L'imbarazzante piacere del Tu...

Da MedOrMad

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Med ha 24 anni e porta avanti una relazione di sesso con un soggetto di discutibile fascino, è 2 anni fuori c... Altro

L'imbarazzante piacere del TuttoTondo
Mutazione Shopping
Casanuova/Casanova
L'eleganza del pigiama.
Due per due
Sotto il cappuccio verde
Come quando hai sete
Quello che succede in bagno...
... resta in bagno!
I discorsi interrotti -prima parte-
I discorsi interrotti - seconda parte -
... Crocodile
Do ut Des
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Pan per focaccia - prima parte -
Pan per focaccia - parte seconda -
E poi viene il dopo
Fragole e vongole
On the ROD
Dove?
A twist in the night
Per chi suona il telefono.
Importuni e in-opportunità
Parenti

Never smile at the...

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Da MedOrMad

Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia

Sono le 5 di mattina e io sono sveglia: da mesi ormai o non riesco a prendere sonno , o dormirei a vita. Più la prima opzione però: è come se in me aleggiasse costante un flebile flusso di angoscia, sempre lì, latente ma incredibilmente potente.

È come la sensazione di calore che si porta con sè una scarica di adrenalina quando, all’improvviso, ti ricordi che hai scordato di fare qualcosa di importantissimo; è come la perenne impressione di avere qualche scadenza e non sapere come rispettarla; come una paura che pulsa giorno e notte senza confessare da cosa dipenda.

È angoscia pura. Ti leva il sonno. O ti sopisce in modo così opprimente che non sai come sollevarti dal letto. Ti annienta la capacità di respirare a pieni polmoni. Ti toglie la forza di aprire la porta.

La maggior parte delle volte a me tiene sveglia come un grillo: come se dormire volesse dire cedere all’oscurità che spaventa. E allora resto vigile, proprio come oggi.

Non riuscendo a riposare ho optato per uscire dal letto e ho girato per mezz’ora in camera prima di pensare:

“Io, nel dubbio, mangio.”

Dopo essermi addentrata nella zona giorno senza neppure curarmi di accendere le luci e aver raggiunto gli armadietti della dispensa, però, è cambiato tutto: un brivido mi ha attraversata e ho capito che era lì. Nel buio della cucina non posso vedere chiaramente e non riesco a scorgere nessun contorno, ma sento i suoi occhi su di me.

Io so che è qui. Eccome se c'è.

Il suo sguardo mi fissa, mi squadra, mi punta: è pronto all'attacco e, al solo pensiero, ogni fibra del mio corpo vibra in modo incontrollabile. Mi muovo lentamente, sollevando i piedi nudi dal parquet della cucina e aggrappandomi al bordo del bancone, prima di darmi una spinta per arrampicarmici sopra: poi di nuovo la sensazione di essere osservata e di essere ad un nulla da lui.

È lì, nascosto nel buio che aspetta il momento giusto. Il mio respiro accelera al limite dell'iperventilazione e continuo a guardarmi attorno nervosamente.

Dove cavolo è?

Allungo una mano verso l'interruttore della luce e decido che farò saltare il suo piano. Oppure morirò dallo spavento.

Per non perdere tempo ad azzeccare il tasto gusto, premo l'intero palmo della mano contro i pulsanti e poi comincio ad urlare come se non ci fosse un domani:

"ALEX!"

Non succede niente. Io resto appollaiata come un gufo a mezzanotte sulla penisola della cucina e non succede assolutamente niente. I miei occhi scattano da un angolo all’altro della stanza, indagando ogni anfratto certa che, benché io non l’abbia visto, lui sia lì e i suoi occhi mi fissino meditabondi.

Mi metto a sedere sul bancone  e incrocio le gambe, provando a calmare il respiro e cercando di fissare un punto preciso: è lì, sono sicurissima che è lì!

Non riesco a stare ferma e, in preda all’agitazione, mi divincolo sul ripiano finchè non mi ritrovo carponi ad esaminare lo spazio attorno a me.

“Dove cazzo sei?” sussurro pensierosa, prima di riempire nuovamente i polmoni e gridare con forza: “ALEEEEEX!”

All’ennesimo richiamo del suo nome il mio coInquilino si precipita fuori dalla sua stanza, barcollando con un’espressione terrorizzata sul viso, gli occhi semichiusi per l’improvviso fascio di luce che li ha colpiti e una capigliatura degna di una scarica elettrica.

Tiene una mano sul petto all’altezza del cuore e, mentre i miei occhi si spostano su quel punto, prendo atto del fatto che Alex stanotte - per qualche astrusa ragione - non dorme con un pigiama.

Se ne sta a petto nudo con un paio di pantaloni a quadrettoni blu e verdi e, cercando di mettermi a fuoco e abituarsi alla luce della stanza, mi chiede nel panico:

“Cosa c’è??”

Non rispondo ma mi concentro a spostare lo sguardo dal suo torso nudo e tornare a cercare quegli occhi che, sono certa, continuano a scrutarmi.

“Cosa cazzo è successo?! Mi hai fatto prendere un infarto!” afferma stizzito ora che i suoi occhi si sono aperti e adattatati al nuovo bagliore. Poi accenna un passo nella mia direzione strofinandosi una mano sui capelli disordinati.

“FERMO! Non muoverti...” gli ordino nervosa. Lui si blocca in quel punto della stanza, guardandomi confuso quando io ricomincio ad analizzare gli angoli della stanza; a quel punto il mio coinquilino mi domanda se mi sono per caso fatta un acido, ma io alzo l’indice verso la bocca per fargli capire di tacere e afferro un canovaccio abbandonato accanto a me sul bancone.

Ce ne sono due. Ottimo. Ho più munizioni.

“Med, mi stai spaventando. Che droga era quella che hai preso?”

“Non ho preso droghe, cretino.” sussurro additando il mobile grigio tortora su cui svetta la televisione del salotto e gesticolando in modo che capisca che voglio che lo tenga d’occhio.

“Perché diavolo mi hai svegliato?!”

Silenzio.

Il mio coinquilino attende ma io resto concentrata sul mio obbiettivo. Poi, dandomi un ridicolo slancio, scaglio il canovaccio verso il mobile: ma, poiché non sono una grande tiratrice, c’è poca forza e lo straccio atterra a mezzo metro dalla meta.

“Ma cosa stai facendo?!”

