Con te non ho paura

ilariadellapigna

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{Completa} Alexandra Morrison è acida, testarda e diffidente nei confronti del mondo esterno. Figlia del bos... Еще

Copyright
Dedica
Prologo
1-Safety issues!?
2-New encounters
4-Come you too?
5-Fuck you, I'll shoot!
6-Blacklist
7-Guilt feelings
8-Come here
9-Thoughts to be canceled
10-I won't let you win
11-Kayla
12-We bring you home
13-Unexpected help
14-Modest atside!
15-I thought badly
16-You won, but the game is still long
17-I'm happy
18- Katherine!?
19-Nothing
20-The old me
21-Give her another chance
22-Explanation
23- Many questions, zero answers
24- Silence
25-What happened?
26-You fucking beautiful
27- Too proud to admit reality...
28-Questions and memories
29-We know who attacked us
30-Would be proud of you
10k❤
31-You are softening, Ivanov
32-Everyone deserves a second chance
33-Bad dreams
34-I will tell you the truth
35-Sixteen years ago (pt.1)
36- Sixteen years ago (pt.2)
37-It all hurts so much ...
38- What happened after your birthday?
39-Do it!
40-Confused and angry
41-Stories
42-Now I enjoy it
43-Suspected
44-Stranger
45-The other side of the coin
46-Fair exchange
47- Twenty-first of July
48-What are you afraid of?
49-What are you doing to me?
50-Inconveniences
51-Information
52-Blackjack
53-I love to play
54-The truth
55-Certainties crumbled
56-I protect what I love
57-The whole truth
58-I fell in love
59-Keep your eyes open.
60-Has my end come?
61-I love you.
Epilogo.
Ringraziamenti e informazioni sul sequel
Sequel disponibile!!
Vendita copie cartacee

3-I dirve

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ilariadellapigna

Le grida aumentavano e, in quell'istante, mi sembrava che il cuore volesse uscirmi dal petto. Ci guardammo intorno spaventate, cercando di capire cosa stesse succedendo. Si sentirono solo i rimbombi di alcuni colpi di pistola. Seguimmo l'ammasso di gente che correva verso l'uscita, fermandoci giusto quando c'era troppa calca, da non permetterci di camminare.

«Cosa sta succedendo?» chiesi a una delle persone che incontrai, con la voce intrisa di terrore.

In tutta risposta mi ignorò e continuò a correre. Ascoltai distrattamente il rimbombo di un altro sparo e, poi, qualcuno mi spinse, facendomi sbattere al suolo.

Alzai lo sguardo di colpo, avvertendo un leggero gemito di dolore, e sgranai gli occhi quando la vidi cadere.

Per un attimo rimasi in silenzio, elaborando quello che stava accadendo, ma poi, urlai dolorosamente, graffiandomi le corde vocali, e corsi al suo fianco. I miei occhi erano un lago di lacrime, mentre sussurravo parole sconnesse, pregando nell'intervento di qualcuno. Le chiedevo di rimanere sveglia, accarezzavo i capelli e, silenziosamente, domavo il panico che annidava le mie viscere.

Gridai ancora quando chiuse gli occhi e subito sentii la terra cedere e sgretolarsi sotto di me.

Spaventata, cercai un appoggio, eppure sopra di me non c'era nulla, solo il vuoto...

Mi svegliai di soprassalto con la fronte grondante di sudore. Corsi nel bagno e rigettai tutto quello che avevo mangiato la sera prima. Quando i conati cessarono, feci dei respiri profondi, cercando di calmare il battito irregolare del mio cuore.

Sempre lo stesso fottuto incubo. Mi ritrovai a pensare, stanca di quella situazione. Borbottai qualche imprecazione, poi, mi asciugai i pochi rimasugli di lacrime e guardai l'ora sull'orologio: erano solamente le sei del mattino. Rassegnata all'idea di dover incominciare la mia giornata così presto, raccolsi le gambe al petto, presi la testa fra le mani, in un gesto disperato, e cercai di reprimere le lacrime, che aspettavano con ansia di essere liberate dalla loro prigione.

Un'unica lacrima bastarda abbandonò i miei occhi, riuscendo a oltrepassare quella barriera che negli anni avevo innalzato, ma prontamente passai la mano sulla guancia, cancellando ogni segno di quel misero attimo di debolezza.

Mi alzai da terra in un movimento scomposto e fiacco, apprestandomi a preparare la vasca in marmo, così da poter finalmente liberare il mio corpo da ogni rimasuglio di sudore.

