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CAPITOLO SEDICI
IL MIO DONO È IL DOLORE

La bella e tiepida serata di un autunno particolarmente mite, faceva fremere sulla sedia Abigail, che avrebbe voluto uscire da quella stanza per andarsi a fare una lunga passeggiata

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La bella e tiepida serata di un autunno particolarmente mite, faceva fremere sulla sedia Abigail, che avrebbe voluto uscire da quella stanza per andarsi a fare una lunga passeggiata. Nel cuore della notte, il bussare insistente alla porta, fece precipitare la mora dal mondo dei sogni. Sdraiata sul letto, sentii la porta aprirsi improvvisamente.

"Alzati." era la voce di Levi.

"Che vuoi?" domandó la ragazza, senza voltarsi.

"Vieni con me." ordinó.

La tensione era palpabile. Era stravolta al punto che non riusciva a parlare, così accettó senza fare discussioni. Poi con uno sforzo riuscì a dire: "Dove dobbiamo andare stavolta?"

"Lo vedrai." Abigail cercava di contenere l'angoscia che la stava attanagliando, ma le mani le tremavano e sentiva il cuore esploderle nel petto. Anche Levi non stava vivendo momenti tranquilli.

Si affacció dalla finestra che dava sulla strada più importante della città sotterranea: alle tre di notte non si vedeva in giro anima viva, "Non c'è nessuno fuori, non possiamo uscire domani mattina?" esordì cercando di essere convincente.

"No." il tono di voce di Levi era forte e deciso. Aprii la porta e le fece cenno di seguirlo.

Si avviarono a piedi lungo la strada che avevano percorso lei ed Hanji, cambiando però completamente direzione. Abigail non aveva idea di dove la stava portando. La notte emanava nel silenzio, un'atmosfera singolare: il buio aveva un odore lugubre.

Levi era un amante della notte. Lo aveva sempre affascinato, forse perchè amava le stelle e queste si potevano vedere solo di notte. In realtà credeva che c'era dell'altro: la notte era serena, silenziosa e si spingeva alla solitudine, ma anche ad un pensiero più profondo. Amava la notte e tutti i suoi odori, i suoi sogni, i suoi desideri. Spesso come era successo quella notte, si aggirava per le vie della città, mentre tutti dormivano o erano intenti a far baldoria in qualche locale pieno di amori che stavano per nascendere o di amori che stavano per finire, ecco, mentre gli altri si divertivano così, lui si divertiva a girovagare per la città, guardando le piazze, le strade e i vicoli illuminati.

Quando si andava di fretta non ci si accorgeva di quello che ci stava intorno, si dava per scontato. Invece, durante la notte, dove tutto era più lento, si riusciva a scorgere stati d'animo non solo delle persone, ma anche delle cose.

Così si aggiravano per le strade illuminate di color giallognolo dai lampioni che riflettevano una luce serena e dolce, riuscivano a scorgere alcuni vicoli e alcune case piene di storia. Si fermarono di fronte un edificio abbastanza grande, vecchio e sporco all'esterno. Il cortile era ricoperto dalle erbacce. Era di una casa abbandonata. Il giardino era per niente curato e le erbacce si arrampicavano su per i muri fatiscenti. La porta era di legno, massiccia, all'antica.

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