“Cacchio!” impreco io e tutto ciò non fa che aumentare la sua frustrazione.

“Ok, ora basta. Io torno a letto, tu fai come ti pare... donna... appollaiata sul bancone della cucina.” annuncia lui innervosito, dandomi le spalle e camminando verso la sua stanza.

“No, no, no, Alex aspetta! Mi serve una mano!” strillo mentre gattono da una parte all’altra del mobile e credo di somigliare ad un cane in questo momento, ma più che decisa a non abbandonare la mia postazione strategica.

Lui sbuffa spazientito e lasciando cadere all’indietro la testa in un gesto di stanchezza, si ferma di nuovo; si gira verso di me e, con una contrazione delle sopracciglia, mi invita a spiegare il perché.

Io indico la zona del salotto verso cui ho lanciato lo straccio e dichiaro seria:

“C’è uno scarafaggio.”

Lui assume un’espressione interdetta, spostando alternativamente lo sguardo da me al mobile grigio e io ne approfitto per dare una sbirciatina al suo petto nudo: non è muscoloso, non è scolpito, eppure è piuttosto curato. È scompigliato, asciutto e armonioso, con il suo accenno di addominali  e i suoi pettorali equilibrati.

Sì, ecco, è equilibrato. È indiscutibilmente figo nel suo insieme, ma non è pieno di particolari che gridano alla perfezione e c’è qualcosa di incredibilmente naturale nella sua fisicità. Come se per ottenere quell’aspetto non ci si dovesse sforzare.

Non è bello come i modelli delle pubblicità, è affascinante in modo così “normale” da renderlo ancora più appetitoso.

“Ma tu sei completamente scema!” mi distrae dallo scanner del suo corpo e io mi agito ancora di più, pregando il cielo che lui non si sia accorto della radiografia che gli ho appena fatto.

“No, te lo giuro!”

“Med, è un cazzo di scarafaggio! Chi se ne frega.”

“Io ho il terrore degli insetti...” sussurro muovendo la testa a scatti sperando di scorgere il mostro e dimostrare ad Alex che non sono pazza.

Il viso del mio coinquilino è livido e spazientito: trovo che tutta questa sua ira sia eccessiva, soprattutto perché io sono chiaramente in pericolo e lui, che millanta di desiderarmi, dovrebbe essere più che propenso a salvarmi.

“E io cosa ci dovrei fare, di preciso?”

Resto in silenzio. Non è evidente? Deve uccidere l’insetto per me.

Ma il mio sguardo confuso e l’assenza di una risposta da parte mia, vengono letti nel modo sbagliato da Alex il quale, allargando le braccia scocciato, decreta:

“Ecco appunto. Ho lavorato fino all’una e, se non ti spiace, vorrei poter tornare a letto visto che è l’alba.”

“Ti prego, non mi mollare qui. Ti giuro che c’è!” sto assumendo l’aria di una pietosa marmotta, tutta schiacciata sul bancone mentre cerco di protendermi verso di lui, nell’impossibile tentativo di convincerlo.

“Ma che vuoi che faccia?!”

“Uccidilo!”

“Med, non so dove sia nascosto! Come faccio ad ucciderlo?” ora la sua voce si è appiattita e suona come se stesse parlando con una idiota. E forse è proprio così.

Ma la cosa non mi sfiora perché, onestamente, tengo di più alla mia pelle che al suo rispetto.

O forse no. Ora non riesco a pensare: percepisco solo quella presenza zampettata e corazzata nascosta nel mio salotto.

“È là sotto, ne sono sicura” e indico il mobile della tv.

“L’hai visto andare là?”

“No... ma...”

“Buona notte, Sofia!” conclude lui e lo dice con una voce che ricorda terribilmente quella di mio padre quando mi congedava dopo un no.

“Guarda! Vieni qui e guarda!”

Alex si avvicina disinteressato, palesando tutta la sua irritazione e si capisce anche da come cammina che è arrabbiato.

Tiro il canovaccio una volta che lui ha raggiunto la penisola e sbaglio di nuovo mira.

“Dovevo vedere quanto male tiri? L’avevo visto anche dalla mia posizione precedente. Vai a letto. Non c’è nessuno scarafaggio e, anche se ci fosse, sei così rompi coglioni che ti starebbe lontano.”

Ringhia esasperato e, senza degnarmi di un secondo sguardo, attraversa il salotto a gradi passi per arrivare alla porta della mia stanza.

Certo che quando è arrabbiato è proprio simpatico come una ceretta all’inguine, eh!

“Fai come ti pare, ma piantala di fare casino.” Poi, guardandomi severo, indica la mia camera e conclude: “O se vuoi, fai casino in camera tua.”

Demoralizzata scendo dal mio rifugio e, senza incrociare il suo viso stizzito, raccolgo i due canovacci rimasti a terra per rimetterli a posto. Mi sento proprio quando da piccola mia madre mi diceva che non potevo dormire a casa di Terry e mi indicava severa la macchina per farmi capire che era ora di smetterla di fare i capricci. E tutto ciò non è per nulla piacevole.

Comprendo che sia stanco ma non capisco perché non poteva semplicemente uccidere la blatta per me, invece di fare lo stronzo.

“Meno male che ti piaccio, eh... Pensa se ti facevo schifo. Me lo avresti fatto ingoiare questo insetto?” borbotto sottovoce, ma lui resta in silenzio lasciando che io raccolga gli stracci per rimetterli dove stavano.

Mentre sollevo il secondo, atterrato a metà strada tra il divano e la credenza, sento che qualcosa mi sfiora le dita e, avviluppata dalla paura, vedo questo disgustoso ed enorme scarafaggio marrone correre sulla mia mano.

E perdo completamente la testa.

Inizio a gridare come se mi stessero facendo a pezzi, sbattendo le mani da una parte all’altra così forte che non sembrano neanche attaccate ai miei polsi e, lasciandomi trasportare dal panico, agito freneticamente la testa di qua e di là, facendo dei saltelli alla cieca.

Tutto questo urlando e imprecando, incurante dell’ora e del vicinato.

L’unica cosa che mi importa è che quell’affare ha appena camminato sulla mia mano e io sento di non avere più controllo sulla mia mente.

Poi, dal nulla, avverto il corpo di Alex che si incolla alla mia schiena e  una delle sue mani si pianta sulla mia bocca.

