HIDEAWAY

By indigosnostalgia

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Ho ancora lo sguardo basso, rivolto verso l'ร ncora tatuata sul polso di Harry e sorrido. Sorrido alla vista d... More

cast
capitolo 1
capitolo 2
capitolo 3
capitolo 4
capitolo 5
capitolo 6
capitolo 7
capitolo 8
capitolo 9
capitolo 10
capitolo 11
capitolo 13
capitolo 14
capitolo 15
capitolo 16
capitolo 17
capitolo 18
capitolo 19
capitolo 20

capitolo 12

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By indigosnostalgia

Il raffreddore e il mal di testa che mi accompagnano nei giorni successivi all'ultimo dell'anno sembrano non avere nessuna voglia di separarsi da me. In realtà, la colpa è tutta di Niall: ha costretto tutti a uscire di casa per guardare la neve cadere e il sole sorgere.

Non ha però mai fatto realmente i conti né con il freddo pungente né tanto meno con le nuvole a coprire interamente il cielo; di alba non ne abbiamo vista che un misero sprazzo. Niall però era ancora ubriaco e forse nemmeno se n'è reso conto; d'altronde, nessun altro ha avuto nulla da obiettare, quindi so bene di non potergli dare proprio tutta la colpa.

Sbuffo quando, per l'ennesima volta, non riesco a trovare quello che sto cercando da ormai mezz'ora: ho urgente bisogno di un portatile nuovo, non sono più in grado di prevedere la durata di quello attualmente in mio possesso.

Zayn mi ha telefonato appena qualche ora fa, dopo aver estorto il mio numero di telefono da Harry stesso: è riuscito a parlare con sua madre ed è più che disponibile per incontrarmi non appena tornerà a Londra. Tra due giorni.

L'oggetto della mia ricerca non è nient'altro che una cartellina con un paio di modelli che ho abbozzato qualche tempo fa, ma sembrano come spariti all'interno del portatile; Matt non mi risponde al telefono ed è l'unico in grado di spiegarmi chiaramente e con tutta calma come risolvere la situazione.

Sobbalzo sulla sedia quando la porta dell'appartamento di Harry sbatte in maniera più colorita del solito; non ho nemmeno il tempo di uscire e controllare la situazione perché il nome di Evan appare sul display del mio iPhone.

«Evan.» Rispondo quasi sorpresa; il motore della sua auto prende vita proprio in quel frangente.

«Papà torna a casa tra quattro giorni» Evan parla in fretta, quasi non riesco a stare dietro alle sue parole; mi riaccomodo nuovamente per evitare di cadere a terra dallo spavento. «Mi ha chiamato giusto dieci minuti fa.»

«Che cosa?» Replico, con un filo appena di voce.

«Non so quanto tempo rimarrà qui, ma devi tornare.» Evan me lo sta ordinando e lo so bene; io però scuoto la testa.

«No, non posso.» Anche io prendo a parlare in fretta, senza rendermene quasi conto; ho persino alzato il tono di voce, come a non voler ammettere regole diverse.

«Non posso gestire la cosa da solo» mormora Evan. «Una scusa sono anche in grado di inventarla, ma vorrà vederti.»

«Evan, ti prego.»

«Lo so che non vuoi tornare Mia, ma devi farlo» Evan ha abbassato il tono di voce. «Potrebbe rimanere per qualche ora come una settimana intera. Devi tornare e dirgli la verità, non posso coprirti le spalle in eterno. Non così.»

«Ma io...»

«Aspetta un secondo» anche io ho captato il beep di un messaggio arrivato. «Papà: dice che rimarrà solamente un giorno, deve tornare a Singapore per concludere il caso. Vuole cenare insieme a noi, devi tornare a casa Mia. Almeno fino a quando non riparte, poi potrai tornare a Londra e ricominciare la tua commedia.»

«Non puoi chiedermelo sul serio.» Stringo il pugno così forte da sentire quasi male.

«Non sono io a chiedertelo.» Replica mio fratello, in un sospiro.

«Che cosa dovrei fare?»

«Compra un biglietto aereo, cena con noi e fingi che vada tutto bene. Ripartirai non appena papà sarà salito nuovamente sull'aereo.» Evan parla come se fosse la conclusione di un piano studiato ad hoc. «Ti prometto che Josh non verrà a sapere del tuo ritorno.»

«D'accordo.» Immagino Evan annuire alle mie parole, poi lo sento sospirare nuovamente.

