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By indigosnostalgia

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Ho ancora lo sguardo basso, rivolto verso l'àncora tatuata sul polso di Harry e sorrido. Sorrido alla vista d... More

cast
capitolo 1
capitolo 2
capitolo 3
capitolo 4
capitolo 5
capitolo 6
capitolo 8
capitolo 9
capitolo 10
capitolo 11
capitolo 12
capitolo 13
capitolo 14
capitolo 15
capitolo 16
capitolo 17
capitolo 18
capitolo 19
capitolo 20

capitolo 7

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By indigosnostalgia

Sono passate due settimane dal mio arrivo; sono in grado di muovermi per i quartieri limitrofi senza rischiare di perdermi. Una volta sola ho dovuto chiamare Harry, il quale ha passato metà del tempo a ridere di me, senza però spiegarmi dove fossi finita.

Qualche volta ho persino rivisto Liam al solito caffè; Harry invece l'ho visto poco, è parecchio impegnato con degli esami universitari e se prima le giornate erano organizzate in modo da stare insieme la maggior parte del tempo - idea sua per non lasciarmi sola troppo a lungo - ora ci vediamo solo la mattina prima che esca di casa o dopo cena, per due chiacchiere e un caffè.

Non mi lamento, mi piace avere tempo per me: a casa non ero mai sola. Tutto ciò mi serve per pensare, nonostante a volte mi ritrovi addirittura a fissare semplicemente qualcosa, senza sapere realmente cosa fare.

In città si sente odore di neve, persino il cielo sembra che abbia voglia che cada, come se dovesse alleggerirsi di un peso che è costretto a portare. Arriccio il naso respirando l'aria fresca, poi mi volto verso destra; le strade sono illuminate a festa, le vetrine dei negozi non smettono di brillare e lungo i lampioni e i cornicioni delle case non mancano ghirlande e lucine colorare.

È quasi ora di cena, le persone stanno tornando alle proprie case; i lampioni rendono le strade quasi giallognole, ma l'atmosfera è serena e sa di Natale. Nella piazza centrale è stato posizionato il classico abete natalizio ed è lì in bella mostra per i passanti e i turisti. Tutti sembrano volerlo immortalare in una foto, i passanti addirittura gli rivolgono un sorriso, come ad aspettarsi di riceverne uno in cambio. Lo faccio anche io, in qualche modo mi ricorda casa.

Il Natale è sempre stata la mia festa preferita, mia madre ed io passavamo ore e ore a decorare ogni superficie libera presente in casa. Papà invece non ha mai avuto troppo spirito natalizio, ma il coraggio di contraddire sua moglie su questo preciso argomento gli è sempre mancato.

C'è una panchina libera nelle immediate vicinanze, una coppia di anziani si è appena alzata e mi sorridono quando sono io a prendere il loro posto. Mi stringo le braccia al petto dopo essermi aggiustata la grossa sciarpa che mi avvolge il collo; resto lì da sola, osservando e ascoltando ciò che mi accade intorno: un gruppo di ragazzi ride quando uno di loro indica qualcosa lì nei paraggi.

Una ragazza mi passa accanto e parla al telefono così velocemente che a fatica capisco le parole che le escono dalle labbra. Un uomo mi si siede accanto qualche minuto più tardi, facendo cenno al suo cane di accucciarsi tranquillo ai suoi piedi. Mi chiede che ore siano e quando glielo mostro sul quadrante dell'orologio, mi rivolge un cenno di assenso, mimando un semplice grazie con le labbra. Il suo respiro condensa e lo stesso fa il mio quando gli rispondo che non c'è problema. La temperatura negli ultimi giorni si è abbassata drasticamente, il sole sembra che non abbia nemmeno più voglia di mostrarsi.

Mancano davvero pochi giorni a Natale ed io sento sempre di più la mancanza di casa e non credevo nemmeno che fosse possibile. Mi sono resa conto che sarà tutto diverso: mio padre si trova in Giappone e so bene che ha programmato tutto di proposito per evitare di rimanere in Florida. Evan e la sua fidanzata resteranno nel loro appartamento con gli amici di sempre e Matt andrà a New York dai nonni.

