Capitolo 5.

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Siamo ancora al parco. Sono tra le braccia Dylan e francamente non ho nessuna intenzione di muovermi.
Il sole che luccica sul lago, il suo profumo e semplicemente lui, tutto sembra una poesia.

- Hey Jonathan -
- Mh -
- È mezzogiorno, dobbiamo andare a casa -
- Non mi va di andare a casa, è doloroso scontrarsi con la realtà -
- Dai Jonathan, saranno in pensiero -
- Uff, ok -

Io e Dylan torniamo a casa, fingendo che non sia successo proprio nulla.
In realtà vorrei che fosse così. Sono etero e non ho dubbi su questo, sto solo attraversando una fase strana che penso ogni adolescente passa.

Appena metto piede in giardino mi si avvinghia al collo Colette. Indossa una gonnellina scozzese da studentessa ed  una camicia bianca semplice. I suoi occhi blu da cerbiatta brillano al sole e ha due trecce dorate che le scendono sulle spalle. È davvero carina, ma davvero difficile da sopportare.

- Jonathan tesoro, come stai? -
- Bene -
- Oh tesoro, mi dispiace -
- Passerà, anzi, non parliamone -
- D'accordo. Senti tesoro -
- Ok, non chiamarmi così -
Mi accorgo di aver alzato la voce non appena Colette fa quella faccia mortificata.
- Scusa. Sono molto provato -
- Capisco, volevo parlarti del matrimonio -
- Oh mio Dio! Non ne voglio parlare! -

Non l'avessi mai detto. Di colpo Colette scoppia a piangere e corre in casa sua. Contemporaneamente mia madre mi raggiunge in giardino urlando:
- Jonathan! Come puoi trattarla così? -
- Sei scema!? Maggie - un lampo di dolore mi attraversava - Maggie se ne è andata per sempre solo poche ore fa e quella mi parla di matrimonio?! -
- Ma... -
- Dio! Nemmeno tu mi capisci! -
- Mi dispiace... -
- Senti lasciami stare -

Entro in casa e me ne vado in camera mia. Penso sia stata una delle giornate più provanti della mia vita, ed è solo l'una di pomeriggio.
Ultimamente la mia vita mi sembra un grosso, mastodontico casino di merda.

La porta della mia camera si apre e sulla soglia compare Travor:
- Jona, mi dispiace per la tua amica -
- Ok -
- Ma che è successo con Colette? -
- Nulla di cui preoccuparsi -
- Ma si è messa a piangere -
- Ma chi se ne frega -
- Ma che ti prende? È tua moglie -
- No, non lo è - rispondo schietto.
- Beh, lo sarà -
- Esci. Voglio stare solo -
- Va bene -

Travor esce ed io mi butto sul letto senza forze. Ho solo voglia di dimenticare tutto.

[...] il giorno dopo

Un tuono sordo interrompe il mio sonno svegliandomi. Guardo l'orologio, sono già le quattro di pomeriggio.
Mi alzo dal letto ed esco dalla mia stanza per andare in cucina, ora ho una fame che non ci vedo.

Appena entro nella stanza vedo seduto al tavolo mio padre:
- Papà, che fai qui? -
- Pensavo, figliolo -
- Tutto bene? -
- Siediti accanto a me -
Faccio come mi dice.
- Ti vedo strano Jonathan. Da un po' sei diventato serio e scontroso, vuoi parlarne? -

Mio padre è il mio supereroe, c'è sempre stato, in ogni momento. Sento di dovergli dire la verità, anche se mascherata:
- Beh, c'è questa ragazza che... -
- Che? -
- Lei mi piace papà, ma non può nella maniera più assoluta piacermi -
- Per Colette? -
- Si ma non solo -
Papà si ferma a riflettere qualche secondo, poi alza la testa verso di me:
- Pensi di poter reprimere il tuo sentimento? -
Sorrido: - Non lo so -

La nostra conversazione viene interrotta da qualcuno che bussa alla porta. Mio padre va ad aprire:
- Salve signor Adams -
- Ciao Dylan -

Mi alzo di colpo dalla sedia e vado anch'io alla porta.
- Come posso aiutarti? -
- Jonathan può venire ad aiutarmi con un problema di algebra? So che è bravo in questa materia -
- Certo -

Seguo Dylan, consapevole che non ha nessuna intenzione di studiare.
Entriamo in casa ridendo:
- I tuoi? - chiedo.
- Fuori con Colette -
- Se l'è presa ieri? -
- Ma dobbiamo parlare di lei? -
- No. Anzi, non diciamo una parola -

Mi avvicino al suo viso e lo bacio. Senza che le nostre labbra si stacchino, andiamo nella camera da letto: la luce è poca, ci siamo solo noi in casa e il temporale che c'è fuori rende il tutto ancora più bello. Questa volta sono io a stare sopra a Dylan. Mi levo la maglia e faccio lo stesso con lui.
Lui interrompe il bacio:
- Sei sicuro Jonathan? -
- Si. Ora zitto -
- Tra qualche ora ti odierai -
- Non mi importa, mi importa solo di noi -
- Noi? - sorride.
- Noi -

Riprendo a baciarlo. Dato che sono completamente inesperto, tento di imitare quello che aveva fatto Dylan, ma poco dopo mi 'viene in soccorso' prendendo lui le redini della situazione.

[...]

Dylan è steso a letto accanto a me, a coprire i nostri corpi solo un lenzuolo.
Mi passa una mano tra i capelli, poi la poggia sulla mia guancia. Con l'altra mano tiene stretta la mia:
- Perché mi guardi così, Dylan? -
- Come? -
- È da quando sei tornato che mi guardi in un modo strano. Perché? -
- Perché sei bellissimo. Lo sei sempre stato -

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