La selezione naturale

By Chiara_Clary

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Dalila è una ragazza dolce quanto fragile, la sofferenza per la morte di suo fratello Lorenzo l'ha portata a... More

Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34

Capitolo 17

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By Chiara_Clary

Quando uscimmo dall'aula trovammo Andrea seduto in un angolo, le ginocchio strette al petto e il viso scosso, fissava un punto nel vuoto. Luca si avvicinò sedendosi accanto e mettendogli una mano sulla spalla, io mi misi accanto a lui, Elisa all'altro lato accanto ad Andrea.

"Andrea cos'è successo?" chiese Luca.

"Era mia madre" rispose Andrea senza alzare lo sguardo.

"Che cosa voleva?" chiese di nuovo Luca.

"Non lo so... io l'ho vista e non ce l'ho fatta, sono scappato" spiegò con voce tremante.

"Andrea è normale, tu e tua madre non vi siete più visti né sentiti da quando..." si interruppe, sembrava sapere del passato di Andrea, come anche che l'amico non si sentisse pronto a parlarne. Andrea gli rivolse uno sguardo, poi guardò me e infine si soffermò su Elisa.

"Andrea" sussurrò lei guardandolo.

"Elisa... non voglio che tu mi veda così, io non voglio essere debole, voglio essere forte, per te, voglio farti sorridere, non renderti triste" disse abbassando lo sguardo.

"Ma Andrea non si può essere sempre forti, tutti abbiamo delle debolezze ed è normale essere tristi a volte; non voglio sempre essere io quella debole e da sostenere, è bello sapere che anche tu hai delle fragilità, altrimenti non saresti umano. Dammi la possibilità di mostrarti che anch'io sono abbastanza forte da sostenerti" disse Elisa prendendo la mano di Andrea. Lui la guardò per un lungo istante poi sorrise.

"Lo so che sei forte Eli, l'ho sempre saputo, solo che non te ne accorgevi". Andrea strinse la mano di Elisa, poi abbassò di nuovo lo sguardo.

"Andrea se te la senti di parlare noi siamo qui per te, ti ascolteremo e non sentirti a disagio o giudicato, sai quello che noi abbiamo passato, e sai che nessuno di noi è senza fragilità o sofferenze" dissi a un tratto rompendo il silenzio.

Andrea mi sorrise: "Hai ragione Dalila, sei una buona amica, voglio che anche te ed Elisa sappiate la mia storia, come la sa Luca" disse facendo un profondo respiro.


ANDREA'S POV

Mente raccontavo agli altri ciò che avevo vissuto un vortice di emozioni e ricordi mi travolse.

Non avevo mai conosciuto veramente mio padre, se ne andò via troppo in fretta; quando ero piccolo mi ricordo che lavorava fino a tardi, ma la sera e nei weekend trovava sempre dei momenti da passare con me e mia madre. Ricordo che a sei anni giocavo a calcio con lui, quando vedevo un pallone non riuscivo a fare a meno di calciarlo: diventò la mia passione e mio padre lo capì, così entrai in una squadra e iniziai ad allenarmi, diventando sempre più bravo.

Era una passione che condividevo con lui, ogni tanto giocavamo insieme nel campetto sotto casa, alcune volte con mia madre veniva a vedermi agli allenamenti e non si perdeva una partita. È stato il primo a credere in me, a incoraggiarmi a fare ciò che mi piaceva e in cui ero bravo, questo non lo dimenticherò mai. Ma poi quando avevo nove anni le cose cambiarono: mio padre cambiò, non fu più lo stesso; non so cosa gli successe, ma iniziò a trascorrere sempre meno tempo con me e con mia madre, faceva tanti straordinari a lavoro, nei weekend era sempre stanco e non voleva uscire dalla sua stanza. Non giocò più a calcio con me e iniziò a mancare a sempre più partite, finchè non lo vidi più tra gli spalti; continuava a litigare con mia madre, urlavano ogni volta che era a casa e io non ne potevo più.

Con me era diventato freddo, sembrava mi evitasse, e anche mia madre per quanto presente era come assente, mi parlava a malapena, piangeva quasi ogni sera.

Passò così un anno, avevo appena iniziato le scuole medie, non potrò mai dimenticare quella sera: per la prima volta dopo tanto tempo mio padre mi abbracciò, poi mi guardò negli occhi con aria triste e mi disse ti voglio bene; io non riuscii a rispondere, troppo sconvolto da quel gesto, sentivo gli occhi inumidirsi e la voce non usciva.

Il giorno dopo quando tornai da scuola lui non c'era e non ci fu neanche il giorno dopo né quello dopo ancora.. non tornò più, non lo rividi più ne ebbi sue notizie. Mia madre pianse per settimane ma non mi seppe dare una spiegazione: io provai a cercarlo in tutti i modi, lo chiamai al cellulare, gli lasciai mille messaggi scritti e vocali, gli mandai email, prima preoccupate, poi di rabbia. Lo cercai a lavoro, chiesi a tutti suoi colleghi ma nessuno sapeva niente, erano tutti sconvolti quanto me dalla sua scomparsa. Poi dopo qualche mese smisi di cercarlo, mi arresi; mia mamma non fu più la stessa, e probabilmente nemmeno io.

A ogni partita non potevo fare a meno di guardare verso gli spalti immaginando di vederlo lì che mi sorrideva facendo il tifo per me, ma non accadde mai. Mi chiusi in me stesso, gli anni delle medie li passai isolato dal mondo, non parlavo praticamente con nessuno e a casa era lo stesso, mia madre era come un fantasma e lo diventai anch'io.