“Sei impazzita? Sveglierai tutto il quartiere!” mi ammonisce con voce bassa non appena riesce a voltarmi verso di sé.

Il suo palmo mi impedisce di parlare e la stretta sulla mia spalla non mi permette di fuggire: le mie orbite sono umide a causa dello spavento e dell’ansia mentre i suoi lineamenti mostrano un accentuato fastidio.

Preme la mano un po’ più forte contro le mie labbra, fissandomi dritta negli occhi, spostando lo sguardo prima su uno e poi sull’altro per poi mormorare teso:

“Calmati, porca puttana!”

Io inspiro dal naso, fingendo di aver recuperato il controllo e, non appena lui lascia andare il mio viso, ne approfitto per saltare sul divano in cerca di riparo: lui segue i miei movimenti sconcertato e sono certa che vorrebbe prendermi a calci.

“Med, sei ridicola...”

“Io ho paura!”

“Ma di che cosa?! È uno scarafaggio... ha più paura lui di te e del tuo sedere.”

“Ti prego schiaccialo.”

Alex stringe i pugni lungo i fianchi ed è chiaro che è scocciato dal mio comportamento folle: mi lancia l’ennesimo sguardo di disappunto e poi si allontana dal divano di due passi, dicendo:

“Non sei una bambina e io non trascorrerò la notte a dare la caccia ad uno scarafaggio solo perché tu sei irrazionale.”

“Tu non hai paura di qualcosa?!” lo provoco, sperando di risvegliare in lui un po’ di compassione e certa che, se quel mostro resterà nel mio salotto, io non potrò fare altro che cercarmi una nuova casa.

Io sono terribilmente aracnofobica e il mio terrore si estende, per riflesso, a tutto ciò che ha delle zampette. Se poi hanno l’esoscheletro, è la fine.

Quando Alex non c’era e spuntava un insetto in questa casa, io andavo da Jules finché qualcuno non mi assicurava che l’orribile creatura aveva lasciato questo appartamento.

Cosa me ne faccio di un coinquilino maschio se neppure mi uccide gli insetti?!

“Certo che ho paura di qualcosa, ma non di un minuscolo scarafaggio.” ribatte lui per nulla impietosito e sempre più adirato.

“Per favore!”

A questo punto sono a pochi millimetri dalla supplica, ma non serve proprio a niente. Sospetto che Alex sia un po’ costipato perché, altrimenti, non mi spiego cotanta testardaggine nel mal tollerare la mia fobia.

“Med, no. Sono stanco e ho bisogno di dormire. Scendi da quel divano e vai a letto.” mi ordina porgendomi una mano per rendere più incisive le sue parole.

Io borbotto che è una persona terribile e che non lo perdonerò per non avermi salvata, mentre, con cautela e in allarme, scendo dal divano, non curandomi della sua mano tesa verso di me; in risposta Alex sbuffa, dicendo che sopravviverà lo stesso e mi sorpassa per arrivare prima in camera sua.

Mentre cammino guardinga, però, lo scarafaggio schizza fuori da sotto il divano e fugge in camera mia.

Chiariamo una cosa: quando dico che io perdo il controllo, non lo dico in senso lato. Intendo che non mi importa di quali saranno le conseguenze delle mie azioni e non me ne frega un cacchio se, per salvarmi, devo perdere il rispetto del mondo o camminare sulle teste di Jules e Bet.

L’unica cosa che frulla nella mia mente è di mettermi in salvo. Il resto è noia.

Ed è evidentemente in questa condizione di totale incoscienza che, astenendomi dall’urlare per paura che Alex mi strangoli, mi limito a spalancare le fauci e a fare uscire un grido sussurrato.

Infine, senza riflettere, spingo con forza sulle ginocchia e salto dritta sulla schiena di Alex, aggrappandomi al suo collo e stringendogli le gambe attorno alla vita.

“Ouch!” sbuffa lui preso alla sprovvista e piegandosi in avanti, ma le sue mani si spostano sotto le mie cosce per evitare di finire a terra con me.

“Cazzo, quanto pesi!”

Panico: perché sono sulla schiena? Ora si è reso conto di quanto peso e vedo andare in fumo le mie possibilità di sedurlo.

“È andato in camera mia!”

Ah, ecco perché. Chi se ne frega di Alex e del possibile sesso: devo salvarmi la vita.

“This isn’t happening...”

“Che ti ho detto riguardo all’inglese?”

“Scendi.”

“No.”

“Med, lasciami andare.”

“Non ci penso nemmeno.”

Lui inspira con stizza e libera l’aria dai suoi polmoni borbottando qualche cosa di incomprensibile e cercando di farmi scendere: io, indifferente, aumento la stretta attorno alle sue spalle e affondo la faccia contro la sua pelle.

“Ti sto odiando.”

“Odiami dopo. Prima uccidi il mostro.” poi faccio un respiro profondo e, invece di essere invasa dal solito pericoloso Armani Code, le mie narici si trovano sommerse di profumo di vaniglia.

“Perché sai di vaniglia?”

“Perché non ti fai gli affari tuoi?”

Poi fa qualche passo verso camera mia e io mi irrigidisco contro di lui, sospettando che non abbia intenzione di aiutarmi.

“Mi stai facendo collassare un polmone.” brontola mentre si addentra in camera mia e si avvicina al mio letto sfatto: poi, nonostante le mie proteste, ci si butta sopra, portandosi dietro me, ancora avvinghiata a lui.

Che àncora di salvezza inutile: mi ha portata proprio dove non volevo andare.

A quel punto capisco che il mio coinquilino non ha intenzione di aiutarmi e di eliminare la ributtante creatura che si è addentrata nella mia stanza; allora sconfitta, mollo la presa e lascio che i miei arti si rilassino.

Alex, finalmente libero, si rotola a pancia in giù e porta la sua attenzione su di me: il suo viso è teso e stanco ed è chiaro che ne ha avuto abbastanza della mia scenata, ma io non riesco a pensare ad altro che a quell’ animaletto infilato da qualche parte in camera.

“Sei uno stronzo.” bisbiglio fissandolo e abbandonando la testa contro il materasso.

“Non sono tuo padre, Med. Ora la pianti di fare l’isterica per un insettino.” risponde lui sicuro, tenendo lo sguardo sul mio viso e giocando con un angolo delle lenzuola.

