Cuori In Tempesta

By Rob_Granger

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"La vita è come scatola di cioccolatini. Non sai mai quello che ti capita" diceva Forrest Gump. A Monica è c... More

Presentazione storia & Book Trailer
Cioccolato Amaro
Suspiria
Cioccolato e pistacchio
Tutta colpa di Bach
Houston, abbiamo un problema
Lui è migliore di te
Effetto Farfalla
Hold my hand
Buon senso o gentilezza?
Anime Affini
Talento
Home Alone
Sei un enigma per me
Solo per qualche secondo
Su un'altalena
Meno di ieri, più di domani
Via dalla pazza folla
Tutto il tempo che vuoi
La luna e il falò
Kiss Kiss
Una serie di sfortunati eventi
Possibilmente per sempre
Santa Monica
Il cielo in una stanza
Epilogo- Cuori In Tempesta
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Che i giochi abbiano inizio

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By Rob_Granger



CUORI IN TEMPESTA

-Che i giochi abbiano inizio

Se sei abbastanza lontano da qualcosa, ti sembra inspiegabile. Se ti avvicini, arrivi a un punto in cui ti sembra semplice. Ma se ti avvicini ancora, diventa inspiegabile di nuovo.
(Andrea De Carlo)

Ammetto di essere un attimo intontita per il fatto che Giordana abbia posato il suo capo sulla mia spalla, ma sono consapevole che il suo è stato un gesto del tutto involontario, essendosi addormentato.

È tipico di un tipaccio come lui appisolarsi in treno in piena mattinata! Sono certa che questa notte non ha dormito neanche un po', per fare il pagliaccio con i suoi amici. Avranno festeggiato una sorta di "addio al celibato", solo che al posto del celibato, Giordana perderà la sua libertà estiva, ed io la mia, mio malgrado.

In un primo momento ho voglia di svegliarlo, ma poi decido che è meglio lasciarlo dormire. È più tranquillo quando non è sveglio a guardarmi con astio. Lo guardo e, mi duole ammetterlo, ma a vederlo con gli occhi chiusi sembra quasi dolce. Ho detto quasi, eh! Le ciglia lunghe creano un'ombra sugli zigomi alti e qualche ciocca corta di capelli gli copre la fronte. Ha dei lineamenti decisi ma delicati allo stesso tempo.

Poi, facendo attenzione, poso una mano sulla sua guancia, priva di barba, e una sui suoi capelli per spostare la sua testa sul suo sedile. Fa un leggero lamento, ma poi ritorna a riposare in silenzio. Ha il capo rivolto verso di me.

Rimango a osservarlo diversi istanti, posando una mano sotto il mento. Se penso che quando eravamo bambini io e questa testa vuota eravamo amici e che adesso non mi sopporta, mi sento pervadere da un sentimento a metà tra la rabbia e la tristezza. Cosa mai sarà successo per spingerlo a comportarsi in questo modo con me? Ho cercato tante volte di capirlo, ma non ci sono mai riuscita. Mi sono spesso trovata a pensare che devo aver fatto qualcosa di molto brutto per creare in lui un tale sentimento, ma poi mi sono sempre detta che sono certa di non aver mai fatto nulla di sbagliato che potesse rovinare la nostra amicizia, e che forse è cambiato semplicemente perché è cresciuto. Si sa d'altronde che la crescita porta tante persone a vederne altre con occhi diversi. In ogni caso, oltre il fattore crescita c'è anche quello idiozia. Giordana è un troglodita, e basta.

Sbuffo. Poi decido di tornare a leggere il mio libro. È inutile rimuginare su qualcosa di così incomprensibile.

Sono arrivata quasi a metà romanzo, quando sento il treno fermarsi. Vedo tanta gente alzarsi dai propri sedili e iniziare a prendere le proprie valigie, così capisco che siamo arrivati al capolinea. Poso lo sguardo sul mio orologio da polso e noto che sono le undici e qualche minuto. Chiudo il romanzo inserendo un segnalibro nella pagina in cui mi sono fermata, e lo inserisco con cura, insieme alle cuffiette, nella borsa a tracolla.