Io rimarrò a Londra, da sola. Però la cosa non mi pesa, il Natale non mi piace più. L'ho deciso qualche giorno fa e non me ne pento: sarà un giorno come un altro.

Il telefono mi sta squillando in tasca da diverso tempo e sussulto quando il nome di Harry lampeggia su di esso.

«Sì, pronto?» Rispondo in fretta perché già lo immagino alzare gli occhi al cielo e sbuffare quando la mia voce non arriva dopo qualche squillo - colpa della volta in cui mi sono persa.

«Sono appena rientrato» la porta di casa la sento chiudersi alle sue spalle con un tonfo tutt'altro che pacato. «Ceni con me?» Mi alzo dalla panchina salutando con un cenno della mano l'uomo che sta compiendo il mio stesso gesto.

«Certo, dammi solo il tempo di tornare a casa.» Liscio le pieghe dei jeans attillati che indosso; qualcosa dall'altra parte del telefono cade, producendo un tintinnio. L'imprecazione di Harry segue subito dopo.

«Qualcosa in particolare?»

«Il solito.» Chiudo la chiamata attraversando la strada.

Senza volerlo mi sono allontanata fin troppo e sono costretta a prendere la metro per avvicinarmi quanto più possibile. Non voglio dare a Harry un nuovo motivo per prendersi gioco di me; tiro un sospiro di sollievo quando i familiari alberi del viale fanno capolino alla mia sinistra. Al portone un fattorino sta per suonare il citofono che porta il cognome di Harry.

«Styles, giusto?» Riconosco il solito ragazzo e lui deve fare lo stesso perché annuisce e mi sorride. «Ci penso io, non preoccuparti.»

Spingo il portone di casa lasciando che si chiuda da solo alle mie spalle con un tonfo; l'ascensore è rotto da un paio di giorni e nessuno è ancora passato per aggiustarlo. Ho fatto così tante volte le scale che non ho nemmeno più il fiatone; alla porta di Harry busso velocemente, facendo un passo indietro. Una delle lampadine del corridoio si è fulminata, ma i passi familiari di Harry dietro la porta mi distraggono da quel pensiero.

«La cena è servita.» Gli mostro i vassoi che tengo in bilico sul palmo della mano e lo vedo inarcare un sopracciglio divertito, spostandosi per lasciarmi poi passare.

Mi porta via dalle mani i recipienti, lasciandomi chiudere la porta di casa con un giro di chiave. La mia giacca finisce appesa allo schienale del divano e mi passo una mano tra i capelli rimasti aggrovigliati nella sciarpa.

Seguo Harry in cucina, accomodandomi però dall'altro lato del tavolo, osservandolo recuperare tutto l'occorrente per la cena. Si volta nella mia direzione posando entrambi i piatti sul tavolo e risvolta le maniche della camicia, mostrando i soliti tatuaggi sparsi sulla pelle delle braccia. È un attimo che i miei occhi finiscono sulla rosa, ma trattengo sempre l'impulso di chiedergli che significato abbia; Harry svuota il contenuto di un vassoio all'interno del piatto blu, allungandolo poi verso di me.

«Ho visto Louis prima di pranzo» Harry sbadiglia appena, però sono contenta di sentirglielo dire; Louis vive fuori città e il suo lavoro non gli permette di avere molto tempo libero a disposizione. Tutte le persone alle quali Harry tiene sembrano vivere lontano da lui. «Dice che una sera di queste dobbiamo andare a cena tutti insieme.»

«Sicuro.» Replico, scartando come al solito ciò che non mango mai, ma che puntualmente dimentico di far togliere; a nessuno piacciono certi abbinamenti.

Harry, dall'altro lato del tavolo, sogghigna e allunga la forchetta verso il mio piatto, raccogliendo quello che ho appena messo da parte.

«Sempre la solita storia.»

«Io davvero non mi spiego come tu possa mangiarlo.» Harry inarca il sopracciglio, passandosi la lingua sulle labbra a togliere la salsa in eccesso.

«Come fai tu a non mangiarlo.» Ribatte, sottolineando il concetto secondo il quale quella strana sarei io; arriccio il naso, finendo l'acqua che ho nel bicchiere.