«Quattro giorni Mia, non dimenticartelo.»

Lascio cadere l'iPhone sul divano e nemmeno mi preoccupo di leggere i messaggi che nel frattempo mi sono arrivati. Preparo semplicemente del caffè per distrarmi; sto trattenendo le lacrime e me ne accorgo solo perché deglutendo, il groppo in gola mi dà terribilmente fastidio. Eppure nemmeno il caffè riesce a calmarmi, ho le guance in fiamme e spero con tutta me stessa che non mi venga la febbre proprio ora.

La porta di Harry la sento sbattere di nuovo, ma questa volta sono abbastanza svelta da raggiungere la mia per uscire sul pianerottolo; Harry lo trovo già lì, pronto a bussare. Non è però il solito Harry, è agitato e sembrerebbe pronto a distruggere qualsiasi cosa gli si pari davanti.

«Ciao Harry.»

Cerco di incrociare il suo guardo, ma i suoi occhi sono cupi al momento e non ho idea di che cosa possa essere successo; ha la mascella contratta e le sopracciglia incurvate. È qualcosa che dura però appena qualche secondo perché quando finalmente i suoi occhi verdi incrociano i miei, sembra rilassarsi; mi faccio da parte per lasciarlo entrare.

«Ciao.»

«Va tutto bene?» Domando poi, osservando il parka che ancora indossa, come se fosse in realtà pronto per uscire. Harry incrocia velocemente le braccia al petto prima di annuire.

«Sì» replica piuttosto bruscamente, chiaro segno che in realtà mi sta mentendo. «No, per niente. Ti va di accompagnarmi in un posto?» Harry non ha voglia di parlarne a quanto pare, ma annuisco comunque.

«Dove andiamo?» Domando, recuperando la giacca dall'appendiabiti.

«Appena fuori città, devo recuperare una cosa.» Replica semplicemente.

«Esaustivo come sempre.» Borbotto, allacciandomi la giacca fin sotto al mento; quando alzo lo sguardo, lo trovo più vicino del previsto.

«Hai le guance rosse» afferma, sfiorandomene una con la punta delle dita; non sono poi sicura che i brividi appena avvertiti siano colpa dell'imminente influenza o semplicemente sono frutto del suo tocco. «Hai mica la febbre?»

«No, niente febbre, tranquillo» replico velocemente, abbassando appena lo sguardo. «Sto bene.»

Scendiamo le scale in silenzio e quando passiamo accanto alla parete delle buche delle lettere, lo vedo serrare la mascella; non dice niente, apre semplicemente il portone di fronte a noi, tenendolo affinché io possa uscire per prima.

Il parcheggio della palazzina è sgombro, solo la macchina di Harry spicca; la chiusura centralizzata scatta velocemente sotto al suo tocco e questa volta non devo chiedergli di accendere l'autoradio perché è lui stesso a compiere quel gesto, tenendo addirittura il volume più alto del solito, quasi a farmi capire che di parlare non ha per niente voglia.

Scopro da sola che non siamo diretti semplicemente appena distanti da casa, ma realmente fuori città; Harry è concentrato sulla strada da percorrere, ma ha comunque il viso teso e la curvatura delle spalle è un gesto a suo sfavore.

«Zayn mi ha chiamato: dice che posso incontrare sua madre tra qualche giorno.» Apro bocca solo perché di stare in silenzio proprio non ne posso più; Harry abbassa la musica facendomi un debole cenno con il mento.

«Ah sì?» Il suo tono è distaccato e ne resto quasi scottata.

Ha il telefono posato sulle gambe e non perde occasione di muoverlo appena per illuminare il display, come se avesse timore di perdere una chiamata importante. Non lo ha nemmeno collegato all'impianto vivavoce dell'auto.

«Volevo farle vedere qualche vecchio disegno, ma non sono sicura sia una buona idea.» Harry si stringe nelle spalle, muovendo per l'ennesima volta il telefono: il blocco schermo è sempre uguale, lui e Gemma sono sempre lì, sorridenti come ogni altra volta.

«Male non farà.» Replica appena, ma questa volta sbuffo, ben attenta perché mi senta e si renda conto di come si stia comportando; si volta poi nella mia direzione per una frazione di secondo.

«Me lo dici che cosa sta succedendo o vuoi continuare così ancora per molto? Avevo il mio gran da fare a casa, stare in silenzio in una macchina...»

«Non succede niente, Foster.» Harry mi interrompe con una calma quasi glaciale.