Mi volto verso Giordana notando che sta ancora dormendo, così picchietto sulla spalla per svegliarlo. Per fortuna apre gli occhi in pochi secondi.

-Mi ero addormentato?- chiede sorpreso stropicciandosi gli occhi.

-No, stavi solo pensando ad occhi chiusi.- lo prendo in giro, alzandomi in piedi.- Ora riprenditi e andiamo. Siamo arrivati alla stazione di Rimini.- gli dico.

Si passa una mano tra i capelli, controlla qualcosa sul suo cellulare e poi si alza. Prende le nostre valigie e le posa sul corridoio del treno. Per fortuna ha preso anche la mia, senza fare il teatrino che ha fatto all'andata per posarla sul portabagagli.

Qualche minuto ed entrambi siamo fuori dalla locomotiva.

L'aria che ci accoglie è calda, e un po' umida. Vedo diverse persone in partenza e un capostazione che fischietta. Ci sono tanti bambini che schiamazzano e donne anziane che si sventolano ventagli colorati sulle panchine della stazione.

-Faccio una telefonata a mio nonno. Aspettami qui.- lo guardo un secondo e mi allontano di qualche passo.

Giordana mi ignora, prendendo ad osservare il suo telefono. Insopportabile!

Faccio il numero di mio nonno. Me l'ha dato mia mamma prima di partire.

-Pronto?- fa il padre di mia madre, dopo qualche squillo.

Ha la stessa voce che ricordavo.

-Ehi nonno, sono Monica...- lo saluto.

-Ciao nipote!- sembra gioviale.- Sei ancora sul treno?- mi chiede.

-No, nonno. Sono appena arrivata. Sono in stazione.- gli rispondo.

-Ah bene! Sai vero quale navetta prendere adesso?

-Sì, la navetta per Torre Bella, appena fuori dalla stazione.- continuo.

Per lo meno i miei genitori e i signori Giordana hanno organizzato per bene questo viaggio, indicandomi- sì non indicandoci, perché tanto quello spaccone se ne sarebbe disinteressato comunque,-tutte le mappe che avrei dovuto seguire per raggiungere mio nonno.

-Esatto. Ti porterà direttamente alle porte del paese. Mi troverai al capolinea ad aspettarti.- spiega.

-Perfetto. A dopo allora.

Il nonno ricambia il mio saluto e poi riattacca. Prima di rimettere il cellulare in tasca, noto una notifica da parte del gruppo whatsapp "Il Golden Trio" che condivido con Matteo e Penelope. Mi chiedono se sia arrivata e se sia sana e salva, allegando al messaggio una loro foto in cui mostrano delle facce tristi. Ridacchio e rispondo che sono appena arrivata in stazione e che per il momento sto bene, aggiungendo alla frase diverse faccine sorridenti. Ritorno poi da Giordana, ancora intento a giochicchiare con il suo smartphone.

-Possiamo andare.- gli dico fredda.- Dobbiamo uscire dalla stazione e prendere la navetta che ci porterà al paese di mio nonno che, come dovresti sapere, si chiama Torre Bella.- gli ricordo.

Prendo il mio trolley e con un po' di forza lo sollevo dall'apposito manico, iniziando a scendere gli scalini che mi condurranno all'aperto. Il tipaccio fa lo stesso.

-Com'è tuo nonno?- mi domanda poi, iniziando a camminare insieme a me, una volta fuori.

Ha lo sguardo fisso davanti a sé. Si sistema il borsone sulla spalla e trascina con lentezza il suo trolley.

-Come vuoi che sia?- lo guardo per un attimo.- È un brav'uomo, anche se da quando è morta mia nonna è diventato un po' distante. In ogni caso ti do un consiglio: sii educato quando gli sei di fronte e segui sempre ciò che ti dice.- gli rispondo avvicinandomi alla fermata della navetta. Intravedo già diverse persone ferme con i loro bagagli.

-Mhm.- brontola.

-Tranquillo, sai fingere di essere un bravo ragazzo tu.- lo rimbecco.

-Io sono un bravo ragazzo, Ranieri.- risponde nervoso.

-Certo come no!

-Piuttosto tu giochi a fare la brava ragazza, e poi ti vesti in maniera inappropriata.- sottolinea il tu, guardandomi per un secondo.