“Non posso andare a dormire in camera tua?” provo a suggerire speranzosa osservando i suoi occhi ma, in risposta, lui non trattiene una risata.

“Neanche per sogno...”

Ah, adesso ride? Prima sembrava che gli avessero permanentemente trapiantato uno stendibiancheria nel retto, e adesso ride. Questo è lunatico peggio di me.

“Non potevi semplicemente ucciderlo?”

“Puoi ucciderlo tu. Sei grande e grossa...”

“No. Ho paura, Alex, come te lo devo dire?”

“E ora facciamo che la tua paura la superi, così guadagniamo tutti qualcosa e al prossimo insetto non ti trasformi in Psycho.”

Mi indispone che non prenda seriamente la mia fobia e penso che sia ingiusto considerarla stupida.

Sono convinta che tutti abbiamo paure ridicole ed irrazionali, che agli occhi degli altri appaiono solo stranezze o capricci, ma questo non le rende meno reali o angoscianti per noi.

“Di cosa hai paura, Alex?” gli chiedo allora, cercando di attirare i suoi occhi sui miei e, quando ci riesco, lui mi fissa diffidente.

“Dimmi una cosa di cui hai paura. Hai detto che ci dobbiamo conoscere, se no non mi ti farai mai...” scherzo ridacchiando e lui mi tira una pacca leggera sulla fronte, sorridendo piano.

“Ho paura che se continuo a vivere qui non dormirò più e diventerò pazzo come te.” mormora, prendendosi gioco della mia domanda, e l’abilità con cui cerca di aggirare sempre ogni domanda su se stesso mi sorprende e mi affascina allo stesso tempo.

Vorrei saperlo fare così bene. O forse è proprio perché so lo fare anche io che lo trovo interessante. Stavolta però sono spinta dalla curiosità e dalla realizzazione che di sé lui non mi ha mai parlato.

“Dico davvero. Non deve essere qualche segreto o qualcosa di intimo. Ce l’avrai anche tu una semplice e sciocca paura, no?”

Lui strizza lievemente gli occhi mentre li fa scorrere sul mio volto e poi stringe le labbra come a valutare se sia il caso di rispondere o meno. Sembra che le rotelle nella sua testa si stiano muovendo e stia considerando se, in questa circostanza, io sia degna o meno della sua fiducia.

È qualcosa a cui non avevo pensato molto ma, senza dubbio, Alex non è solo riservato: è incredibilmente cauto e, nonostante viviamo insieme da qualche mese, io non so neanche le informazioni più banali di questo ragazzo. So chi è quando è con me e so che, per quanto irritante, ha una personalità interessante. Ma di chi è Alex all’infuori del mio universo, io non ne ho idea.

Lui continua a meditare, probabilmente ponderando se può concedermi almeno un piccolo dettaglio di sè, cosa che dovrebbe fare se vuole davvero farsi conoscere e, mentre attendo che si decida, gli levo un ciglio che è caduto su una delle sue guance: al mio tocco si ritrae appena, incerto su cosa io voglia fare e prima di decidersi a parlare.

“Ho paura dell’acqua.”

“Che cosa?” chiedo stupita e ritraggo la mano dal suo viso per guardare nei suoi occhi.

“Acqua. Ho paura di nuotare.”

“È una balla...”

“No, ti assicuro. Non so neanche perché, mi mette l’angoscia e basta. E pensa che i miei hanno pure la piscina...”

“Ah! L’ironia della sorte!” scherzo ridendo della sua espressione e lui si limita a pizzicarmi la guancia in segno di vendetta.

“Non è che ho proprio il terrore, però mi mette a disagio...”

“E perché io devo sconfiggere la mia paura degli scarafaggi e tu ti puoi tenere la tua dell’acqua?”

Ammicca e si alza dal letto, tirandomi con forza e costringendomi a mettermi a sedere per poi rispondere:

“Perché non abbiamo una piscina, ma abbiamo uno scarafaggio...”

Si abbassa ai piedi del letto e raccoglie una delle mie Converse rosse per poi porgermela e bisbigliare:

“Dai, Scintilla... Fammi vedere che sai fare.”

“Non so dove si è nascosto. Credo che scambiarci le camere sia la cosa migliore.”

“Codarda, io lo so. È sotto il tuo comodino.”

Rabbrividisco. Così vicino al letto, così vicino a me.

Afferro la scarpa sicura e penso che, se riesco ad affrontare il mio terrore per gli insetti, mi sarò levata un grosso impiccio e, forse, potrò sentirmi un po’ orgogliosa di me. Il che, in questo periodo, non guasterebbe.

Però mi serve un incentivo.

“Se lo faccio cosa ottengo in cambio?” domando con una vocina che vorrebbe apparire suadente ma che, probabilmente, suona come quella di una signora col raffreddore.

“Ottieni che non sei più una cretina che ha paura degli scarafaggi... che altro vorresti?”

"Non me ne faccio niente di quello. Ho campato 24 anni anche così, grazie. Dammi un incentivo!”

“Un incentivo di che tipo, di preciso?” strizza gli occhi divertito e guardingo mentre mi pone la domanda e io mi lamento, offesa:

“Idiota! Non lo so... Uh! Facciamo così: se ci riesco un giorno di questi mi offri un pranzo.”

“Che banale. E se non ci riesci?”

“Ci riuscirò... Ma se non ci riesco io dormo da te.”

Alex scuote la testa ridendo della mia codardia e del nervosismo che inizio a mostrare quando si avvicina al mobiletto accanto al mio letto: si ferma e, con un cenno del capo, cerca di capire se io sia pronta. Mordendomi costantemente il labbro inferiore e spostando lo sguardo verso terra, annuisco e stringo con forza la mia scarpa nella mano destra.

Lui aspetta che io mi decida a scendere dal letto e, quando appoggio i piedi a terra e mi protendo verso di lui, Alex sposta il comodino con un gesto secco.

La blatta inizia a scappare terrorizzata e io mi armo di coraggio e lancio la scarpa verso di lei.

Credo di averla beccata ma non ho alcuna intenzione di restare per verificare la cosa, quindi, lanciando uno sguardo disperato ad Alex, corro fuori dalla mia stanza gridando:

“Portami il mio cuscino!” e mi rinchiudo in camera del mio coinquilino.