«Non è vero, Styles» ribatto in fretta. «Ho sentito la porta sbattere più volte, non hai voglia di parlare - cosa che accade raramente - e mi rispondi a monosillabi; mai successo. Che c'è?»

Harry sospira rumorosamente alle mie parole, svoltando a sinistra e imboccando una strada sterrata; siamo al limitare di un bosco e non ho nessuna idea su che cosa possa mai dover fare in un posto come quello. Lo osservo mentre si prende il suo tempo per rispondere, tamburellando addirittura con le dita sul volante per schiarirsi poi la voce appena qualche secondo più tardi.

«Oggi è il cinque di gennaio» annuisco perché lo so che giorno è oggi, non ho bisogno di un calendario parlante che annunci la data. Poi trattengo il respiro quando finalmente realizzo cosa stia realmente cercando di dirmi. «Nella buca non c'è niente.»

Nella voce di Harry non c'è nulla che non sia preoccupazione e paura; persino l'auto sembra rallentare la sua corsa quando gli poso una mano sulla spalla.

«Harry...»

«Ho chiamato Gemma perché mamma è al lavoro, mi ha detto che non hanno ricevuto nulla nemmeno loro» Harry parla come se non fossi nemmeno al suo fianco. «Non è mai successo e non ho idea di che cosa fare. Non so neppure chi chiamare per sapere qualcosa, ho lo stomaco sottosopra e il solo pensiero che possa essere accaduto qualcosa mi fa vomit...»

«Harry» questa volta sì che si accorge di me perché ferma addirittura l'auto in mezzo alla strada apparentemente deserta; slaccio la cintura di sicurezza perché non mi permette di muovermi mentre Harry stringe con forza il volante. «Sono sicura che non sia successo nulla di grave. Ha nevicato molto, ci sono ritardi sulle consegne praticamente ovunque.»

Ed io spero con tutto il cuore che sia davvero quella la causa perché Harry non merita di perdere suo padre. Non lui, che è sempre stato capace di farmi forza su qualsiasi fronte, persino quello più stupido.

Harry però scuote la testa alle mie parole e in qualche strano modo, lo sto abbracciando. È solo un volerlo confortare il mio, anche se siamo fermi in una strada nel bel mezzo del nulla; qui la neve non si è nemmeno sciolta del tutto.

La guancia di Harry mi si posa sulla spalla e i capelli mi solleticano il viso. Vorrei che un mio abbraccio potesse funzionare come uno di quelli ricevuti da lui stesso.

«Ti prego, non lasciare che questo influisca su di te» sospiro una volta sciolto l'abbraccio. «Non sono abituata a vederti così, sei tu quello forte tra i due ed io non so che fare.»

Harry mi sorride ed è uno di quelli in grado di coinvolgergli anche gli occhi; sono io a ritrovarmi ora stretta tra le sue braccia ed è un abbraccio così forte che nemmeno riesco a ricambiarlo perché Harry mi ha intrappolata contro il suo petto. Mi bacia la guancia una, due, tre volte indugiando più del dovuto e sorrido perché forse non sono poi così male come pensavo.

«Non devi fare assolutamente nulla» Harry me lo dice all'orecchio. «Sii semplicemente Mia, ti riesce piuttosto bene.»

Il telefono di Harry squilla così forte che entrambi sussultiamo sul sedile, allontanandoci poi l'uno dall'altra; abbassiamo il viso e il nome di Gemma lampeggia sul display del suo iPhone. Se lo porta velocemente all'orecchio, rischiando di lasciarlo scivolare più volte a causa del terrore che gli fa tremare le mani.

«Gemma.»

Il suo tono di voce è carico di ansia, io però non riesco a sentire cosa sua sorella stia dicendo, è solo un mormorio sommesso e non posso fare altro che scrutare il viso di Harry, alla ricerca di una qualsiasi reazione che mi faccia capire il corso della telefonata. Harry chiude gli occhi ed è proprio qui che sento un moto di paura proprio dritto nello stomaco, ma poi sorride e tira un lungo sospiro di sollievo; mi ritrovo a fare la stessa cosa nonostante ancora non sia a conoscenza di quello che si sono appena detti. Harry si morde il labbro inferiore e poi annuisce.

«Ti chiamo più tardi allora, ti voglio bene anche io.»