Inarco le sopracciglia.

-Ma che cavolo stai dicendo Giordana? Quando mai io mi sarei vestita in maniera inappropriata? E poi chi è che gioca a fare la brava ragazza?- lo guardo, stringendo i denti. Ho una voglia matta di prenderlo a pugni.

-Tu giochi a fare la santarellina, Monica la Monaca e sempre tu ti vesti in maniera inappropriata, come in questo momento.- si volta a guardarmi.

Ha gli occhi iniettati di astio.

A quel punto abbasso lo sguardo sul mio abbigliamento. Indosso una salopette a pantaloncino che mi arriva un paio di centimetri sopra le ginocchia, abbinata a una maglietta bianca e a delle scarpe da tennis.

Scuoto la testa. Mi sento confusa e arrabbiata. Come osa parlarmi in questo modo?

-Come ti permetti, Giordana?! Scommetto che definisci inappropriato il mio abbigliamento attuale solo perché ho parte delle gambe scoperte!- stringo il manico del mio trolley, facendo diventare le nocche delle mani bianche.

-Certo che lo dico per questo. Una monaca non dovrebbe portare le gambe scoperte.- mi apostrofa.

A quel punto mi fermo, facendo fermare anche lui.

-Sei un cretino patentato Giordana. – gli punto il dito contro. I miei occhi sparano fiamme, da far invidia a qualunque cyborg. -Non ti sopporto e mai ti sopporterò. Sarà meglio per te che ti comporti in maniera più educata nei miei confronti, oppure...

-Oppure chiamerai don Gabriele e il sosia di Kurt Cobain?- mi prende in giro, riprendendo a camminare.

Sento gli sguardi dei passanti su di noi.

-No, ti insegnerò l'educazione a suon di schiaffi.- gli rispondo a tono, fermandomi alla fermata della navetta. Una coppia di anziani prende a guardarci come se stesse seguendo una partita di tennis.

Se pensa di potermi parlare come vuole, si è sbagliato di grosso.

Il cretino scoppia a ridere e poi rimane in silenzio mantenendo sempre un sorrisetto sulle labbra. È davvero un ragazzo impertinente e detestabile.

-Comunque Ranieri,- riprende dopo poco, guardandomi.- hai detto che non mi sopporti e che mai lo farai, no? Beh sappi che, se non te ne fossi accorta, neanche io ti sopporto e che sei l'ultima persona al mondo verso la quale potrei mai provare altro che non sia odio.- conclude con disprezzo, tornando a volgere lo sguardo davanti a sè.

-Queste frasi cinematografiche te le puoi anche risparmiare Giordana. Il sentimento è reciproco.- rispondo dopo qualche secondo, con durezza.

Lui sbuffa mentre io deglutisco il groppo che mi si è formato in gola . Ammetto che seppur consapevole che da anni non scorre buon sangue tra di noi, Giordana non mi aveva mai detto apertamente di disprezzarmi in questo modo. Odio. Ha parlato proprio di odio ed è così brutta questa parola. Triste. Aspra. Forte. In più, se a dirvela è qualcuno che un tempo vi aveva regalato affetto, appare più tagliante di un coccio di vetro che vi lacera senza pietà la pelle. Come se non bastasse, ha detto anche che mi odierà per sempre. Non che non sapessi cosa provasse per me, ma forse una parte recondita di me, aveva sperato che le cose potessero, almeno in parte, aggiustarsi un giorno. Anch'io ho sempre detto di detestarlo, ma la mia è sempre stata una difesa, lui invece prova un sincero e profondo sentimento di disprezzo verso di me. Sentirmi rivolgere certe frasi, mi fa stare un po' male. Forse anche più di "un po'", ma non perché me le abbia rivolte una persona con cui da bambina giocavo, ma perché mi sono state gettate con una tale naturalezza e spontaneità. Sento gli occhi inumidirsi, per ciò sbatto prontamente le palpebre e deglutisco un'altra volta. È come se con queste parole mi avesse dichiarato guerra e avesse sancito un patto che ci rende nemici giurati. Poveri i nostri genitori. Illusi solo a pensare che questo viaggio avrebbe potuto risanare un legame ormai diventato nient'altro che cenere.