Poi al liceo ci fu una svolta, ero stanco di stare così, uscii dal mio guscio, alzai uno scudo, una facciata di sarcasmo, allegria e positività che mi contraddistinse: iniziai a fare amicizia con tutti e con nessuno, tutti mi parlavano e mi volevano alle loro feste, ero quello divertente e sempre allegro. Volevo solo divertirmi, godermi la vita e stare con le persone, lasciandomi alle spalle tutte le sofferenze, le domande senza risposta, i silenzi assordanti e le assenze incolmabili.

Così uscii quasi tutte le sere, mia madre iniziò a diventare oppressiva, forse anche lei stupita del mio cambiamento; era paranoica, mi riempiva di telefonate e messaggi quando uscivo, ma io la ignoravo, quando ero a casa mi rimproverava di ogni cosa, minacciandomi di non farmi uscire, ma io non la ascoltavo. Forse ce l'avevo anche con lei, come ce l'avevo con mio padre: sì lui mi aveva abbandonato, aveva abbandonato entrambi e capivo il suo dolore, ma non c'era stata quando avevo bisogno di lei, non mi aveva sostenuto, si era chiusa in se stessa lasciandomi fuori, come se non esistessi più. Questo non riuscivo a perdonarglielo, perciò avrei fatto anch'io come se lei non esistesse.

Quando compii 16 anni le cose cambiarono di nuovo: mia madre aveva iniziato a frequentarsi con un uomo, cercai di rimanere indifferente alla cosa, non sapevo neanch'io come prenderla, forse mi dava un po' fastidio, ma il vantaggio era che la rendeva meno opprimente, quasi indifferente nei miei confronti, come prima: in realtà non so se la cosa mi facesse stare meglio o peggio.

Poi un giorno mia madre mi disse che quell'uomo sarebbe venuto a vivere con noi e questo non riuscii proprio ad accettarlo.

"Mamma lo conosci solo da qualche mese, non puoi portarlo a vivere qui" protestai.

"Andrea non credi che sia giusto che anch'io mi dia un'altra possibilità? Non vorresti che io fossi felice?" chiese lei.

"Perché a te è mai importato qualcosa della mia felicità? Hai mai pensato per un secondo a come stessi io? Perchè mi pare che tu abbia sempre pensato solo a te stessa!" urlai io con rabbia.

Lei mi guardò ammutolita con aria ferita, ma in fondo ero sicuro sapesse che avevo ragione.

"Io ti ho cresciuto, ci sono sempre stata per te, conta così poco questo!" ribattè lei in lacrime. Mi dispiaceva vederla piangere, ma doveva capire che non era l'unica a soffrire, che non era l'unica che cercava un po' di felicità.

"Da quando papà se n'è andato è stato come se non ci fossi più neanche te! Io non esistevo più, hai iniziato a interessarti di nuovo a me solo quando ho iniziato a uscire di più, quando ho iniziato ad essere felice hai cercato di impedirmi di esserlo".

"Io cercavo solo di proteggerti! Mi spiace non esserci stata abbastanza per te, ho sofferto tanto quando tuo padre..." si interrupe, la voce tremante "in realtà le cose hanno iniziato ad andare male prima che se ne andasse".

"Me ne sono accorto! Credi che non le sentissi le vostre urla? E che questo non mi facesse stare male quando ero ancora un bambino!".

Era la prima volta che io e mia madre avevamo quel tipo di discorso, avevamo sempre represso la cosa, come se nulla fosse successo, evitandoci, ma ora ero esploso e stavo buttando fuori tutta la rabbia che mi ero tenuto dentro per anni.

"Tesoro mio... mi spiace tanto, so che anche tu soffrivi, mi spiace di non essere riuscita ad essere la madre che avrei voluto per te" si addolcii, avvicinandosi per darmi una carezza. Per un attimo mi calmai anch'io, ma poi mi allontanai.

"Anche se ti spiace questo non cambia che continui a mettere qualsiasi altro uomo prima di tuo figlio e questa ne è la dimostrazione" ribattei con freddezza.

"Non è affatto vero! Quell'uomo potrebbe anche essere un padre per te, quello che il tuo non è stato".

A quelle parole mi gelai, sentivo una grande rabbia montarmi dentro;
per quanto mi avesse profondamente ferito mio padre era sempre mio padre, e per quanto tentassi di reprimerlo mi mancava terribilmente.

Ma le parole che uscirono dalla mia bocca furono altre.

"Non ho bisogno di un padre!".

Poi esitai per qualche secondo, e aggiunsi: "E neanche di una madre, sto bene da solo, me la cavo tranquillamente così".

Le mie parole colpirono nel segno, lacrime scorrevano sul viso di mia madre, seguì del silenzio, dopodiché parlò.

"Bene, allora visto che ormai trascorri più tempo fuori che in casa non sarà un problema se Paolo verrà a vivere qui".

Quelle parole fecero aumentare ancora di più la mia rabbia, che si tramutò in furia; presi un vaso e lo lanciai a terra frantumandolo, mia madre trasalii, dopodiché la guardai con sguardo truce.

"Bene allora non ti stupire se un giorno me ne andrò senza salutare".

Dette quelle parole mi precipitai fuori casa, sbattendo con violenza la porta che tremò alle mie spalle.

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