Harry chiude la chiamata e lascia che il telefono gli scivoli letteralmente lungo la spalla, atterrandogli sulle gambe per passarsi le mani sul viso e tra i capelli. Resta in silenzio per un paio di minuti ed io semplicemente lo guardo, in attesa di qualcosa; quando si volta, i suoi occhi sono di nuovo vispi e luminosi, è tornato quello di sempre.

«Allora?»

«La neve» mormora appena, con il suo tono di voce sempre un po' roco. «Gemma è riuscita non so come a parlare con qualcuno della Marina, ci hanno assicurato che domani riceveremo tutto.»

«Te l'avevo detto» replico in un sussurro e non so come o perché, sento gli angoli degli occhi pungere; Harry però ingrana nuovamente la prima dopo essersi schiarito la voce, poi preme sull'acceleratore. «Ora me lo dici dove stiamo andando?»

«Hai la patente, vero?»

La Camaro di Harry fa un po' di fatica a percorrere il sentiero accidentato nel quale si è addentrato e ho davvero quasi timore che possa abbandonarmi qui per qualche strana ragione; sulla destra, poco più in là, spunta una casetta.

Louis è seduto sui gradini del portico impegnato in un'animata conversazione telefonica. Mi volto verso Harry perché non posso credere che mi abbia davvero portato qui per insegnarmi a guidare una vecchia macchina, nemmeno di sua proprietà.

Lo vedo sogghignare, ma non apre bocca; accosta semplicemente e spegne il motore della sua di auto. Sono costretta a stargli dietro, rendendomi conto di quanto sia effettivamente gelida l'aria fuori dall'abitacolo.

«Perfetto, avvisa Brad di controllare che tutti i documenti siano siglati e firmati da entrambe le parti coinvolte» ordina autoritario Louis al telefono. «E fai preparare ad Hannah tutti i dossier necessari: questo caso è già nostro. Sarò lì tra un paio d'ore.» Aggancia la comunicazione e l'espressione austera si trasforma in un sorriso disarmante.

«Avvocato!» Esclama Harry scendendo dall'auto.

«Raggio di sole, è sempre un piacere vederti.» Mormora rivolto a me, dando però una sonora pacca sulla spalla di Harry.

«Ciao Louis.» Sorrido, ricambiando poi l'abbraccio nel quale mi trovo stretta; Louis fa cenno verso qualcosa che non colgo, ma Harry annuisce.

«Ho fatto fare il pieno questa mattina» Louis apre il garage elettrico con il telecomandino elettrico che tiene stretto tra le dita. «Nonno Tomlinson dice che se trova anche solo un graffio, ti spezzerà le gambe. Nonna Tomlinson sarebbe più che felice di disfarsi - e quoto - del rottame.» Harry scoppia in una risata cristallina, ma alza le mani in segno di resa quando Louis gli rivolge uno sguardo serio, aggrottando persino le sopracciglia.

«Oh cazzo, eri serio» borbotta quindi Harry, rendendosi conto che forse nonno Tomlinson le gambe potrebbe spezzargliele davvero. «Te la restituiremo come nuova, non ti preoccupare.»

«Allora io torno allo Studio, chiudi tutto a esperimento finito. Le chiavi di riserva sono sempre al solito posto» questa volta quella che scatta è la chiusura centralizzata della sua Mercedes grigio metallizzato. «Oh, la frizione è un po' più dira dell'ultima volta che l'hai guidata e la terza fa fatica a entrare. Per il resto è la solita vecchia auto.»

Harry annuisce alle parole di Louis e afferra appena in tempo le chiavi che gli lascia cadere sul palmo della mano, regalandomi poi un occhiolino in segno di saluto; entrambi lo osserviamo prendere posto in auto e dirigersi verso la strada principale. Harry si schiarisce teatralmente la voce, facendomi tintinnare le chiavi davanti al viso.

«Allora, Raggio di sole» mi prende in giro. «Sei pronta?»

«Devo davvero guidare quest'auto?» Harry scuote la testa e per una frazione di secondo mi sento sollevata.

«Non essere sciocca, la guiderò prima io» mi corregge Harry, trattenendo appena un sorriso. «Sono troppo bello per morire.»

Apro bocca per ribattere, ma all'ultimo cambio idea, decidendo che forse non è caso di dargli troppa corda. Mi limito a un sorriso tirato ed entro nel garage insieme ad Harry, aspettando di poter salire.

L'auto è fredda e Harry sembra quasi aver dimenticato come far partire il riscaldamento; mi stringo nella giacca, resistendo all'impulso di sferrargli un pugno da qualche parte per avermi messo in questa situazione.