È il suono del motore della navetta che mi ridesta dal mio stato, così non appena arriva, aspetto il mio turno e poi una volta dentro, mi fiondo ad un posto il più lontano possibile da quello stupido, rinunciando persino ad indossare le cuffiette. Neanche ascoltare un concerto di Mozart, Bach, e Beethoven insieme mi aiuterebbe a calmarmi in questo momento! Mi sento triste e frustrata. È tutta colpa dei miei genitori se ora mi trovo in questa situazione. Se penso che solo l'anno prima, a questa stessa ora, ero con i miei amici ad organizzarmi per andare in spiaggia, vorrei davvero scoppiare a piangere o comunque urlare così forte che la figura rappresentata ne "L'urlo" di Munch, ammutolirebbe dallo spavento.

Rimango a fissare il finestrino per tutta la durata del viaggio, mordendomi le labbra, stordita dalle troppe chiacchiere che sta dicendo la signora seduta al mio fianco. Sta parlando al cellulare, con voce troppo alta, discutendo di tacchini, mirtilli, pistacchi e cibarie varie. Neanche stesse preparando una cena per il Ringraziamento! Vorrei dirle che siamo in estate e non in procinto di festeggiare Natale, ma è meglio che rimanga in silenzio.

Cinque ricette e milioni di chiacchiere dopo, sento questa scatola di sardine fermarsi, così mi affretto ad uscire con il mio trolley. Lo stesso fa Giordana ,ma sono ben intenzionata a non rivolgergli neanche lo sguardo, se non quando sarà strettamente necessario, e quando ruoto lo sguardo, non mi ci vuole molto per notare mio nonno. I suoi capelli sale e pepe (più sale che pepe) coperti da un cappello di paglia, risaltano sul cartello blu su cui svetta la scritta "Torre Bella".

È esattamente come lo ricordavo: alto, dal fisico asciutto, con i capelli brizzolati ancora folti e lisci, e una soffice barba bianca a incorniciargli il viso magro e abbronzato, colorato da due profondi occhi marroni che io ho ereditato. Ha lo stesso sorriso della mamma.

-Nonno!- gli sorrido, andandogli incontro.

Con la coda dell'occhio vedo Giordana seguire il mio sguardo.

-Monica! Bella di nonno, è andato bene il viaggio?- mi sorride cordiale, stringendomi in un caloroso abbraccio. Ha un profumo che sa di talco e di menta. Delle rughe solcano il suo viso affascinante. Fin da quando ero piccola il nonno mi ha sempre ricordato uno di quegli attori di quei vecchi film in bianco e nero. Tipo Gregory Peck o Robert Taylor.

Ammetto che mi aspettavo un 'accoglienza meno affettuosa, visto il suo comportamento negli ultimi anni, ma è molto piacevole essermi sbagliata. Il suo abbraccio mi sortisce lo stesso effetto che una madeleine sortì in Proust. Ricordi della mia infanzia iniziano a farsi spazio nella mia mente e un sorriso si dipinge, inevitabilmente, sul mio volto.

-Abbastanza nonno, ti ringrazio.- ricambio il sorriso, sciogliendo l'abbraccio.

-Sei davvero tanto cresciuta! Non sei più piccina.- ride.

-Il mio animo è sempre fanciullesco nonno, non preoccuparti.- gli faccio l'occhiolino.

-Questa è la cosa importante.- Mi accarezza la testa, poi volge lo sguardo verso lo zuccone, che mi si è affiancato in pochi secondi.

-E tu devi essere Gioacchino, giusto?- continua mio nonno, guardando il troglodita dritto negli occhi e tendendogli la mano.

-Salve signore. Sì sono Gioacchino Giordana, ma può chiamarmi Jack.- il mio nemico gli sorride, timido, stringendogli la mano.

La maschera del bravo ragazzo sa proprio indossarla.

-Gioacchino andrà benissimo. Io e l'inglese non andiamo molto d'accordo.- lo fissa mia nonno. Io ridacchio, soddisfatta.

-Come vuole, signore.- gli risponde Giordana, affrontando il suo sguardo.

