Capitolo Cinquantaquattro

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La routine di Rozsalia era stancante di proposito. La sera, il sonno calava su di lei molto presto.

E quella sera, di uno degli ultimi giorni d'autunno, Rozsalia ripeté le stesse azioni, e gli stessi gesti. Prima congedò i Megert che si occupavano di Solean mentre lei non c'era, poi indossò la propria camicia da notte, e si infilò sotto le coperte.

Più si trovava vicina a Solean, più i sogni erano chiari, limpidi come la realtà stessa. Quindi, quando si addormentava accanto a lui, tenendo la sua mano, Rozsalia chiudeva gli occhi nel mondo reale solo per riaprirli in un sogno perfettamente identico. Solean era disteso nel letto, accanto a lei, e i suoi occhi si aprivano. La luce era spenta, proprio come l'aveva lasciata Rozsalia, ma Solean si voltava solo per un secondo ad accendere la lampada accanto al letto. Non vi erano macchine che lo tenevano in vita, e non vi era altro all'infuori di quella stanza. Rozsalia aveva provato a uscire, una volta, ma il corridoio si perdeva nel nero, e la giovane aveva paura di continuare a camminare. E non ne aveva motivo.

Solean aveva tentato di girovagare per quel mondo Onirico, ma poco aveva visto, all'infuori di quella camera. La terrazza oltre la vetrata gli offriva una vista sul mare, sul golfo, e se lo avesse voluto, Solean avrebbe potuto gettarsi da quell'altezza senza farsi male. All'infuori di Noomadel, tuttavia, i dettagli erano sempre più sfocati. Il suo mondo, al contrario di quello di Rozsalia, si perdeva nel bianco, come se non fosse ancora stato inventato, il dipinto di un pittore troppo impegnato in altre opere d'arte.

Quella notte, Solean stava passando una spropositata quantità di tempo perso a guardarla negli occhi, come se si aspettasse qualcosa, da lei. Era sempre lui a iniziare a parlare, a chiederle della giornata, come se fosse appena tornata a casa, e lui avesse passato il pomeriggio a leggere libri nel soggiorno, di fronte al focolare.

Rozsalia arrossì, e sorrise. «Smettila...» mormorò, osando lanciare un'occhiata in direzione di Solean. Non aveva ancora distolto lo sguardo.

Il giovane sfoderò un sorriso, con il quale avrebbe potuto farsi perdonare qualsiasi misfatto. «Sei diversa, oggi.» notò, tornando a un'espressione un poco più seria. Ma solo un poco. «Che è successo?»

Rozsalia sospirò, sdraiandosi sulla schiena, e prendendo a osservare il soffitto, dal quale pendeva un elegante e ricco lampadario in oro e cristallo, ma senza mai lasciare andare la mano di Solean. «Niente di particolare, in effetti.» disse, sincera, cercando di ricordare, «Se non che ancora non ho capito che cosa intenda dire Therius, quando mi chiede come stia. Non capisco a chi si riferisca.»

«In realtà, credo di essermi fatto un'idea.» disse Solean.

Gli occhi di Rozsalia scattarono verso di lui. Qualsiasi traccia, anche solo abbozzata, sarebbe stata meglio di quella frustrante sensazione di inconsapevolezza.

«Credo che si tratti di Jali.» continuò Solean.

Rozsalia si sdraiò di nuovo sul fianco destro, rivolta verso di lui. Gli diede la mano sinistra, usando ora la destra per sostenersi il capo, il gomito puntato sul cuscino. Era curiosa di conoscere tutta la storia dietro a quel nome femminile che Solean aveva pronunciato più di una volta. Le aveva detto che le assomigliava, che le aveva ricordato di lei mentre la stava ancora aspettando.

Le raccontò allora il resto della storia. Le raccontò della sua morte, avvenuta a causa di Therius, della sua mancanza di controllo. E raccontò della colpa che sentiva di dover portare, per non averlo fermato in tempo, per aver dato un ordine come quello ai Djabel senza considerarne le conseguenze.

Raccontò di essersi affezionato a Jaliarin. Era l'unico con cui la ragazza riuscisse a comunicare. E raccontò di avere sofferto molto, quando morì.

E non riusciva a non biasimare Therius.

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