«Non posso guidare la tua di macchina?» Il mio fiato condensa alla domanda e Harry scuote la testa.

«Mai.» Me lo dice con un sorriso a increspargli le labbra, ma so che in realtà è molto serio.

Harry esce finalmente in retromarcia dal garage, ma deve poi scendere nuovamente per abbassare a mano lo sportellone e dimentica di chiudere la portiera; l'aria fredda si intrufola ovunque nell'abitacolo mentre l'aria calda sembra essere dispersa.

«Harry, dai...»

«Allora» mormora, rientrando in auto e aggiustando sia il sedile che gli specchietti; con qualche problema, l'auto parte. Louis aveva ragione perché la frizione è davvero dura e la terza fatica a entrare e Harry lo sottolinea con qualche imprecazione. «Facciamo un giro e poi guidi tu, va bene?»

«Carino da parte tua aver scelto un posto pieno di alberi contro i quali poter andare a sbattere» borbotto, incrociando le braccia al petto; finalmente il primo sbuffo di aria calda riempie l'abitacolo, permettendomi di non battere più così evidentemente i denti. «Tanto valeva finire nel Tamigi.»

In realtà di alberi non ce ne sono poi così tanti, ma le strade sono strette ed io non sono abituata a guidare in quelle condizioni, tanto meno con la neve ancora a terra. Harry però guida bene e usa quel lasso di tempo per assicurarsi che tutto funzioni alla perfezione, perché l'auto sembra essere ferma da molto tempo. Quando il giro di prova è terminato, Harry è pronto a cedermi il posto, ma sto già scuotendo la testa.

«Coraggio.»

Harry ha già fatto il giro dell'auto e mi ha già persino aperto la portiera, in attesa che scenda. Io però non lo guardo nemmeno in viso, lo sento semplicemente sospirare e un momento più tardi mi sta tirando giù dall'abitacolo. Punto i piedi, ma Harry è visibilmente più forte di me e ha già preso posto sul sedile che ho occupato fino a qualche secondo prima, chiudendomi addirittura lo sportello; fa cenno verso il volante ed io sono indecisa se tornare indietro a piedi o morire congelata, ma alla fine faccio il giro dell'auto, prendendo il suo posto.

«Non sono abituata al cambio manuale.»

«Metti a posto il sedile e allaccia la cintura.»

«Questo ancora me lo ricordo.» Borbotto, obbedendo però ai suoi comandi; la chiave gira, ma non appena sollevo il piede dalla frizione, l'auto si spegne.

«È dura, ricordi? Accelera di più prima di lasciarla andare.» Annuisco al suo suggerimento e questa volta la macchina non si spegne. «Okay, ora percorri la strada. Qui è tutta dritta, c'è solo una piccola curva più avanti, sulla destra.»

Sono tesa, mi sembra di essere tornata a scuola guida e ci metto un po' più di tempo del previsto ad abituarmi a guidare al contrario; sto andando relativamente piano, ma la mano di Harry è pronta sul volante accanto alla mia, in prossimità della curva. L'auto si sposta appena, permettendomi così di non prenderla troppo stretta.

«Strada a senso unico, ma stai attenta e resta su questo lato. Avresti già fatto la fiancata a diverse auto.»

Capisco che la terza entra senza problemi solo se si spinge bene fino in fondo la frizione e anche se non lo ammetterò mai ad alta voce, sono felice di esserci arrivata da sola, senza che Harry me l'abbia dovuto ripetere mille volte; smetto di ascoltare le sue direttive quando mi sento più sicura e lui mi lascia persino fare, fino a quando non rischio di imboccare una strada contro mano.

«Mia, frena!» Esclama, toccando il volante così da sterzare appena, poi scoppia a ridere. «Troppo bello per morire, ricordi?» Mi indica il cartello sopra di noi e mi ritrovo a mordermi il labbro.

«Scusa.» Borbotto, osservandolo sedersi di nuovo comodamente.

«Torniamo indietro, okay? Sta facendo buio.»

«Mi stavo divertendo.» Inserisco la retromarcia, ma una volta raggiunto il garage, lascio ad Harry le manovre finali. Il sole è ormai quasi del tutto calato e Harry si affretta a riporre la chiave secondaria in un piccolo vaso dell'ingresso.

«Non male come prima volta, complimenti.» Nonostante mi stia prendendo palesemente in giro, gli do volentieri il cinque che sta aspettando.

«Beh, ti ringrazio.»