A piccoli passi e con il fiatone mi addentro nella stanza di Alex e mi siedo sul suo letto, incrociando le gambe di fronte a me e guardandomi attorno: questa stanza è fastidiosamente ordinata, tranne per il comodino e il servomuto ai piedi del letto, coperto di magliette e felpe abbandonate lì alla bell’e meglio. Non so se sia così immacolata perché Alex è poco in casa o perché mi sono beccata un control freak, ma per lo meno lui i turni delle pulizie li rispetta.

Hi-hi-hi-hi ridacchio nella mia mente consapevole che, al contrario, io ne salto almeno due su tre e pensando che mi è andata bene che vivo con un maschio perché una donna si accorgerebbe in fretta della mia disonestà.

Scivolo in giù lungo la testata del letto e accanto a me se ne sta abbandonato un libro, appoggiato aperto a faccia in giù sul materasso: lo sollevo, facendo attenzione a non perdere il segno, e ne leggo il titolo.

Follia.  A posto. Stiamo freschi.

Tenendo un dito al centro del libro al punto in cui sembra essere arrivato Alex nella lettura, sfoglio qualche pagina distrattamente e, nella penombra, noto che ci sono righe e frasi sottolineate a matita qui e là.

E sorrido. Sorrido perché quella è una cosa che faccio anche io.

Poi il mio sorriso si spegne quando realizzo che non sapevo neanche che gli piacesse leggere.

In quel momento credo che abbia ragione lui quando dice che ci dobbiamo conoscere e che sarebbe ora di scoprire qualcosa di più, ma penso anche che la sua sia solo una scusa: dove sta scritto che devi sapere tutto di una persona prima di frequentarla?

Forse non è sicuro di piacermi, e non ha tutti i torti perché in tutta onestà fino a tre giorni fa mi indispettiva anche solo come riponeva nel cassetto le posate, ma non sta a lui decidere se mi piace o no e, senza dubbio, non posso scoprire se mi piace finché non si fa conoscere.

Questo duo è un disastro: siamo una evitante con tendenza alla fuga e un riservato giovane con eccesso di diffidenza.

PAUSETTA PIPì O MERENDINA PER PRENDERE UN RESPIRO DA MED E ALEX: L'AMMINISTRAZIONE VI RICORDA CHE È OPPORTUNO REIDRATARSI CON REGOLARITA'.

“Ora puoi tornare a letto, rompi scatole...” dichiara lui entrando nella stanza e strofinandosi il viso con stanchezza. Forse ho veramente abusato della sua tolleranza perché sembra davvero distrutto e, quando mi afferra una mano e mi tira qualche centimetro verso il bordo del letto, io non posso non notare che la forza che mette nel gesto è quasi inesistente.

Appoggia una mano sulla mia fronte e mi spinge più in giù contro il cuscino, prima di piegarsi verso il materasso e scavalcarmi con gesti appesantiti. Si lascia cadere sopra le coperte accanto a me e si gira verso la mia figura, facendo pressione sulle mie spalle e ridacchiando:

“Pussa via.”

“E dove pusso?!”

“In camera tua.”

“Giammai!”

“Med, te lo chiedo per favore: io ho bisogno di dormire.” supplica lui, provando ancora una volta a farmi scendere dal letto ma senza alcun successo.

“L’ho ucciso?” chiedo guardinga e terrorizzata all’idea di tornare in camera col mostro ma lui mi rassicura con un’affermazione quantomeno criptica:

“Non c’è più.”

Quindi? L’ho ucciso? L’ho ucciso io o l’ha ucciso lui? O io l’ho ucciso e lui l’ha buttato via? O vivo con Ace Ventura e l’ha salvato accompagnandolo fuori dalla porta

“Ho schifo.”

“Io ho sonno!” ribadisce lui sbadigliando e io scelgo di cambiare tattica. E argomento:

“Ti piace leggere?”

“E ora questo che c’entra?”

“Ti voglio conoscere...”

“Alle 5 di mattina?” i suoi occhi stanchi luccicano di confusione alla mia insistenza e perseveranza e, con quell’aria assonnata, mi ispira più due carezze che qualche cosa di poco pudico. O forse tutti e due. Non lo so.

“C’è un turno a cui mi devo segnare per scoprire qualcosa di te?”

“Non mi ero accorto fossi così fastidiosa. Credo che tu non mi piaccia più.”

“Peccato perché io penso che tu potresti davvero piacermi...” rispondo senza pensarci prima di rendermi conto della dichiarazione che sto facendo e, quando mi accorgo dell’errore, alzo gli occhi e i suoi sorridono divertiti.

“Non intendevo...”

Lui scoppia a ridere e inizia a stroppicciarsi un occhio con un pungo in un gesto che lo fa apparire più piccolo; si mette supino e chiude gli occhi, lasciando cadere una mano sul suo ventre e, all’improvviso, mi ricordo che è seminudo.

“Sì, mi piace leggere.”

“Ti devi vestire...” farfuglio contenta che abbia risposto alla mia domanda ma nel panico per la sua tenuta notturna. Lui mi ignora e prosegue:

“Leggere mi svuota la testa e me la riempie allo stesso tempo. Mi rilassa ed è come se mi si offrisse uno sguardo avvantaggiato sulle possibili vite di tutti...”

Lui parla con gli occhi serrati e nella sua voce c’è quella punta di delicatezza che avvolge le parole di chi racconta una passione.

“Vivo di più quando leggo.” conclude voltandosi sul fianco e ricominciando a spingermi via.

Io mi ribello, perché ora voglio sapere altro: voglio che mi racconti dei libri che gli hanno cambiato la vita, voglio vedere se ce n’è uno che coincide con i miei, voglio sapere se c’è altro che ama fare, voglio che mi dica chi è il ragazzo con cui vivo.

“Sei figlio unico?” domando tirandomi su, sorreggendo la testa con una mano.

I suo occhi si aprono piano per portarsi su di me e scivolare sui miei lineamenti, studiandomi con cautela e, credo, chiedendosi perché improvvisamente io faccia tutte queste domande.

Non lo so neanche io. Sono incredibilmente curiosa e meno lui parla, più io voglio sapere; d’improvviso la mia insonnia sembra essere qualcosa di positivo e vorrei usare le mie ore notturne per interrogarlo.

Che cazzo mi prende?

“No.” risponde secco lui, senza approfondire e richiudendo le palpebre e io gli scuoto una spalla per costringerlo a tornare a guardarmi.

