Stars Align// Calum Hood

By LenaRailgun

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"Mi volto e caccio un urlo: davanti a me ci sono io. Ovvero, il mio corpo, che si sta toccando i capelli, i v... More

Killer Queen
A kind of magic
How to (not) be Calum Hood
How to (not) be Kate Clifford
Reputation
Do I wanna know?
Crush
Kate's first date
Sincerity is scary
Contact
You need to calm down
So confusing, am I insane?
Under pressure
This must be the place
Push me away
Somebody else
The Shadow
Blood and tears
The real Kate Clifford
Deneb, Altair, Vega
We have someone calling us back home
Battle lines
No control
Speak now
Escape
To the stars
Kasasaghi
Epilogo

Smokies

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By LenaRailgun

(Calum)

Osservo Kate allontanarsi ed uscire dal cancello, correndo in direzione della casa dei Seyfried. È veramente stupida. Perché deve essere così dannatamente orgogliosa, quando potrebbe ignorare tutto, come sto facendo io con la sua vita? Insomma, è ciò che sto facendo no? Ma la mia mente si focalizza ancora sui lividi del suo corpo, e quel pensiero non vuole sapersene di lasciarmi stare. Scuoto il capo energicamente.

«Basta» sibilo, stringendo la mano sul davanzale della cucina, prima di spingermi via da lì e tornare verso la camera di Kate. Ho proprio voglia di un pisolino...Mentre sto per uscire dalla cucina, la nonna Prince spegne la televisione e si volta, posando lo sguardo verso di me, facendomi immobilizzare sul posto. Mi sorride con gentilezza e mi fa cenno di avvicinarmi. Un po' scocciato, mi avvicino cercando di camuffare il mio disappunto.

«Kate, tesoro» avvicina una mano al mio volto e io mi irrigidisco, prima che le sue dita mi sfiorino dolcemente il viso «Fai attenzione d'accordo? E non strafare, ce la caviamo!» continua a sorridermi come a volermi rassicurare, ma io non capisco dove voglia arrivare. Poi si allontana, e io la seguo con lo sguardo, rimanendo confuso per qualche secondo, prima di scrollare le spalle, disinteressato. Avrà voluto semplicemente fare un discorso generico, è possibile no? Accenno un sorriso e faccio un cenno, prima di salire le scale. Cosa dicevo? Ah sì, avrei proprio voglia di un pisolino! Raggiungo il pianerottolo, stiracchiandomi, pensando con nostalgia al mio corpo e finendo con il chiedermi come stia la mia famiglia. Non che mi importi così tanto, ma con ingenuità mi chiedo se si siano accorti che c'è qualcosa di diverso nel proprio figlio. Mi ritrovo a sorridere amaramente: non si accorgerebbero nemmeno se me ne andassi da quella casa. Mali sì, certo, lei è sempre stata l'unica a tenere a me. Ma non ho idea di che cosa voglia dire avere dei genitori che ci siano per te. Non so nemmeno cosa voglia dire avere una famiglia. E poi, il pensiero che più mi scuote, è che Kate sarebbe perfetta per loro. Lei è perfetta per tutti. Stringo i pugni e faccio per entrare nella mia stanza, quando la porta della camera di Michael si apre, mostrando il ragazzo con indosso un paio di occhiali da riposo, visibilmente stanco. I suoi occhi verdi mi guardano perplessi, facendomi sbuffare.

«Cosa c'è?» chiedo visibilmente irritato.

«Kitty ma non devi andare a lavoro?»

Lo fisso. Lui mi fissa. Ci guardiamo per quelli che penso siano minuti infiniti, mentre metabolizzo quell'informazione. Kate regina dei miei stivali Clifford lavora. Ero convinto che ci fosse qualcuno pronto a lustrarle le scarpe, e ora scopro che ha un lavoro. Questa giornata si diverte a prendermi in giro.

«Kitty?» Michael mi richiama, riportandomi alla realtà. Scuoto lievemente il capo per togliermi dalla testa quei pensieri. Sorrido a Michael.