Harry fa cenno verso la sua auto, dove fortunatamente il riscaldamento funziona e rende tiepido l'abitacolo in un secondo. Non siamo però diretti verso casa, dopo tutto Harry aveva detto di dover fare qualcosa e deviamo per la periferia, dove lascia un libro a un suo compagno di corso; è quasi ora di cena ormai.

«Ti va di mangiare qualcosa?» Me lo chiede inserendo nuovamente la prima. Scuoto la testa perché in realtà di fame non ne ho per niente, sento solo freddo, nonostante in auto si stia più che bene. «Sei sicura di stare bene? Sei molto calda.» Aggrotto le sopracciglia, osservando la mano di Harry posarmisi sulla fronte.

«Non è niente.» Scosto appena il viso e sento solo il borbottio di Harry.

La macchina la ferma solamente una volta raggiunta la palazzina, ordinandomi di salire in casa, che lui arriverà in un attimo. Le scale le faccio di fretta perché di prendere l'ascensore da sola non ne ho per niente voglia.

Harry, come promesso, mi raggiunge qualche momento più tardi ed è già senza il suo fidato parka addosso; nella mano destra lo vedo stringere una compressa, che posa poi sul mio tavolino del salotto.

«Per la febbre» mormora, rispondendo alla mia tacita domanda; sta per sedersi accanto a me sul divano, ma cambia idea e schiocca le dita. «Gemma mi ha riempito la dispensa di tisane che io non berrò nemmeno sotto tortura. Te ne preparo una.»

Non mi dà nemmeno tempo di poter replicare che detesto le tisane tanto quanto il tè perché è già sparito dal salotto, lasciando la porta di casa aperta; mi alzo dal divano solo per recuperare un bicchiere d'acqua con cui mandare giù la pastiglia.

La febbre la devo avere alta per forza di cose perché mi sento stanca e spossata; Harry ritorna dieci minuti più tardi con una tazza di tra le mani e un piattino con un sandwich.

«Bevila calda, ti farà bene.» Ordina, posando il tutto sul tavolino e prendendo finalmente posto sul divano, con me al suo fianco.

Sbuffo, ma obbedisco: l'odore non è terribile quanto il gusto, mi ritrovo persino a strizzare gli occhi al primo sorso. Harry ride di gusto, dando un morso al suo panino; con la mano libera accende la televisione ed io mi accoccolo vicino, posandogli la testa sulla spalla. A nessuno interessa realmente un documentario sulle farfalle.

«Mio padre torna a casa tra qualche giorno.» Ho gli occhi pesanti mentre pronuncio quelle parole, ma sento Harry irrigidirsi appena al mio fianco.

«Che cosa intendi fare?»

«Devo tornare in Florida.»

«Non è una cosa definitiva, vero?» Sembra esserci apprensione nella sua voce.

«No, solo una cena» spiego in fretta. «Tornerò non appena sarà ripartito.» Harry annuisce e cambia distrattamente canale fino a trovare un film in bianco e nero degli anni Cinquanta che nessuno sembra conoscere tranne lui.

«Gli dirai la verità?» Me lo chiede dopo qualche minuto di silenzio.

«Assolutamente no.» Replico, posandogli meglio la guancia sulla spalla e chiudendo gli occhi.









L'autobus mi lascia nelle vicinanze di casa dopo un quarto d'ora di tragitto; ho passato la mattina in redazione con la madre di Zayn e sono riuscita persino a comprare un biglietto aereo per tornare a casa.

Chiusa la porta dell'appartamento alle mie spalle, non ho nemmeno il tempo di togliermi la giacca che qualcuno bussa persino insistentemente. Simon, dall'altra parte del corridoio, sorride al mio saluto, ma è qualcosa che non mi convince a pieno. È successo qualcosa.

«Mi dispiace disturbarti, ma devi venire con me.»

«Perché?» Glielo chiedo così in fretta che quasi non gli do tempo di terminare la frase.

«Harry ha avuto un incidente e mi ha chiesto di avvisarti non appena rientrata» non lo noto nemmeno il tono calmo con cui Simon mi sta spiegando l'accaduto. «Abbiamo provato a chiamarti più volte, ma...»

«Harry sta bene?» Lo interrompo bruscamente, seguendolo lungo le scale. «Non è niente di grave, vero?»

«Respira ancora, ma lo stanno tenendo in osservazione.»

L'auto di Simon è parcheggiata dall'altro lato della strada e mi affretto a salirvi; il display del mio iPhone mostra le cinque chiamate perse da parte di Harry e qualcuna da un numero sconosciuto.