-Chiamami Marcello e dammi pure del 'tu'. Ora, se volete seguirmi, ho la macchina qualche metro più avanti.

Io e Giordana ci incamminiamo, ignorandoci a vicenda. Mi guardo intorno, notando un paesaggio che si avvicina molto a quello in cui sono cresciuta. Sono una ragazza del Sud e sono abituata all'aria di mare. Attorno a noi ci sono palazzi e strutture balneari di ogni genere. L'aria, seppur calda, è pulita. Il cielo è limpido e sereno, scheggiato da qualche vaporosa nuvola bianca. Quando ero piccola mi divertivo a fissare le nuvole e a riconoscere nelle loro forme cose, persone o animali. Con lo sguardo fisso all'insù, finivo sempre per andare a sbattere contro qualcosa, e a portarmi a casa un bel bernoccolo, ma poco importava. Anche adesso ho lo sguardo perso nel cielo, ma mi ridesto subito quando sento Giordana schiarirsi la voce. Riporto la mia attenzione di fronte a me, notando la macchina di mio nonno a pochi passi da me, chiedendomi perché quel testa vuota si sia schiarito la voce proprio in un momento in cui ero distratta. Mi stava guardando? Volgo un attimo lo sguardo verso di lui, ma sta fissando davanti a sé.

L'automobile di mio nonno è una cinquecento, modello vecchio, di colore rosso. Mi domando come farà a sopportare il peso delle nostre valigie e come conterrà anche noi stessi. Quello zuccone è alto più di un metro e ottanta!

-Non giudicare dalle apparenze, Monica! La mia rossa è più forte di una Ferrari.- mi riprende il nonno, guardando la mia espressione incerta.

Giordana cerca di nascondere una risatina, mentre io annuisco poco convinta.

Dopo averla raggiunta, sistemiamo alla meglio i bagagli dentro il cofano, tranne la mia borsa a tracolla e il borsone del tipaccio. Prendiamo posto. Io nel sedile anteriore, accanto al nonno, e Giordana sui sedili posteriori, ovviamente.

-Sono sicuro che vi divertirete, ragazzi. Io e il mio amico Pietro gestiamo la vigna da ormai quattro anni e non potremmo chiedere di meglio. Inoltre la casa in cui viviamo dispone di tutto ciò che vi può essere utile.- fa il nonno, iniziando a guidare.

-Anche internet?- gli chiede Giordana, con quella che noto essere una punta di speranza.

-Pensi che internet possa esserti utile, figliolo?- mio nonno lo guarda dallo specchietto retrovisore.- Internet non è presente in casa mia, ma i libri sì e quelli sì che sono utili. Per le esigenze, potete andare a casa dei vicini a usare il computer.

-Ah...- risponde scocciato Gioacchino.

Io ridacchio sotto i baffi. Adoro già mio nonno! Certo, il non avere Internet in casa creerà qualche problema anche a me, ma non importa.

Poi rimaniamo in silenzio. Ho il finestrino completamente abbassato e permetto alla leggera brezza che sta spingendo le onde del mare in lontananza, di baciarmi la pelle del viso e di farmi dondolare i capelli.

-E le mansioni nel vigneto ci verranno spiegate?- chiedo dopo un po', volgendomi verso il nonno.

-Certo Monica, mi sembra scontato. Vi posso anticipare che lavorerete dal lunedì al venerdì, dalle sei alle tredici e dalle sedici alle venti e il sabato dalle sei a mezzogiorno. Il sabato sera e pomeriggio e la domenica sono liberi così come i giorni in cui piove. Sapete, la pioggia rovina i grappoli d'uva.

-Speriamo piova spesso.- fa sottovoce Giordana.

-Hai detto qualcosa, figliolo?- lo guarda mio nonno.

-Oh no, assolutamente.- biascica il troglodita, toccandosi la testa imbarazzato.

-Bene. -aggiunge mio nonno.- In ogni caso, vi anticipo che in casa nostra mangiamo frutta, verdura e pesce quasi ogni giorno. La carne solo la domenica e dovrete andare voi due a comprarla al mercato di Rimini.- mi guarda per un attimo.