«Ti prego, è come se intingessi del formaggio nella salsa al ketchup.» Allargo le braccia alla mia stessa affermazione mentre Harry si alza per finire il contenuto del vassoio rimasto alle sue spalle.

«Non siete mica voi americani a mangiare certe cose?» Me lo chiede indicandomi con la forchetta dalla quale pende ancora una foglia di insalata.

«Tu e i tuoi stereotipi infondati.» Borbotto a bassa voce, consapevole però che Harry mi abbia sentito eccome.

«Sei tu quella che pensava che noi inglesi bevessimo solo tè, ti sei dimenticata?»

«Vuoi dirmi che non è così?» Mi scosto i capelli dal collo. «L'altra mattina ho fatto colazione in un posto bizzarro e me ne hanno portato una tazza enorme, senza che io l'avessi nemmeno chiesta!»

Harry scoppia a ridere, battendo addirittura la mano sul tavolo e finendo l'acqua; mi alzo da tavola impilando i piatti ormai vuoti per posarli nel lavello. Mi siedo sul ripiano della cucina lasciando penzolare le gambe e osservando Harry aggiungere i due bicchieri e aprendo poi l'acqua per sciacquare le stoviglie utilizzate.

«I miei stereotipi non sono infondati.» Mormora, riaprendo il discorso.

«Non sei mai stato in America.» Ribatto, vincendo la discussione; so bene che non si è offeso, la sua maledetta fossetta gli compare sulla guancia. Poi si stringe nelle spalle, concentrandosi sui piatti e sui bicchieri.

Gli osservo le braccia sui cui porta svariati bracciali e il solito Daniel Wellington dal quadrante nero/dorato con il cinturino in pelle nera. Quando sposto lo sguardo, mi ritrovo a fissare un punto indefinito di fronte a me: un soprammobile a forma di Tour Eiffel è posato su una mensola.

Sorrido perché Matt ne ha uno pressoché identico nel suo appartamento e lo so bene perché sono stata io stessa a regalarglielo qualche anno prima, dopo un viaggio a Parigi con mia madre. Ricordo persino di essermi presa un bel raffreddore, ha piovuto quasi tutto il tempo della nostra permanenza.

Quando abbasso lo sguardo verso il pavimento, delle goccioline d'acqua mi battono sul viso; sussulto sul posto, pronta a fulminare Harry con lo sguardo e a chiedergli perché lo abbia fatto. Lui però sta indicando qualcosa alla mia sinistra.

«Ti stanno chiamando.» Il nome di Matt lampeggia sul display del mio iPhone; scivolo giù dal ripiano della cucina rivolgendogli un gesto di scuse per poi allontanarmi e poter rispondere.

«Matt» ho la voce bassa, ma sono felice di sentirlo. «Ti avrei chiamato a breve.»

«Ti disturbo?»

«Certo che no. È successo qualcosa?» Ho sempre il terrore che Josh possa aver scoperto dove mi trovi.

«No, tranquilla è tutto a posto» mi trattengo dal sospirare di sollievo. «Stavo facendo le valige e volevo sentire la tua voce.»

«Quando parti per New York?» Harry non è più in cucina perché la luce si è spenta, deve essersi nascosto da qualche parte nell'appartamento per lasciarmi un momento di privacy.

«Tra qualche ora, credo» scoppio a ridere alla sua affermazione: Matt non è mai andato troppo d'accordo con gli orari e non sarebbe una novità quella di perdere l'aereo. «Hai intenzione di tornare a casa per Natale?»

«No, non se ne parla nemmeno. Starò qui da sola, si sta bene.» Nella mia voce ho notato io stessa una nota di nostalgia, ma spero che Matt non l'abbia fatto.

«Mia...»

«È solo Natale.»

«Tu adori il Natale.» Mi guardo intorno sperando che Harry non sbuchi fuori all'improvviso, poi sorrido.

«Già, ma ho cambiato idea qualche giorno fa.» Lo sento chiudere la zip di una valigia.

«Puoi sempre venire a New York con me.»

«Non tornerò in America.»

«Hai sentito tuo padre?»