“Dai... quanti fratelli hai?”

Lui sbuffa e si rotola a pancia in giù, cercando di farmi capire che vuole tornare a dormire ma io mi sento assetata di risposte.

“Un fratello. Ora posso dormire?” sbuffa lui facendo sgusciare entrambe le mani sotto il cuscino e i miei occhi volano sulle sue scapole che si muovono lente.

E deglutisco a fatica.

“Raccontami, dai! Che lavoro fai?” insisto provando a fargli aprire di nuovo gli occhi strizzandogli il viso tra le mie mani e lui si irrigidisce.

“Vuoi fare la biologa?”

Cazzo, che colpo basso.

“Stiamo parlando di te: perché non mi vuoi dire che lavoro fai?”

“Perché non rispondi mai alle domande sulla tua università?”

Il suo viso si rilassa una volta che sa di aver sfoderato la carta dell’università ed è consapevole che, toccato quell’argomento, io mi defilerò. Inclino la testa e sussurro:

“Perché non le ho le risposte...” e alla mia candida ammissione lo stupore si diffonde sui suoi tratti. Si solleva appena, spostando tutto il peso sui gomiti che affondano nel materasso.

Sta sfoderando l’occhio da Pokemon e, anche se il buio rende difficile vederli con chiarezza, credo di poter ipotizzare che si siano fatti più vivaci.

“Le stai cercando?”

“Ogni fottuto giorno.” rispondo asciutta con naturalezza e lui sembra stranamente soddisfatto dalla mia dichiarazione mentre si solleva del tutto dal materasso e si mette a sedere, senza spostare lo sguardo dal mio viso.

“È già parecchio, no?” e io accenno un sorriso, ribattendo:

“Dipende dai punti di vista.”

Mi allungo verso la testata del letto e premo l’interruttore che comanda l’abat-jour accanto al suo letto e, un attimo dopo, i suoi occhi sono investiti dalla luce: basta quello per farmi capire che è davvero a pezzi e che io sono una maledetta stronza che l’ha svegliato per un insetto e che non lo lascia dormire.

Le sue iridi sono lucide per la stanchezza e il resto degli occhi sfoggia un rossore degno di ore di fronte ad un pc; ha le guance arrossate - cosa che trovo tenera e ridicola allo stesso tempo - e la fronte contratta mentre mi guarda senza parlare. Poi uno sbadiglio gli sfugge e una delle sue mani si solleva verso di me per scusarsi, mentre l’altra si sposta davanti alla sua bocca per coprirla.

Quello è l’ultimo segnale che mi serve per capire che, per stanotte, ho approfittato abbastanza e che, solo perché io non dormo, non significa che anche gli altri debbano privarsi del sonno.

Raccogliendomi i capelli in una coda e legandoli con l’elastico che ho sempre al polso, mi sollevo finalmente dal suo letto, pronta ad affrontare lo schifo che mi invaderà una volta in camera.

"Ok, ricevuto. Ti lascio dormire. Grazie per non avermi salvato, comunque.” annuncio osservandolo mentre sistema il cuscino e le coperte che io, con i miei movimenti continui, ho stropicciato.

“Ti sei salvata da sola. Dovrebbe essere più bello.”

Io sorrido e borbottando un Come no, mi chino verso di lui istintivamente per dargli un bacio sulla guancia.

Mentre mi abbasso mi rendo conto di cosa sto facendo e mi fermo a mezz’aria con il suo sguardo divertito fisso su di me: sono una vera imbecille! Non si passa da zero confidenza al bacio della buonanotte con una persona che ti sta - o stava, al momento sono confusa - sulle palle.

Lui sghignazza silenziosamente, conscio della figura che sto facendo, e decide di peggiorare il mio imbarazzo, sollevandosi verso di me per ricambiare il bacio di cortesia.

Non posso passare per un totale idiota; non posso e non lo farò ma, soprattutto, non gli concederò il lusso di essere quello in vantaggio quindi, armandomi di faccia tosta, lo incontro a metà strada e devio la mia traiettoria dalla guancia all’angolo della bocca, spingendomi giusto un pelo troppo in là e i suoi occhi riflettono il suo stupore per il mio gesto.

E io, dentro di me, mi abbandono a cori da stadio per festeggiare la mia superiorità.

Mi ritraggo e mi dirigo verso la porta inebriata dal piacere di aver vinto la battaglia ma, come metto un piede fuori dalla stanza, i miei cori si spengono quando lui dice ridendo dietro di me:

“Night, crazy girl.”

Ma vaffanculo!

E con un simil raffinato pensiero, ma ne vado in camera mia, speranzosa di non ritrovarmi una colonia di blatte nel letto.

Ma il mio problema più grande per le prossime dodici ore non sarà Alex, i suoi misteri (che accentuano il mio desiderio di avvicinarmi a lui, ovviamente) e i suoi sciocchi ragionamenti da uomo adulto. Il mio assillo di oggi sarà l’incubo di ogni fuori corso: la cena di laurea di qualcuno.

Io e i miei amici abbiamo ricevuto in massa l’invito alla laurea di un nostro compagno del liceo e, ignorando le mie suppliche di dichiarare che mi ero rotta una gamba, Bet, Jules e Leo mi hanno fatto promettere sulla Circe che ci sarei andata. Almeno Jack e Roby hanno promesso di occuparsi del regalo, mentre Jules e Bet si porteranno dietro le loro metà, il che potrebbe offrirmi un numero maggiore di individui “non minacciosi” con cui parlare durante la serata.

Io e Leo, invece, non facciamo niente. Il che ci fa sentire VIP.

Ora, le cene di laurea sono quei momenti che tu, piccolo studente in ritardo, non puoi evitare in eterno e che ti sbattono in faccia senza rimorsi il fatto che tu, ‘sta benedetta laurea, non la stai festeggiando.

In tutta onestà ormai sono a corto di scuse e, a peggiorare la situazione, si aggiunge il fatto che, ad ogni raduno, il numero dei Dottori aumenta e il numero dei laureandi diminuisce: e io non appartengo ancora a nessuna delle due categorie.

E, mentre Alex si defila per “delle commissioni” misteriose e io mi arrendo al fatto che è una settimana che rimando i miei turni delle pulizie, penso che stasera dovrò ingoiare un numero poco piacevole di rospi e deviare un sacco di domande che io reputo moleste.

