Capitolo 1.

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Questa mattina, come sempre, sono in ritardo per le lezioni.
Entro in classe e farnetico qualche spiegazione vaga per giustificarmi, ma alla Roberst, la prof di fisica, importa solo poter riprendere la sua noiosa spiegazione.

Vado al mio posto e mi siedo. Maggie mi guarda con un mezzo sorrisetto:
- Sentiamo, perché sei in ritardo stavolta? - sussurra.
- Non ho sentito la sveglia -
- Tanto per cambiare -

La mattinata scorre lentamente, tra i pallosi insegnamenti dei professori esauriti di biologia ed algebra.
Quando suona la pausa pranzo io e Maggie andiamo in mensa, dove Shawn ci raggiunge:
- Ciao ragazzi - ci saluta.
- Come va? -
- Tutto ok. E a te come va? -
- Non c'è male - replico.
- Ragazzi muovetevi! Abbiamo solo mezz'ora di pausa - ci interrompe la voce acuta di Maggie.

[...]

Sono le 16.00, sto tornando a casa da scuola come faccio sempre, quando d'improvviso il mio cellulare inizia a squillare insistentemente:
- Pronto - rispondo.
- Jonathan, sono mamma! -
- Ehm, ciao -
- Non hai idea di chi sono i nuovi vicini! -
- Chi sono? -
- Gli  Smith! -
- Davvero!? -
- Si! Corri a casa, ti stiamo aspettando, Jonathan -

Gli Smith erano praticamente gli amici più cari dei miei genitori, prima che loro si trasferissero in Florida. Oltretutto hanno anche due figli, Colette che ha la mia età e Dylan che invece ha l'età di mio fratello (cioè vent'anni).
Di loro ricordo solamente che i nostri genitori sognavano che sposarsi Colette e niente più.

Arrivo a casa e mi ritrovo difronte un branco di pazzi urlanti, esaltati a dismisura. Karen, la signora Smith, mi viene incontro:
- Dio, Jonathan! Come ti sei fatto bello e grande! -
Sorrido imbarazzato.
- Lascia che ti presenti, anche se già la conosci, mia figlia Colette -

Con il palmo della mano rivolto verso l'alto, mi indica una ragazza bionda, con gli occhi azzurri e un bel sorriso.
- Ciao Jonathan, ne è passato di tempo dall'ultima volta che ti visto -
- Ciao Colette, è un piacere averti qui -
Mentre io e lei stiamo parlando del più e del meno, un po' imbarazzati dalle nostre famiglie, una mano pesante mi si appoggia sulla spalla; è mio fratello, Travor:
- Hey, ti ricordi di Dylan? -
Travor si sposta e mi lascia la visuale su un ragazzo alto almeno un metro e novanta, moro, con gli occhi color nocciola e con il fisico visibilmente definito.

- Ehm ciao, cioè, come stai Dylan? - Dio! Ma cosa blatero?
Lui sorride impercettibilmente, chiaramente divertito.
- Ciao Jonathan; sto bene, grazie -
Prima che possa dire una parola, mia madre mi strappa via ed inizia a parlarmi di quanto Colette sarebbe perfetta per me, ma non la sto a sentire. Non posso fare altro che chiedermi perché ho avuto quella reazione nel vedere Dylan.

[...]

È ora di cena. Questa sera la mia famiglia e gli Smith hanno organizzato una grigliata in giardino, come quelle che facevamo ai vecchi tempi, quando ancora io e mio fratello eravamo bambini.
Mi siedo al tavolo ed ovviamente mia madre invita Colette a sedersi accanto a me. La cosa non mi da fastidio, lei una delle ragazze più belle che ci siano in tutta l'America, ma mi infastidisce il fatto che tutti, lei compresa, si aspettino che ci sia qualcosa più che un'amicizia tra noi.

A rompere l'atmosfera è mio fratello:
- Ma dov'è Dylan? -
- Lui, ecco, non se la sentiva - risponde la signora Smith.
Di colpo tutti si intristiscono ed iniziano a parlare di come quel ragazzo sia difficile da gestire.

Dopo la cena, mentre gli altri stanno ancora seduti al tavolo a parlare, vado nel giardinetto sul retro per fumare una sigaretta.
Mentre sono di spalle ad osservare il tramonto, una voce calda e profonda mi distoglie dai miei pensieri:
- Bello, eh? -
- C- cosa? -
Dylan sorride - Il tramonto -
- Oh, si lo è -

Per qualche secondo restiamo in silenzio, con gli occhi fissi l'uno sull'altro. Ma Dylan mi ha sempre guardato così?

- Come ti va in California? - mi chiede.
- Bene -
- Hai degli amici, una ragazza? -
- Si, cioè no. Voglio dire, ho degli amici ma non una ragazza -
- Bene, meglio così per Colette -

Si volta e fa per andarsene:
- Veramente... -
Lui si ferma e torna indietro:
- Cosa? -
- Non lo dici davvero? -
- Certo Jonathan - sorride di nuovo ed io sento come un pizzichío nello stomaco.
- Non so se mi ci voglio fidanzare -
- Non la ami, giusto? -
- Giusto. Non fraintendermi, è bella, ma siete come fratelli per me -
La sua espressione si indurisce:
- Capisco. Notte -

Rimango solo. Ma che ho detto di male? E perché mi sento così strano quando gli parlo? E soprattutto, perché mi guarda in quel modo?

Ad ogni modo, Colette mi raggiunge e mi trascina di nuovo tra quella gente esaltata.

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