Capitolo Trentaquattro

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Un ampio squarcio sul suo petto e l'addome rivelava carne rossa, viva, e pulsante. Una vista che Larenc non riuscì a sostenere.

Il giovane prese la radio, e comunicò la sua posizione. «Zona C, Comandante Endris Larenc. L'Halosat Guerriero Maggiore Endris Walturn è stato ferito. Mandate soccorsi.» Vi prego, avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne.

«Stanno arrivando.» si rivolse al padre, pregando che riuscisse a sentirlo.

L'uomo sbatté le palpebre. Era ancora vivo. Era tutto ciò che Larenc voleva sapere.

Il giovane recuperò il nagyvet del padre, e usò anche quello per creare la sua trincea improvvisata. Se gli Yksan avessero avanzato ancora di qualche passo, li avrebbero investiti con tutte le loro forze. Fortunatamente, sembravano più impegnati ai lati, nelle zone D, a sud, e B, a nord.

Larenc si guardò attorno, alla ricerca di Solean, e poi in alto, sperando di scorgere il Dragone di Kerol. Non vide nessuno dei due. Ma avrebbe guardato ovunque, piuttosto che di fronte a sé.

Una rapida occhiata alla figura di suo padre fece stringere un nodo al suo stomaco, e Larenc fu costretto a voltarsi di nuovo.

Guardò l'orizzonte, incolpando se stesso per tutto quel grigio. Per tutto quel nulla.

Non aveva idea di che cosa fosse successo a Kerol, non sapeva se avrebbe potuto ancora chiamare Solean un suo amico, e stava per perdere suo padre. Stava per rimanere solo.

E stava per morire, anche lui. Sarebbe servito un miracolo, per salvarlo.

Solo quando temette in un miraggio, o nel tremolio delle proprie lacrime, si rese conto di non essere solo. Di non essere morto. Non ancora.

«Sono già qui.» annunciò, sorpreso.

Quattro soldati. E avevano fatto in fretta. Si vedeva che suo padre era un uomo importante. Per una volta, Larenc fu lieto della sua illustre discendenza, e soprattutto dell'assenza di Khilents sul campo.

Larenc aiutò a caricare il ferito sul suo nagyvet, e prese la punta dello scudo, alzando il proprio per riallacciarlo sulla sua schiena, mentre un altro Tesrat prese il capo e gli altri tre coprirono loro le spalle.

Fu nell'atto di voltarsi e lanciare il proprio nagyvet oltre le spalle che Larenc venne colpito.

Inciampò, trascinando con sé la barella improvvisata che era il nagyvet sul quale era sdraiato Endris Walturn. Ma non poté evitarlo. Un proiettile aveva attraversato il suo polpaccio sinistro, lacerando tendini e nervi, e costringendo Larenc a urlare dal dolore.

L'istinto fu di premere sulla ferita, prima anche solo di guardarla. «Posso farcela.» mentì, mordendosi il labbro, cercando di soffocare altre grida di dolore, «Mi dispiace,» si rivolse poi al padre, scusandosi per la brusca caduta, che senza dubbio aveva peggiorato ulteriormente le sue condizioni. «Posso farcela.» ripeté ancora, sforzandosi di alzarsi.

«Comandante Endris,» si rivolse a lui uno dei soldati che stava coprendo le sue spalle, e che a quanto pareva non aveva fatto un buon lavoro, «Anche Voi siete ferito, dovete—»

«Sto bene.» sibilò Larenc, a denti stretti, tirandosi di nuovo in piedi, ma spostando tutto il peso sulla gamba destra. Il dolore era lancinante, e ogni volta che posava il piede a terra, fosse solo per un momento, tirava un respiro, e si costringeva a non lamentarsi dal dolore.

Era un dolore diverso da quello muscolare a cui era quasi abituato – era localizzato, eppure pulsava, e si espandeva a ogni battito del suo cuore. Persino le ossa gli dolevano.

Si sentiva in bilico, costretto a cercare l'equilibrio mentre si sforzava di camminare. Una pressione eccessiva, e la sottile colonna bianca che lo sosteneva sarebbe andata in frantumi.

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