«Sì hai perfettamente ragione» annuisco e mi rifugio in camera, chiudendo la porta della camera dietro di me, e comincio a pensare. Il mio pensiero si catalizza su Kate, sulla determinazione nel voler mantenere le promesse. Lei è da Amanda in questo momento. E io cosa dovrei fare? Non mi interessa nulla della sua vita, eppure qualcosa mi spinge a scoprire qualcosa in più di lei. Penso sia l'indole da pettegola di una donna che è rimasta dentro di lei, come fosse intrisa nel corpo di Kate. Il mio sguardo comincia posarsi su ogni cosa in quella stanza. Lentamente, mi avvicino all'armadio bianco della ragazza e lo apro, trovando appoggiata sul fondo una borsa nera. La apro e sbuffo infastidito: persino quella è più ordinata della mia vita. Ogni cosa è al suo posto, ha astuccetti per ogni cosa. Siamo sicuri che non abbia una specie di malattia ossessivo compulsiva? Tra i vari astucci con raffigurati dei gattini, un'agendina viola, con scritte motivazionali che mi fanno alzare gli occhi al cielo. Cosa vuol dire "le mille cose che riuscirò a fare"? Ma stiamo scherzano? La apro e la sfoglio con occhi vigili fino alla data odierna. Strizzo gli occhi, decifrando la frase: "Turno alle 8 da Smokies". Rimango a fissare quella scritta, allibito: Kate Clifford non solo lavora, ma lavora in un pub delle peggiori zone di San Francisco? Questa giornata mi sta prendendo il giro, e credo ci stia provando un gusto immenso. Inspiro e tamburello le dita sulla copertina di cartone dell'agenda, indeciso su cosa fare. Bhe, tanto studiare fisica non lo farò mai, ma almeno divertirmi a rompere bicchieri e vedere gli sguardi perplessi dei datori di lavoro di Kate, abituati ad una ragazza così diligente che ora non lo è più, mi sembra una prospettiva divertente. E c'è da dire che la curiosità mi ha tolto il sonno. Infilo l'agenda nella borsa e chiudo la cerniera, sistemando la tracolla sulla spalla: comodo avere una borsa, altro che le tasche dei jeans dove infiliamo sempre tutto noi uomini, voglio una borsa!

Esco di casa senza salutare, e cammino verso quel locale che conosco solo per fama. Nemmeno io ci ho mai messo piede, e l'idea che Kate ci lavori devo dire che mi mette i brividi. Il sole è tramontato ormai da un po' e seguo la fila di lampioni verso i quartieri scuri di San Francisco, senza timore. Insomma, perché dovrei averne? Se Kate viene qui, posso benissimo farlo anche io senza alcuna paura. Arriccio il naso quando l'odore di salsedine tipico dei nostri quartieri viene sostituito da un puzzo nauseabondo di marcio ed immondizia, ed è proprio così che trovo lo "Smokies", che si staglia davanti a me non appena giro l'angolo. Mi blocco e deglutisco prima di entrare nel locale, ben consapevole di essere propriamente puntuale. Ma tanto non importa no?

«Kate» sento sibilare da una voce non molto cortese. Mi volto e mi ritrovo davanti un uomo dai capelli castani, lunghi fino alle spalle, che mi fissa arrabbiato, gli occhi scuri mi osservano tempestosi facendomi venire i brividi.

«Sei in ritardo» scandisce ogni lettera con una lentezza esasperante, incrociando le braccia al petto massiccio rivestito da una camicia bianca.

«Mi dispiace» tento di mormorare, lanciando di sfuggita un'occhiata all'orologio: cinque minuti. Sono solo cinque minuti, e per me è essere in anticipo.

«Vai a cambiarti» ordina prima di andarsene, non prima di avermi lanciato un'ennesima occhiata severa, e io ho idea che poteva andare veramente peggio. E non so se sia una mia impressione, ma sento alcuni punti della pelle che bruciano, e sono quasi convinto siano le zone in cui spiccano i lividi violacei.

Raggiungo lo spogliatoio ed apro la porta bianca spingendola con i palmi delle mani, percorrendo il pavimento ricoperto di piastrelle bianche, attraverso i vari armadietti con delle targhette bianche sul fronte, su cui sono scritti dei nomi. Girovago fino a quando il nome "Kate" non mi fa fermare, e rimango immobile per qualche secondo a contemplare il suo nome scritto in stampatello. Perché non me lo ha detto? Ma subito mi do una risposta: vergogna.

La regina Kate Clifford non sbaglia mai, almeno ai nostri occhi. È sempre detestabilmente perfetta, si aggira per i corridoi con gli occhioni sempre truccati perfettamente, i capelli rossicci lunghi e mossi che non esita a scrollare con maestria ed eleganza. Le unghie sempre lunghe e limate, i vestiti che le evidenziano il fisico. Chi avrebbe mai potuto solo immaginare che lavorasse in uno squallido locale indice di criminalità, a fare la barista, con un capo che la fissa fulminandola con lo sguardo ogni minima volta che è nel suo raggio di azione? Stringo il fiocco del grembiule per l'ennesima volta, e mi asciugo la fronte con il polso, ringraziando il cielo di aver lavorato in un bar qualche anno fa. Servo un cocktail alla menta al cliente davanti a me, accennando un sorriso, mentre lascio che il suo sguardo poco casto scivoli sul corpo di Kate. Non è un mio problema, dato che non è il mio vero corpo, ma mi sto chiedendo come lei sia riuscita a sopportare tutto questo, dato che persino io mi sento a disagio.