«Non ho sentito il telefono, mi dispiace tanto.»

«Non preoccuparti Mia, Harry sta bene.» Scuoto la testa alle sue parole.

«Che cos'è successo?»

«È stato coinvolto in un piccolo incidente, ma non è niente di grave.»

Il parcheggio dell'ospedale è piuttosto affollato, Simon deve fare il giro due volte prima di trovare un posto libero; l'odore di disinfettante è così forte nei corridoi che arriccio il naso non appena la porta automatica si spalanca al nostro arrivo.

Simon si dirige all'accettazione ed io non posso far altro che seguirlo; chiede se sia possibile salire da Harry e l'infermiera non solo annuisce, ma ci informa che la stanza è stata cambiata. Dobbiamo salire al sesto piano ed io non faccio altro che seguire i passi di Simon in un silenzio religioso.

La camera recante il numero 25 è ad appena qualche metro di distanza e Simon mi fa cenno di entrare senza problemi, che deve prima rispondere al cellulare. Harry è seduto sul secondo letto e ai miei occhi sembra apparentemente illeso.

Sta controllando qualcosa sul suo iPhone, ma volta il viso nella mia direzione quando si accorge della mia presenza. Senza che nemmeno me ne renda conto, lo sto già stringendo in un abbraccio così forte da non preoccuparmi nemmeno se gli possa fare male.

«Mia, va tutto bene» Harry mi accarezza la schiena mentre pronuncia quelle parole. «Non è niente di grave.» Sciolgo l'abbraccio solo perché i miei occhi hanno intercettato la sua mano destra fasciata fino al polso.

«Che cos'è successo?»

«Stavo tornando a casa, ma le strade sono ancora ghiacciate. L'auto dietro di me non è riuscita a fermarsi per tempo e mi ha tamponato; ho oltrepassato lo stop e una seconda macchina proveniente dalla strada accanto mi ha preso in pieno.» Il polso il realtà non è solo fasciato, ma ingessato e me ne accorgo solo dopo averlo guardato con più attenzione. «Avevo la mano sul cambio e il dottore mi ha detto che si tratta solo di una piccola frattura dovuta all'impatto. Guarirà nel giro di qualche settimana.»

«Dovrai stare qui per molto?»

«No, il dottore sta firmando le dimissioni giusto ora.»

«Sei riuscito a chiamare tua madre?» Simon si affaccia alla porta, slacciandosi appena la giacca; Harry annuisce, passandosi la mano sana tra i capelli.

«Sì, ma le ho detto di non preoccuparsi e di non lasciare il lavoro. Arriverà nel week-end insieme a Gemma, quando Mia sarà in Florida.» Harry aggrotta le sopracciglia alla sua stessa affermazione, voltandosi nuovamente verso di me. «Oh merda, non potrò accompagnarti in aeroporto.»

«Harry, non importa. Prenderò un taxi.» Il telefono di Simon squilla di nuovo e scusandosi ancora, esce dalla stanza per poter rispondere; appollaiata sul bordo del letto, poso la testa sulla spalla di Harry. «Stai bene, vero?» Glielo chiedo di nuovo, nonostante lo abbia ormai appurato con i miei occhi.

«Sto bene» lo sento sorridere e quasi sospiro di sollievo. «Non è nemmeno la prima volta che mi rompo qualcosa. Qualche anno fa Louis mi ha fatto cadere dallo skateboard e mi sono rotto l'altro polso.»

«E la tua auto?» Harry serra appena la mascella alla mia domanda.

«Se ne sta occupando l'assicurazione.» Senza farlo apposta scoppio a ridere, sotto il suo sguardo più che confuso.

«Non ti farei mai guidare la mia auto. Non con la possibilità che tu possa finire nel Tamigi o contro qualsiasi altra cosa a portata di mano.»

Cerco di imitare il suo tono di voce, ma fallisco miseramente; so bene che Harry avrebbe ribattuto eccome, ma il medico entra proprio in quel frangente, con le dimissioni sotto braccio.









Sono quasi le dieci del mattino quando il mio iPhone squilla, avvisandomi dell'arrivo di un messaggio. L'ho però lasciato in cucina e con me porto la mia solita tazza di caffè.


Styles:

S.O.S.