Per loro sarà solo una cena come tante altre. Piena di gente che ce l’ha fatta. Affollata di futuri medici e avvocati, architetti e psicologi che muovono i loro primi passi nel mondo dei laureati. Nel mondo degli adulti. Nell’universo reale. Loro si muovono, a volte insicuri certo, ma consapevoli delle loro scelte.

Le piccole conversazioni che rumoreggiano attorno a me in questi eventi hanno il cuore dell’aspettativa che batte a ritmi regolari: progetti di giovani che fanno il loro ingresso nella società delle persone cresciute, piani pronti ad essere messi in atto, colmi di certezze e tenacia.

Carichi di concretezza e sicurezza. Due realtà che io non ho. E pensandoci mi proietto oltre stasera: mi proietto a domenica a pranzo a casa dei miei.

È un continuo di Ora lavorerò per e di vorrei fare un colloquio a...

E ogni volta io, nel mio silenzio di immobilità, sento salire dentro di me la vergogna di chi non è riuscito nel suo intento. Di chi ha smarrito il centro del proprio essere. Di quella piccola nicchia di inconcludenti, confusi e incapaci di credere di poterlo fare.

Allora vorrei alzarmi in piedi e gridare forte a tutti loro di tacere. Di smetterla di parlare del futuro. Di non comportarsi da persone adulte e consapevoli.

Vorrei chiudere le loro voci fuori da me. Escludere le vibrazioni delle loro corde vocali dal raggio di percezione dei miei timpani. Vorrei smettere di sentire, così da poter ignorare quel blocco di cemento che mi ha incatenata nel buio. Che ha incagliato i miei piedi su quel sentiero che io non conosco. Su quella strada a me sconosciuta ma che, sono ormai certa, non è la mia.

Ogni evento di questi mesi sembra essere mirato ad un’unica cosa: farmi prendere una decisione.

Ma, che decisione, in fondo? Prima o poi le cose cambieranno anche se io non faccio nulla, no?

No.

Di nuovo la sensazione di angoscia si fa strada dentro di me al ricordo di cosa aspetta domenica e, presa dal panico, blocco ogni riflessione e ogni pensiero per concentrarmi sull’aspirapolvere, prima di concludere ogni turno di pulizia arretrato e rendermi conto che è decisamente ora di prepararmi per la cena di stasera.

Sono sotto la doccia quando sento le voci delle mie due migliori amiche urlare:

“Soccorso vestiti arrivato, signorina priva di gusto!”

Io rido e, sciacquandomi i capelli con gesti secchi e frizionandomi la cute, rispondo: “ Parlano le regine di Glamour!”

Jules infila la testa nel mio bagno e, avvolta da una nuvola di vapore, ridacchia:

“Io sono una orgogliosa Cosmogirl!”

“Non so cosa sia Glamour, ma Vanity Fair è la mia bibbia!” aggiunge Bet, scostando Jules dalla porta ed entrando con prepotenza per richiudersi la porta alle spalle.

Le sento ridacchiare in sordina, poi, mentre mi levo il sapone dagli occhi, vedo una mano suntare da dietro la tenda e afferrare la manopola dell’acqua, girandola verso il getto freddo.

“AAAhhhh!” urlo sconvolta e improvvisamente congelata, mentre loro due esplodono in una fragorosa risata.

“Punizione meritata! È tardissimo e non arriveremo mai in tempo se non trascini il tuo tondeggiante corpo fuori di lì!” esclama Jules avvicinandosi alla tenda della doccia.

“Med, non farmi entrare lì dentro con te, se no non rispondo delle mie azioni!” aggiunge minacciosa e vedo le sue dita appoggiarsi al bordo del telo che ci separa.

“E cosa vorresti fare maledetta stronza? Strapparmi il capelli?” chiedo arrabbiata, battendo i denti per il freddo che l’acqua ha scatenato.

“Oh, che ottimista. Punterei a qualcosa di più permanente!”

“Ok, ok, esco...” rispondo interrompendo il flusso di acqua “... se mi viene una polmonite vi riterrò responsabili della mia morte” bofonchio allungando una mano in cerca del mio accappatoio, che Bet , prontamente, mi porge.

“Dio, quante scene. Per un po' di acqua fresca!” afferma poi, ridacchiando soddisfatta e uscendo dal bagno.

Mi copro con il morbido tessuto spugnoso ed esco dalla doccia, ritrovandomi Jules,  agghindata per la serata, seduta sul ripiano del lavabo mentre si specchia e si disegna una linea perfetta sulla palpebra con l'eyeliner.

“Un po' di privacy?” chiedo guardandola nello specchio.

“Come se non avessi mai visto le tue tettone cadenti!”

“Ehi! Non sono cadenti...” rispondo io offesa. Poi mi avvicino a lei e scruto la mia immagine riflessa.

“O forse sì...” ci ripenso guardando il mio petto e appoggiando le mani alla base dei miei seni.

“Oddio è vero! Mi sono scese le tette!” strillo sconvolta.

“Med, le tue tette sono enormi di natura, non possono diminuire!” si intromette Bet starnazzando dalla mia stanza, disinteressata al fatto che io ho dei vicini di casa.

“No! Non sono più piccole, sono cadenti. Guarda! A 15 anni le avevo qui. E ora...” dico sollevandole e poi rilasciandole “... guarda! Sono scese, la gravità le sta uccidendo. Oddio, nel giro di due anni arriveranno all'ombelico!”

“E credi che le mie stiano su da sole?” mi risponde Jules scettica e chiude l’eyeliner con un gesto secco.

“Med, abbiamo un balcone consistente. Che ti aspetti, che restino sode in eterno?”

“No, ma ho 24 anni! Non posso avere le tette cadenti. E poi le tue non cascano come le mie. Guarda qui che sfacelo!” mi lamento sconsolata.

“Tranquilla che anche le mie iniziano a guardare verso il basso” sospira lei, rimirando il proprio torace.

"Dimostramelo!”

“Che cosa? E come?” mi risponde lei, spiazzata.

“Levati il reggiseno” le ordino, poi urlo “Bet, porta le tue grazie in questo bagno e togliti il reggi poppe”

“Facciamo un party saffico di cui non ero a conoscenza?” chiede lei raggiungendoci.

“No, voglio essere consolata e vedere se anche le vostre tette sono in caduta libera”.

