicurò Rozsalia, sorpresa di sentirlo parlare in quel modo.

«Sì che lo sono.» ribatté Solean, i suoi occhi di nuovo sul volto di lei. «Chi è un Yksan, in fondo? Un Djabel che ha ricevuto uno sfregio cerebrale, e che in seguito a questo è stato mandato a Noomadel. Questo è ciò che sono, quindi non ho nulla di diverso da tutti gli altri Yksan che si trovano qui.» allungò di nuovo la mano verso quella di lei, e la strinse, per poi portarsela alle labbra, «Rozsa, tu sei l'unica ad avere qualcosa di diverso. L'unica che possa cambiare le cose. L'unica qui a Noomadel a poter combattere, e a non essere una Yksan.»

«Come era stata Kerol.» ricordò Rozsalia.

Solean aggrottò le sopracciglia, per un attimo, come se non avesse chiaro di chi stesse parlando.

EmberWhere stories live. Discover now