«Buona sera bambolina»

Stringo i denti e lancio un'occhiata all'uomo che ha appena preso posto su uno sgabello alla mia sinistra, e mi fissa leccandosi le labbra.

Gli spacco i denti

Faccio un cenno con il capo e rimango in attesa.

«Dammi del rum» ordina squadrandomi da capo a piedi. Con la mascella serrata, prendo un bicchiere tra quelli che ho appena pulito e verso la bevanda richiesta, posando il bicchiere davanti a lui, senza dire una parola. E credo che lui non sia molto contento della cosa: i suoi occhi grigi mi fissano duri, e la sua espressione sembra volermi dire "oh, ho appena cominciato con te". Ridacchia, giocherellando con il bicchiere, prima di portarlo alle labbra e berne un sorso.

«Cara piccola Kate» si passa la lingua tra le labbra, per scacciare i residui di rum «Mi sembri strana questa sera. Non sei felice di vedermi?»

Alzo un sopracciglio, infastidito.

«Sono solo occupata» accenno un sorriso di scuse e mi guardo attorno, nella speranza che ci sia qualche altro cliente che necessiti della mia attenzione, ma sembra che non sia la mia giornata fortunata. Il mio sguardo passa dagli uomini impegnati a giocare a carte, a quelli che stanno intraprendendo una fitta conversazione con i bicchieri ancora pieni fino all'orlo. Il mio sguardo cade di nuovo sull'uomo dagli occhi grigi e capelli scuri che mi guarda soddisfatto, il mento appoggiato al palmo della mano.

«Nel senso che ho molti pensieri per la testa» ridacchio, innervosendomi da solo per questa risata così fastidiosa, e comincio ad asciugare dei bicchieri che so per certo essere puliti.

«Piccola Kate»

«Non chiamarmi così» sbotto a bassa voce, ma non abbastanza bassa dato che le sue orecchie hanno captato perfettamente ciò che ho appena detto. I suoi occhi tornano duri, e l'uomo si alza di scatto, afferrandomi per un braccio e strattonandomi vicino a lui.

«Tu sei una schiava, piccola Kate. E noi le schiave le trattiamo come vogliamo» sibila, facendomi accapponare la pelle.

«Mollami» sbotto, mentre la sua stretta si fa sempre più forte. Socchiudo gli occhi per il dolore, mentre tento di divincolarmi senza successo.

«Che succede qui?»

Riconosco la voce del capo di Kate, che rende il mio cuore più leggero. L'uomo lascia la presa e lo fissa.

«Questa puttana non mi tratta con rispetto»

«Veramente sei tu che non tratti me con rispetto!» obietto io.

Il mio capo annuisce, grattandosi la barba e mi fa un cenno.

«Kate vieni con me»

Sguscio via, lasciando il bancone incustodito, ma sentendomi al sicuro. L'uomo apre una porta di legno scuro, che tiene aperta per farmi passare. Entro e storco il naso all'odore di alcool e sigaro di cui è impregnata, e mi volto al cigolio della porta che si sta chiudendo dietro di me.

«Allora Kate» l'uomo accende la luce e si avvicina, mentre io devo socchiudere leggermente gli occhi.

«Vedo che stiamo riprendendo le cattive abitudini eh?»

Faccio per parlare, ma le parole non vogliono uscire dalla mia bocca. Possibile che io, Calum Hood, stia provando così tanta paura?

L'uomo mi afferra per l'orlo della maglia.

«Lo sai che sei nelle mie mani, Clifford. E con te tutta la tua famiglia. È inutile che tenti di ribellarti, la partita è mia!» sibila con rabbia. E, dopo aver detto queste parole, mi scaraventa per terra. Urto con il fianco lo spigolo del tavolino, e l'impatto mi fa gemere di dolore. Credo sia lo stesso punto dei lividi che erano già presenti. E ora capisco come se li è procurati. Ma, mentre l'uomo si toglie la cintura di cuoio, e io metabolizzo che sta per colpirmi ancora, riesco a chiedermi: come ci sei finita in questo casino, Kate?

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