Ibrido

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Monika discendeva da una famiglia maledetta: per parte di padre era una bambola e per parte di madre un demone.

Le due parti erano perennemente in conflitto: facevano a gara tra chi dovesse prevalere e impossessarsi dell'anima della giovane donna. In quei casi, Monika non sapeva a chi dare ascolto e si limitava a sedersi con la testa tra le mani. Era così confusa, in bilico tra l'umano, il demone e la bambola.

Avrebbe tanto voluto che la sua anima frammentata e terribile formasse un'unità omogenea, che la guerra interiore che la tormentava da ventun'anni cessasse e la lasciasse vivere in pace.

Quando prevaleva il demone era costretta a compiere delitti orribili. Il demone, infatti, come tutti quelli della sua stirpe materna, si nutriva del sangue degli umani. Tuttavia, quello nel corpo della donna era più vorace, crudele, ma soprattutto, violento.

Donne, uomini, bambini, anziani, chiunque andava bene, l'importante era che il mostro, quello stesso mostro che era lei, si saziasse.

Più persone uccideva più lacrime di sangue versava: era il sangue delle sue vittime, che sgorgava dai suoi occhi senza sosta placandosi solo al mattino.

Non si saziava mai. Notti passate a uccidere non lo placavano, nessuna goccia di sangue versata era sufficiente.

Il demone era così famelico che Monika si feriva apposta pur di farlo tacere. Ma era tutto inutile.

Invece, quando a prevalere era la bambola, la sua pelle diventava porcellana bianca, finissima e fragile. Non riusciva a muovere un solo muscolo e spesso le era impossibile addirittura parlare.

Ma la cosa peggiore era il dolore lancinante che la affliggeva. Era inerme e sofferente e l'unica cosa che poteva fare era fissare il baldacchino scuro e pesante come la sua anima.

C'erano volte in cui il suo corpo si tramutava completamente, altre in cui solo alcune parti, come gli arti o il viso; in quei casi, la porcellana premeva sulla carne nelle vicinanze provocando un dolore ancora più intenso. Tuttavia, i crampi la costringevano sempre a letto, fino a quando la bambola non fosse ritornata al suo posto.

Purtroppo non riusciva a prevedere nè a tenere sotto controllo la trasformazione.

Due settimane fa si trovava incredibilmente al ballo dei suoi vicini, i signori Simshauser, quando sentì i gomiti irrigidirsi in seguito a un dolore intenso in quella zona.

Capì che la bambola stava uscendo allo scoperto e così scappò via, sgattaiolando tra le ombre del colonnato che circondava la magione, nascondendosi nella loro oscurità.

Era davvero raro che Monika andasse alle feste. Si sentiva sempre inadatta e inopportuna, come un pesce fuor d'acqua, Semplicemente si sentiva diversa.

Per questo evitava le grandi cerimonie, le occasioni di leggerezza e di svago, gli ambienti rumorosi e affollati, i suoi simili, in particolare Bart Simshauser, che quando la guardava la faceva sempre avvampare. Lei, però, non poteva metterlo in pericolo, non poteva condannarlo a condividere la sua tragedia.

Non si sentiva a suo agio neanche con i propri genitori, le uniche due persone che potevano capirla e compatirla. Al contrario, provava solo rancore verso di loro per aver generato un mostruoso e pericoloso ibrido come lei.

Chi avrebbe mai voluto nascere, sapendo quello che sarebbe stato per tutta la vita?

Era giunta la notte, con le sue insidie e le sue ombre, il momento in cui nessuna delle due parti prendeva il sopravvento ma si manifestavano insieme e mostravano la vera natura della ragazza.

La luna nuova riempiva il cielo con la sua figura, l'aria era ferma e le ombre stavano in agguato.

Monika era seduta in giardino, sotto un vecchio pesco malato che non produceva più frutti da quasi tre anni, e guardava le macchie di sangue sulla sua vestaglia con la testa tra le mani.

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