Capitolo 6.

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Sono in classe.
Accanto a me ora c'è Harry, non più Maggie. La sua assenza è difficile da mandar giù, ma è stata una cosa talmente rapida ed improvvisa che forse fa meno male.

Il professor Morrison sta spiegando, ma non me ne importa nulla della lezione, epica è l'unica materia dove ho 10 senza nemmeno seguire le spiegazioni. Le altre materie invece le odio tutte abbastanza, ma cerco di mantenermi tra il sette e l'otto in tutte.

Sul mio cellulare compare la notifica di un messaggio, è da parte di Dylan:

《Come va il primo giorno da ragazzo non più vergine? Manchi.》

Già. Non lo sono più dopo ieri. Non che sia una cosa negativa, ma mi sento in colpa.

Tanti ragazzi hanno momenti di smarrimento e fanno nuove esperienze, ma nulla di serio o sentimentale. La mia paura con Dylan è quella che possa diventare una cosa tanto seria da volerla vivere alla luce del sole. Se lo dicessi anche solo in famiglia, mia madre morirebbe e mio fratello mi ammazzerebbe.

[...]

Le lezioni sono terminate ed io posso tornare a casa.
Ad aspettarmi trovo solo mamma:
- Ciao mamma, tutto ok? -
- Ciao Jonathan. Ti aspettavo, volevo chiederti di scusarti con Colette -
- Seriamente? -
- Amore lo so che sei molto scosso ultimamente, ma quella ragazza ha bisogno di te, lo capisci Jo? -
- Si mamma. Andrò da lei -
- Grazie -

Ho appena finito di pranzare ed ora mi tocca andare a scusarmi, forse non so nemmeno di cosa.
Esco nel giardino sul retro e vado verso quello degli Smith. Le case sono collegate, ed anche i giardini, quindi in realtà è come se ce ne fosse solo uno.

Colette è seduta sull'altalena appesa al ciliegio. Sembra pensierosa; mi avvicino a lei cautamente:
- Ciao Colette, come stai? -
Lei alza lo sguardo verso di me, ma lo riabbassa subito:
- Ti importa? -
- Dai, mi dispiace -
- Ma perché mi tratti male? -
- Sono stressato, ma non dovevo prendermela con te -
- Ma lo hai fatto, Jonathan -
- Come posso rimediare? -
- Beh...potremmo passare il pomeriggio a pianificare parte del matrimonio -
Mi lascio sfuggire uno sbuffo e Colette fa di nuovo la faccia di una che è sul punto di piangere.
- D'accordo -
- Si! Grazie tesoro. Oh, scusa, volevo dire Jonathan -

Mi trascina al tavolino sotto alla quercia (sì, il nostro giardino è pieno di piante):
- Aspetta qui, torno subito -

Mentre me ne sto seduto ad aspettarla, dal retro di casa sua esce Dylan. Si siede di fronte a me e accende una sigaretta. Si avvicina per baciarmi, ma lo spingo via:
- Fermo -
- Cosa c'è stavolta? -
- Colette sta per tornare -
- Uff, perché? -
- Dobbiamo parlare del matrimonio -

L'espressione sul suo viso si indurisce:
- Non vorrai sposarla sul serio? -
- Dylan devo! - gli prendo una mano - Non guardarmi così -
- Ma non puoi -
- Come dovrei fare, scusa? -
- Non lo so Jonathan. Dille la verità -
- No! -
- Come sarebbe a dire 'no'? Fino a che punto vuoi fingere? -
- Ti prego, dammi tempo -
- Non ti aspetterò per sempre -
- Non per sempre -
- Per quanto? -
- Arriva Colette -
- Fottiti - spegne la sigaretta e se ne va.

Colette si siede ed appoggia sul tavolo un mucchio di campioni di tinte e di stoffe:
- Ma che aveva Dylan? -
- Non lo so -
- Ok. Senti, per il colore del matrimonio, avevo pensato al prugna o al verde menta. Cosa preferisci? -
- Menta? - due colori di merda.

Passiamo l'intero pomeriggio a parlare di idiozie di cui non mi importa nulla.

[...]

Guardo l'orologio, sono le 21.30. Stasera devo uscire con Shawn; è da un po' che non facciamo serate, forse per non ricordare com'era bello quando c'era anche Maggie.

Ad ogni modo, esco di casa e monto sulla moto di Shawn. Ci dirigiamo verso Pearl Park, un posto tranquillo dove si può bere senza il rischio di fare cazzate.

La serata procede bene, beviamo e fumiamo un po', per poi parlare del più e del meno.

Quando sono le due del mattino Shawn mi riporta a casa.
Per non svegliare nessuno passo dalla porta sul retro.

Appena metto piede nel prato sento una voce, una voce nota:
- Dove cazzo eri? -

Aguzzo lo sguardo e vedo Dylan seduto al tavolino.
- Cosa fai qua fuori? -
- Ti aspettavo. Rispondi -
- Ero con Shawn -
- Vanne fiero, eh -
- Ma cosa vuoi, era una serata tra amici -
- Si, e quello era un pomeriggio di studio - si riferisce al giorno in cui siamo andati a letto.
- Ma per favore! Non ci ho fatto niente, lo sai - mi avvicino a lui e gli passo una mano sul viso - Lo sai -

Dylan si alza di scatto e mi bacia. Butto le braccia attorno al suo collo e lo stringo a me.

Solo lui riesce a farmi sentire vivo.

- Vieni Jonathan - mi prende la mano.
- Dove mi porti? -
- Lo vedrai -

Andiamo nel capanno degli attrezzi. Qui non ci entra nessuno da anni, e non pensavo ci fosse dentro un materasso. Sopra quest'ultimo è steso un lenzulo che è stato palesemente appena messo.
- Avevi già preparato tutto, eh Dylan? -
- Spogliati -

Sono imbarazzato più che mai, è molto strano per me, anche se non è la prima volta. Faccio come mi dice.
Mi aspettavo che Dylan volesse fare 'qualcosa', invece si stende accanto a me e mi prende la mano:
- Stiamo qua tutta la notte -
- Non possiamo -
- Possiamo -
- E se viene qualcuno? -
- Ti fidi di me? -

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