«Non parlo con lui da quasi tre settimane» mormoro, rigirandomi l'anello che porto al dito indice. «Non credo nemmeno si sia accorto che sono andata via ed essere in Giappone lo esonererà dal mettersi in contatto con me.»

«Potresti fare tu il primo passo e chiamarlo.»

«Per dirgli cosa, esattamente? Che me ne sono andata di casa e a meno che non sia lui a venire qui personalmente, ne passerà di tempo prima che le nostre strade si incrocino di nuovo?» Alzo la voce senza nemmeno rendermene conto. «Oppure che non ho la minima intenzione di rimettere piede a Tampa o avere una conversazione con lui? Ottima idea Matt, complimenti.»

«No, stavo solo dicendo che potresti almeno avvertirlo.»

«Mi farebbe prendere il primo volo disponibile o affitterebbe lui stesso un aereo privato da far atterrare sopra il tetto della casa di zia Elaine.»

«Sai che non è vero» replica, ma la voce fuori campo di sua sorella minore chiama il suo nome. «Mi cerca mamma, ti chiamo appena arrivo a New York, okay?»

«Fai buon viaggio.» Non sono io a interrompere la comunicazione, ma è lui stesso a farlo; lascio scivolare l'iPhone, osservandolo mentre atterra sul cuscino del divano. «Merda.» Reclino persino la testa all'indietro, poi sobbalzo perché le mani di Harry le sento sulle spalle qualche secondo più tardi.

«Va tutto bene?» Me lo chiede facendo il giro per accomodarsi al mio fianco.

«A meraviglia.» Borbotto, con voce carica di sarcasmo.

«Problemi a casa?» Mi osserva con occhi curiosi; curiosi e verdi. Fin troppo verdi, al momento sono persino difficili da sostenere. Mi porto le ginocchia al petto, non curandomi del fatto che possa dargli fastidio; lo vedo pizzicarsi la punta del naso distrattamente.

«Casa mia è fatta solo di problemi. Perché credi che io sia venuta fino qua, altrimenti?» Pronuncio quelle parole con così tanto risentimento che a stento mi riconosco; il suo sguardo lo sento bene addosso nonostante non lo stia guardando direttamente negli occhi.

Harry si schiarisce appena la voce, poi si avvicina appena: la sua mano si posa sulla mia ed è più grande, riesce a sovrastarla facilmente. Me la stringe appena, accarezzandone il dorso; è un gesto così inaspettato e intimo che arrossisco. Non ho il coraggio di voltarmi verso di lui e nemmeno riesco a vederlo con la coda dell'occhio perché i capelli me ne impediscono la visuale.

«Mia, ascolta» la voce di Harry è bassa, ma gentile. «Non ho idea di che cosa sia successo nella tua vita tanto da costringerti a trasferirti dall'altra parte del mondo. Non so se stai scappando da qualcosa o da qualcuno, oppure se semplicemente tu fossi stufa della Florida. So solo che deve per forza di cose esserci qualcosa che non va: ogni volta che siamo insieme e il tuo telefono squilla, cambi umore. Sei diversa

La sua mano non si muove dalla mia e non accenna nemmeno a farlo; sento gli occhi pungere, ma non voglio piangere. Non davanti a lui.

«Non è vero.»

«Voglio che tu sappia una cosa: puoi parlarmi di quello che vuoi, persino lamentarti di quanto odi questo freddo o di quanto non ti piaccia il tè. Sei mia amica e ti ascolterei comunque, anche se volessi parlare di quello che ti succede.»

Nell'aria legga uno strano silenzio per qualche minuto; non voglio voltarmi perché so che troverei i suoi occhi. Però lo faccio, forse anche inconsciamente. Lo so di avere gli occhi lucidi, ma i miei dubbi si dissolvono quando vedo quelli di Harry: è preoccupato, ma i lineamenti sono sempre gli stessi. Scuoto la testa, sfilando poi la mano che Harry ancora tiene nella sua.

«Tu non sai proprio niente.» Parlo a bassa voce, sottolineando l'ovvio e guardandolo negli occhi; lui fa cenno di no con il capo, stringendo le labbra.

«No, hai ragione» replica Harry. «Se non ne vuoi parlare, ti prometto che non ti chiederò più nulla a riguardo.»