Lo guardo mordendomi le labbra. Sono di nuovo in modalità "ho voglia di urlare a più non posso". Ma perché? Perché?

-Capisco.- mi limito a dire, notando il nonno in attesa di una mia risposta.

"Capisco" un fico secco! Non capisco assolutamente perché mi debba trovare in questa assurda situazione. Credo che dovrà arrendermi alla consapevolezza che l'unica parte divertente di questo viaggio sarà il modo in cui mio nonno metterà a posto Giordana.

-E il sabato e la domenica, quale attrattive ci sono per i più giovani, Marcello?- gli domanda ancora voi-sapete-chi.

Ovviamente non può fare a meno di pensare a come può far divertire quel cricetino malandato che gli ruota nella testa. Forse non ha capito che oltre il lavoro nel vigneto, dovremo andare anche a fare la spesa insieme in un mercato sconosciuto.

-C'è la spiaggia, e il sabato nella piazza del paese organizzano sempre festicciole. Se poi volete allontanarvi, c'è sempre Rimini con le sue numerose attrattive. Ricordate però che il lunedì mattina voglio vedervi già scattanti alle sei, non accetto un minuto di ritardo.- fa autoritario mio nonno.

Ammetto che al "non accetto un minuto di ritardo" mi è venuta la pelle d'oca.

Detto questo cala nuovamente il silenzio, ma il nonno provvede a riempirlo prontamente, accendendo la radio da cui si trasmettono delle canzoni vintage.

-Senti nonno, ma prima di me e... e lui,- non riesco a dire neanche il suo nome, neanche fosse lord Voldemort.- chi ti aiutava con il vigneto?-domando quando finisce una canzone.

-Tre ragazzi che abitavano vicino casa. Adesso, sono partiti per un Erasmus universitario.- mi risponde.

-Ma quindi... la tua idea di farci venire qui è legata al fatto che non hai più aiutanti?

-Anche.- ridacchia il nonno.

Mi limito ad annuire.

Passa almeno mezz'ora, riempita solo da musica, prima che il nonno si fermi davanti ad un alto cancello ferrato. Lo apre con un piccolo telecomando, dopodiché si fa strada lungo un lungo viale che scricchiola sotto i pneumatici dell'auto.

Volgo lo sguardo fuori dal finestrino, e osservo con estasi lo scenario che mi attornia come se fossi Pinocchio dentro il paese dei balocchi o Alice dentro il paese delle Meraviglie. Arancione. Giallo. Verde. Tutto è illuminato dal sole mattutino la cui luce dipinge il paesaggio di colori brillanti e estivi. Noto alla mia destra un vasto vigneto, da cui spuntano grappoli neri e gialli dall'aria invitante. Appoggio entrambe le mani sul finestrino e schiudo le labbra, lasciandomi coinvolgere da tanta bellezza.

Quando il nonno parcheggia, ritorno a guardare davanti a me e noto così quella che deve essere la sua casa.

E mentre il nonno esordisce con un "Benvenuti nel mio piccolo mondo", non mi resta che pensare "Che i giochi abbiano inizio".

CONTINUA...

Ciaoo ragazze ^__^

Eccoci finalmente arrivate al terzo capitolo di "Cuori In Tempesta". Mi spiace per l'immenso ritardo con cui ho pubblicato, ma purtroppo l'università occupa molto del mio tempo, e con questo caldo in arrivo tutto si complica :/

Nelle mie intenzioni inziali, il capitolo doveva essere molto più lungo, ma ho preferito traslare molte scene che avevo scritto al prossimo capitolo, di modo che poteste leggere prima questo.

Spero non sia venuta fuori una completa ciofeca e vi sia piaciuto ^_*

Finalmente abbiamo conosciuto il mitico nonno Marcello (lo adoro già!), mentre tra Monica a e Gioacchino le cose si vanno sempre più surriscaldando. Se ne prevedono delle belle, che ne dite?

Prima di ritornare allo studio "matto e disperatissimo", ringrazio coloro che hanno votato, commentato e letto lo scorso capitolo. Spero di sapere la vostra, anche tramite qualche stellina, anche per questo. <3

Sperando di non farvi attendere molto il quarto capitolo, vi saluto. Alla prossima,

Rob

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