Una volta immersa nell'acqua, spinsi la testa al di sotto della superficie liquida e rimasi lì pochi secondi, mentre, ad occhi chiusi, isolavo la mia mente dal chiassoso mondo che mi circondava. Riemersi e mi poggiai al bordo, abbandonandomi al suono della tenue musica classica, che avevo fatto partire precedentemente dal mio iPhone.

****

Mi avvicinai alla cabina armadio e cercai di tenere la mente occupata nella ricerca dell'outfit, così che l'immagine persistente di quel maledettissimo sparo, sparisse dalla mia testa, lasciandomi libera dai tormenti del passato.

Indossai un vestito a maniche lunghe grigio, al quale abbinai delle decolté nere. Raggiunsi la scrivania e inizia a truccarmi rapidamente, quando ebbi finito, spruzzai il profumo, indossai i miei orecchini preferiti, presi la borsa grigia, le chiavi della mia auto e il cappotto nero, che infilai velocemente, successivamente mi diressi nel salone, dove, ad attendermi, c'era la mia famiglia.

«Buongiorno.» Salutai tutti quanti, i quali puntarono la loro attenzione su di me.

«Non ti fermi a fare colazione?» Domandò mio padre, sfogliando il quotidiano che aveva in mano.

«Sono in ritardo, devo sbrigarmi. Ci vediamo oggi pomeriggio.» Borbottai.

«Hai bisogno di un passaggio?» Mi chiese Caleb ed io scossi la testa, negando la sua offerta.

«D'accordo, a dopo.» Concluse prima che chiudessi la porta di casa.

Salii in macchina e uscii dall'imponente cancello in ferro battuto, dotato di una targhetta con le iniziali di mio padre stampate sopra.

A.M. che stavano rispettivamente per Adam Morrison.

In meno di cinque minuti ero davanti al grande palazzo dove lavoravo. Più che un edificio sembrava un vero e proprio grattacielo. C'erano, in totale, trenta piani e il mio ufficio era situato sul punto più alto, proprio come quello di mio padre. Ero la proprietaria di un'azienda di moda, precedentemente appartenuta a lei. Mi occupavo quasi di tutto, ma lasciavo ad Adam il compito di gestire le questioni fiscali; io preferivo disegnare gli abiti, organizzare sfilate, posare per foto, sfilare sulle passerelle, oppure presenziare dove era necessario. Essendo un marchio molto conosciuto, quello di noi Morrison, il guadagno era soddisfacente e assiduo, pertanto usavamo l'azienda come una copertura per tenere lontani, dai nostri affari illegali, gli sbirri.

Parcheggiai la mia stupenda Porsche ed entrai nell'edificio, lasciandomi dietro solo il rumore dei tacchi a spillo, che sbattevano contro il suolo.

Camminai tranquillamente e con passo fiero, fermandomi a salutare quei pochi dipendenti che mi stavano davvero simpatici: gli altri si accontentavano di un semplice cenno con il capo; non erano, certo, nella giusta posizione per lamentarsi del mio comportamento, alle volte maleducato.

Salii nel mio ufficio e, dopo essermi sistemata, chiamai la mia segretaria. Il suo nome era Melanie, una ragazza sui ventiquattro anni, mora, occhi verdi e un corpo snello e slanciato. Era una persona piuttosto timida, ciononostante era molto simpatica e gentile, quando instaurava un certo rapporto di fiducia con il suo interlocutore.

Bussò alla porta e le diedi il consenso di entrare.

«Melanie, che appuntamenti ho per la giornata?» Chiesi alla ragazza.

«Signorina Alexandra, tra mezz'ora ha una riunione per sistemare le ultime cose riguardanti la sfilata di giovedì, poi dovrebbe incontrare un nuovo possibile socio.» Spiegò, mentre consultava la sua agenda.

«Perfetto, grazie. Puoi pure andare.» Sorrise e, dopo essersi congedata educatamente, abbandonò la stanza.

Rimasi ancora un po' a lavorare e, solo quando, la voce lieve di Melanie mi ricordò della riunione programmata per la giornata, mi decisi ad abbandonare la mia postazione.

Dopo due estenuanti ore di lavoro, ritornai nel mio ufficio seguita da mio padre, che si preoccupò di spiegarmi alcune questioni, riguardanti la missione prevista per quella sera.

«Tutto chiaro?» Mi chiese a un tratto; annuii semplicemente come risposta.

«Bene, allora posso andare. Mi raccomando, a proposito dell'incontro con il nuovo possibile socio, valuta attentamente.»

«Preferirei lavorare da sola, ma probabilmente non ti fidi abbastanza di me.» Sbottai irritata.

«Se non mi fidassi, non avrei mai deciso che il potere dei Morrison, un domani, cadesse tutto nelle tue mani, non pensi?» Ribatté scocciato.