Abbasso gli occhi alle sue parole, ma sorrido. La mano di Harry non è più sulla mia, ma ferma sul proprio ginocchio ed è tanto vicino da permettermi di sentire il suo profumo, ormai così familiare da poterlo riconoscere tra tanti. Ha le braccia ancora libere dalle maniche della camicia che indossa e dopo qualche secondo di esitazione, mi ritrovo ad afferrargli il polso sinistro.

«Che cosa significa questo tatuaggio?» Glielo domando così velocemente da coglierlo di sorpresa perché Harry non ha una pronta risposta; ha le sopracciglia leggermente aggrottate, quasi confuso. «La rosa, che significato ha?» Gliela indico e lo sento schiarirsi la voce, però il braccio non lo muove: lo avvicina ulteriormente perché io possa averlo quasi in grembo per osservarlo meglio.

«L'ho fatto qualche anno fa» annuisco appena. «Mia madre si chiama Rose ed è una pittrice. Sa quanto mi piacciano i tatuaggi, così un giorno le ho chiesto di decidere che cosa fare per arricchire la collezione. Qualche giorno più tardi si è presentata a casa con un disegno e ricordo che abbia detto qualcosa come se devo essere io a scegliere, allora voglio che sia qualcosa che mi riguardi. Mi ha fatto vedere questo disegno ed io l'ho tatuato. Ecco il perché della rosa.»

Annuisco di nuovo alle sue parole, consapevole che Harry abbia appena condiviso un dettaglio così personale; il braccio destro, oltre la spalliera del divano, si muove in fretta e la mano si avvicina al mio viso solo per scostarmi una ciocca di capelli e ritornare poi oltre le mie spalle. È un gesto tanto veloce che a malapena me ne rendo conto.

«È molto bello.» Gli occhi di Harry sono di un verde così chiaro da sembrare quasi trasparenti; quando sorride, la sua fossetta compare come al solito, ma questa volta lo so che non si sta prendendo gioco di me.

«Credo sia il mio preferito.»

«Gli altri che cosa significano?» So che ne ha molti, anche se al momento risultano invisibili al mio sguardo.

«Non tutti ne hanno uno» sogghigna Harry. «Alcuni li ho fatti perché mi annoiavo.» Scuoto la testa perché lo so che sta mentendo: sono disegni netti e precisi, devono per forza avere un qualche significato, non è mai solo pura e semplice apparenza.

«Non ti credo.» Borbotto, lasciandogli finalmente il polso; Harry si stringe nelle spalle, ma non si allontana.

«Tu ne hai qualcuno?» Scuoto velocemente la testa.

«No e non credo ne farei mai nemmeno uno.» Ricordo fin troppo bene il primo tatuaggio di Matt e il conseguente svenimento a seduta conclusa.

«Non sarai mica una di quelle persone che hanno paura di un piccolo tatuaggio, vero?» Questa volta sì che la sua maledetta fossetta si sta prendendo gioco di me.

«Non ho paura, solo che non credo lo farei molto volentieri.» Harry sogghigna, non è capace di nascondere il divertimento; gli do una leggera gomitata sullo stomaco e lo vedo alzare le mani in segno di resa.

«La prossima volta verrai con me.» Propone e inarco di conseguenza il sopracciglio, curiosa di sapere cos'altro abbia in mente di tatuarsi.

«Così vedrò finalmente l'effetto che fa il mio nome inciso sulla pelle di qualcuno?»

«Chi ti dice che non mi sia già fatto tatuare il tuo nome?»

«E dove sarebbe, sul cuore?» Indico il punto oltre la stoffa della camicia, dove Harry vi porta subito dopo la mano; gli anelli che indossa catturano la luce artificiale.

«Beccato.» Mormora divertito; scuoto la testa alle sue parole, lasciando che il silenzio aleggi per qualche secondo.

Non mi dà fastidio, ma so che Harry sta ancora aspettando una spiegazione e alla fine non so nemmeno io dove riesca a prendere il coraggio che mi serve per parlare.

«Al telefono, prima, era Matt - il mio migliore amico» non lo guardo però negli occhi, ma so che mi sta dedicando completa attenzione. «Stava preparando i bagagli per New York e mi ha chiesto se volessi andare con lui, ma...»