Aggrotto leggermente le sopracciglia a quella sua strana richiesta d'aiuto, ma esco di casa attraversando il corridoio. L'appartamento di Harry è silenzioso e non ho poi una così bene idea sul dove possa effettivamente trovarsi al momento; resto ferma accanto al divano, con le braccia incrociate al petto e la tazza stretta nella mano destra.

«Harry?» Lo chiamo dopo qualche secondo di puro silenzio.

Qualcosa cade al suolo subito dopo e un'imprecazione aleggia nell'aria. Harry compare qualche minuto più tardi, con una camicia blu notte totalmente aperta sul davanti; le rondini tatuate appena sotto le clavicole spiccano sulla sua pelle e la catenina gli cade perfettamente al centro di esse. Quasi non mi accorgo che in realtà Harry è già sparito in cucina.

«Che cosa succede?» Glielo chiedo in un misero sussurro e Harry, finendo l'acqua nel bicchiere, indica la camicia che indossa.

«Non riesco ad allacciarla.» Trattengo un sorriso domandandomi perché abbia scelto proprio quell'abbigliamento, ma mi avvicino ugualmente perché ha realmente bisogno di aiuto.

«Potevi chiamare Simon.» Borbotto, posando la tazza sul tavolo e afferrando i bottoni, allacciandoli pian piano partendo dal basso. Devo avere le mani fredde perché Harry sussulta quando le mie dita gli sfiorano lo stomaco.

«Divertente Foster, davvero divertente.»

Mi stringo nelle spalle e continuo a chiudergli la camicia, i bottoni sembrano non finire più; raggiunti gli ultimi due, la mano sana di Harry si posa sulle mie, a fermare ogni altro movimento. Alzando lo sguardo, lo trovo più vicino del previsto, tanto che distinguere le sfumature verdi all'interno dei suoi occhi mi riesce più facile del solito.

Harry ha le labbra appena screpolate e quasi mi avesse letto nel pensiero, le inumidisce appena, passandovi sopra la lingua.

«Grazie.» La sua voce mi graffia la pelle, eppure è appena un sussurro; annuisco, pronta a fare un passo indietro, ma la mano di Harry lascia le mie solo per posarmela sul fianco.

Sussulto quando il suo corpo si scontra con il mio. O forse sono io a scontrarmi con lui; non capisco nemmeno se sono le labbra di Harry a posarsi sulle mie o se sono stata io ad osare tanto.

Impiego però poco tempo nel decidere che non mi importa granché della cosa perché la presa di Harry si è fatta più insistente e mi ritrovo persino a posargli le mani sul petto, quasi a non voler perdere l'equilibrio, nonostante sia perfettamente intrappolata tra lui ed il tavolo.

Le labbra di Harry si muovo piano, sembrano addirittura inesperte. So che sta solo cercando di capire se prima o poi mi sottrarrò a quel bacio o se invece rimarrò lì, ferma e immobile. Lo sento sorridere quando mi alzo sulle punte dei piedi; il braccio di Harry mi avvolge prontamente la schiena mentre la mia mano è ancora ferma alla base del suo collo, quasi a sentire il battito del suo cuore.

Harry la presa non la lascia nemmeno quando mi allontano appena per riprendere fiato, come se non volesse rischiare che possa scappare da un momento all'altro. Come glielo dico che non ho nessuna intenzione di farlo?

«Prego, non c'è di che.» Glielo dico solo perché ricordo un vago ringraziamento pronunciato qualche minuto prima.

Harry annuisce, passandosi nuovamente la lingua sulle labbra, trattenendosi quello inferiore tra i denti più del necessario; mi solleva poi con una presa veloce e sicura, tanto che finisco seduta sul bordo del tavolo, a non toccare più terra con i piedi.

Harry si posiziona tra le mie gambe e quando mi bacia di nuovo, non ho più dubbi: sa esattamente quello che sta facendo; questa volta è avido in ciò che vuole, tanto da spingere il suo corpo contro il mio, posandomi una mano sulla guancia.

Mi morde appena il labbro, lasciando che un debole sospiro mi sfugga dalla bocca; poi sorride e i suoi baci tornano a essere delicati. Sono io ad avere il respiro accelerato quando Harry si scosta, a solleticarmi il naso con il proprio.

«Perché lo hai fatto?» È solo un sussurro il mio perché di voce mi accorgo di averne ben poca.

«Perché ne avevo voglia» Harry mi scosta una ciocca di capelli dal viso. «Tu perché lo hai fatto?» Sono io ad afferrargli il colletto della camicia; è troppo lontano.

«Perché ne avevo voglia.»

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