Sbuffai, sollevando gli occhi al cielo.

«Alexandra, cerca di fare come ti dico, gestire l'azienda, con uno dei professionisti che ti ho consigliato, non potrebbe che giovarci. La vita è imprevedibile, te lo ripeto in continuazione.» Asserì.

«Lo so, papà, lo so. Sarà meglio che vada, non vorrei fare cattive figure.» Sospirai, alzandomi e dirigendomi distrattamente verso la sala dedicata alle riunioni.

Alla fine del colloquio dovetti ricredermi. Quell'uomo non era per niente male, e inoltre conosceva mio padre ormai da anni, quindi immaginai che di lui ci si potesse fidare, tuttavia ero ancora dell'idea che avrei potuto gestire tutto da sola, senza l'aiuto di nessuno.

Esausta, mi affrettai ad abbandonare il mio ufficio, concedendomi un momento di pausa. Salutai Melanie e mi diressi verso l'uscita. Attraversai la strada e mi fermai nella piccola caffetteria, situata di fronte al grattacielo, in cui lavoravo. Dopo aver ordinato e ritirato il pranzo, mi accomodai in uno dei tavolini liberi, accesi il mio computer, lessi le nuove mail e consumai ciò che avevo preso.

Uscii dalla caffetteria e mi diressi nuovamente verso il garage sotterraneo della mia azienda, così che potessi prendere l'auto e tornare a casa. Prima che riuscissi ad attraversare la strada, però, venni bloccata da una mano. Davanti ai miei occhi sfrecciò un'automobile ad altissima velocità, beccandosi tutte le imprecazioni dei passati. Sussultai spaventata e, velocemente, mi voltai per ringraziare chiunque mi avesse salvata. Le parole mi morirono in gola quando scorsi il volto del ragazzo dell'altra sera. La mia espressione cambiò del tutto; senza un apparente motivo ero infastidita dalla sua presenza.

«Tu!» Sbottai.

«Sono anch'io molto contento di vederti.» Commentò ironicamente. «Non preoccuparti e non ringraziarmi, non ho fatto nulla di importante!» Ghignò facendo finta di scacciare via l'argomento, con un gesto della mano.

«Non c'è motivo per il quale io debba ringraziarti. L'avevo vista la macchina e mi stavo giusto fermando.» Mentii, perché non volevo dargliela vinta per nessuna ragione al mondo. Mi scollai la sua mano di dosso e mi voltai, per poi iniziare ad attraversare la strada. Il moro non rinunciò a tormentarmi, infatti, dopo poco lo ritrovai al mio fianco.

«Un carattere alquanto piccante, da quanto posso dedurre, mi piace.» Affermò mentre sul suo volto si dipinse un mezzo sorriso.
«Comunque è evidente che ti abbia salvato la vita, pertanto mi devi un favore.» Concluse, per poi riafferrare il mio braccio; mi innervosii ulteriormente.

«Smettila di toccarmi e no, non verrò a letto con te, puoi starne certo.» Spiegai con altezzosità.

«A quello ci arriveremo in seguito.» Ridacchiò.
«Per ora mi accontento di un semplice giro in moto.» Asserì.

«E sentiamo, perché mai dovrei accettare? Potrei chiamare la sicurezza e farti scortare lontano da me.» Lo rimbeccai con tono di sfida.

«Non penso seriamente che tu voglia farlo, inoltre la mia moto è notevolmente bella.» Si vantò fintamente.

«Dov'è questa fantastica moto?» Borbottai vogliosa di tornare a casa e di infilarmi, una volta per tutte, sotto le mie soffici coperte, prima della missione.

«Alla tua destra, Alexandra.» Ignorai i brividi piacevoli che ricoprirono la mia schiena nell'udire il mio nome uscire dalle sue labbra carnose e invitanti, e mi voltai. Spalancai gli occhi quando una Ducati di un rosso fiammeggiante mi si parò davanti e, senza neanche accorgermene, accettai il suo invito.

Quella moto era un vero paradiso per i miei poveri occhi stanchi e dedussi che, nonostante l'imprudenza di quel mio gesto, un giro su quella motocicletta, non mi avrebbe mai potuto nuocere in alcun modo.

«Sappi che vengo per provare la moto, non per te.» Chiarii subito, non volevo che si facesse alcun tipo di aspettative sgradevoli.

«Certo, e io sono ancora vergine.» Affermò ironico.

«Sì, quelli che fanno gli spacconi, sono in realtà, gli uomini più fragili.» Mi guardò male ed io lasciai sfogo a una leggera risata.

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