«Hai detto di no» conclude al mio posto. «Perché? È successo qualcosa con i tuoi genitori?» Vorrei alzarmi dal divano e andarmene a quel suo azzardo, ma sono consapevole che Harry mi riprenderebbe all'istante.

«Sì.» Annuisco infine.

«Hai litigato con loro? È per questo che non vuoi tornare a casa?» Sento il labbro tremare appena e sono costretta a morderlo perché non sia troppo evidente.

«No, ma sarebbe stato di gran lunga migliore.» Ho la voce così bassa che non sono nemmeno sicura Harry mi abbia sentita.

«Se vuoi...»

«Mia madre è morta qualche mese fa.» Lo interrompo senza nemmeno rendermene conto e lo vedo poi sussultare. Lo faccio io stessa perché pronunciarlo ad alta voce fa più male del previsto. «Sono venuta a Londra perché non potevo più stare in un luogo dove qualsiasi cosa mi avrebbe ricordato lei. Mio padre non c'è quasi mai e mio fratello ha la sua vita, non può pensare anche alla mia.» La mano di Harry mi stringe la spalla.

«Cazzo» è qualcosa che sussurra più a sé stesso. «Mi dispiace, non avrei mai immaginato una cosa del genere. Non avrei dovuto chiedere nulla, non sei obbligata a...» Harry si interrompe perché in realtà sto sorridendo e mi lascia continuare così il discorso.

«Papà vive per il suo lavoro, è così da sempre. Mio fratello mi è rimasto accanto, ma avevo bisogno anche di lui. Soprattutto di lui.» Non è più Harry a stringere la mia mano, sono io stringere la sua; gli anelli sono freddi sulla mia pelle.

«Ma certo che avevi bisogno di lui.» Harry conferma le mie parole, quasi a volermi dire di non preoccuparmi, che va bene così, che un pensiero simile è del tutto normale.

«Dopo la sua morte si è dedicato ancora più a fondo al lavoro, viaggiando quanto più possibile lontano per non dover condividere il dolore con noi. Credo sia una sorta di meccanismo di difesa.»

«Da quanto tempo non lo vedi?»

«Quasi un mese» replico, dopo averci pensato su qualche secondo. «Non credo nemmeno sappia che io sia qui.»

«Non hai paura che tua zia possa dirgli qualcosa?»

«Zia Elaine non parla con mio padre da anni ormai.» Un'ombra confusa passa sul volto di Harry.

«Ma...»

«Mio padre è una persona piuttosto difficile.» A stento trattengo una risata e Harry sospira.

«Ti manca?»

«Sì, ogni tanto più del solito» mormoro appena. «Mi sono resa conto che, per la prima volta in tutta la mia vita, mio fratello non è qui vicino, non posso uscire di casa per andare da lui quando mi sento sola.»

È proprio qui che la mia voce si spezza e so di non poter aggiungere altro. E nemmeno posso farlo perché senza che me ne sia resa conto, il braccio di Harry, fino a poco prima oltre le mie spalle, si posa ora su di esse e un momento più tardi mi ritrovo stretta a lui, faticando persino a respirare per la sorpresa.

Devo posargli entrambe le mani sul petto per evitare di perdere l'equilibrio, nonostante il pericolo di sbilanciarsi non sia minimamente contemplato. La stretta di Harry è tanto forte quanto delicata; il suo profumo lo sento tutto e , sono sicura di poterlo riconoscere tra tanti.

Non so bene perché mi stia abbracciando senza dire niente, ma va bene così; le dita di Harry mi solleticano il collo e i capelli, chiudo gli occhi per un solo momento.

«Mi dispiace per tua madre» me lo sussurra all'orecchio e il suo respiro mi fa rabbrividire. «E non sei sola, io sono sempre qui.»

Gli occhi li serro di nuovo, stringendo tra le dita la stoffa della sua camicia solo per fargli capire che sono consapevole delle sue parole; le sue labbra mi si posano sulla tempia in un bacio leggero.

Sorrido perché al momento non ho bisogno di dire altro e Harry nemmeno. 

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