Sembriamo tre cretine quando, io con l'accappatoio addosso, e Bet e Jules nei loro vestiti da sera, senza nulla che sostenga i nostri décolleté , iniziamo ad analizzare la situazione.

Tutte e tre, tette alla mano, le alziamo e le abbassiamo, osservandoci nello specchio.

“Che cosa state facendo?!” sentiamo Leo chiedere sconvolto. “Oddio credo di essere appena diventato cieco!” continua coprendosi gli occhi con le mani, borbottando scioccato.

“Leo, cazzo, ma tu non sai usare il campanello prima di entrare in casa altrui?” rispondo io stringendomi la stoffa attorno al corpo.

“Capirai che shock. Sono tette. Viste un paio, le hai viste tutte” gli fa notare Jules raccogliendosi i ricci in una coda e ignorando il nostro amico.

“Ringrazio il cielo di non avervele davvero viste.” continua Leo senza spostare le mani e cercando di capire in che direzione parlare.

Bet e Jules si ricompongono e io mi avvicino al mio amico e dico piano:

“Puoi guardare ora...”

“No, grazie, mi fanno troppo male gli occhi. Si può sapere che cosa stavate facendo? Vi stavate toccando le tette! Se non foste voi tre mi sarei potuto eccitare...”

“Per eccitarti vedendo delle tette devi essere maschio, Leo, e tu non sei molto virile.” lo prende in giro Jules.

“ Ha parlato il travestito” ribatte lui. “Comunque, dovete darvi una mossa!”

“Perché tutta questa fretta?” chiede Bet.

“Perché Cucciolo sta ripetendo BIRRA BIRRA BIRRA, in stile uomo delle nevi da circa 5 minuti. Il che mi fa intuire che abbia voglia di bere. Ma non ne sono sicurissimo. E perché io e J...beh...non sappiamo che dirci.”

Noi lo guardiamo incredule restando zitte e il nostro silenzio lo spinge a separare le dita della mano che ancora gli copre gli occhi.

“Oh, insomma, ma che volete? Ci siamo rotti di aspettare. Quindi fate in fretta. Tanto qualsiasi cosa facciate non servirà a nulla. Brutte siete e brutte restate” conclude una volta notate le nostre espressioni sbigottite, prima di voltarsi e scappare fuori brontolando.

“Che faccia di culo!” gli grida Bet.

Poi si gira verso di noi e sorridendo dice:

“Abbiamo fatto shopping per te!”

“Oh, no... non posso venire in pigiama?” chiedo, poco fiduciosa, uscendo dal bagno e addentrandomi nella zona giorno, seguita dalle mie amiche che mi pedinano come sentinelle.

Non posso certo scappare da casa mia in accappatoio quindi non capisco il motivo di tanta premura.

“Già sei socially awkward, se poi vieni con quegli obbrobri con cui dormi, ti internano...” borbotta Jules sedendosi su uno degli sgabelli della cucina.

“...o arrestano per oltraggio alla pubblica decenza.” aggiunge Bet azzannando uno dei plum cake che riposavano nel cesto sul bancone e che, sono abbastanza certa, non facciano parte della mia spesa o del cibo in comune.

“Quello è di Alex...” rispondo io indicando il dolce e prendendo un bicchiere dalla credenza.

Lei posa gli occhi sulla merendina e arrossisce mentre la voce del mio coinquilino risponde alle sue spalle:

“Era di Alex.”

Tutte e tre portiamo l’attenzione su di lui che, trafelato e un po’ scompigliato, esce dalla sua stanza cercando di infilarsi il giubbino in modo maldestro: ha gli occhi lucidi per la stanchezza, il viso lievemente arrossato e una leggera barba che cresce da qualche giorno che gli incornicia i lineamenti e non fa altro che accentuare la sua figura stanca.

“Scusami...” sussurra Bet abbassando gli occhi e lui ride, rispondendo che non è un problema.

“Che ci fai qui? Credevo dovessi essere al lavoro...” chiedo con voce sospettosa e Jules mi sussurra in un orecchio:

“Ma che lavoro fa?!”

“Non lo so. Non me lo vuole dire.”

“Dunque è qualcosa di imbarazzante... Magari fa il prostituto.” riflette mantenendo un volume di voce bassissimo per assicurasi che Alex non la senta.

“Avete finito?” domanda però lui sempre sghignazzando, per poi risponde al mio precedente quesito “Sì, dovevo essere al lavoro ma mi sono addormentato perché stanotte non ho dormito affatto. Mi chiedo di chi sia la colpa...”

Nei suoi occhi c’è un accenno di divertimento e io non posso non cogliere il riferimento alla mia scenata notturna e alla mia insistenza nelle domande, ragion per cui faccio la gnorri e mi verso dell’acqua.

Lui si ferma vicino alla zona cucina, inclina quella testolina scompigliata e aguzza la vista, studiandomi:

“Senti, dobbiamo affinare le regole: se io non parlo inglese, tu non giri per casa in accappatoio.”

“Perché? Ti tento?”

“Tu che dici?”

“Che figata, non avevo mai tentato nessuno aggirandomi in accappatoio. Sei un ragazzo strano.”

Dico ridacchiando e facendo scivolare un po’ la stoffa giù dalla spalla.

"E tu una persona sleale.”

“Abbandonati all’inevitabile...”

“Lo farò quando capirò perché lo vuoi..”

“Ma c’è un limite prestabilito di tempo da aspettare? Comunque credo che si sia attuato qualche bizzarro meccanismo psicologico. Jules, tu che dici?”

“Che non si è attuato niente e che ti attizzava dal principio...” risponde lei alzandosi e optando per la brutale onestà, come d’altronde fa sempre. A volte ti spiazza, ma è una cosa che amo in lei.

“Chissà perché sospettavo che sapeste già tutto” ride lui scuotendo il capo, rassegnato e consapevole di come funzionano le dinamiche tra noi tre.

“Se ti attizzavo dal principio cambia qualcosa?”

“Non lo so... ci devo pensare. Per ora mi appello al quinto emendamento e prendo atto che abbiamo fatto un passo avanti, per lo meno nella confidenza”.

“In Italia non c’è il quinto, Mr Ohio...” specifica la bionda giurista tra noi, continuando a masticare il plum cake.

“D’accordo. Ci rifletterò al lavoro.” risponde lui aprendo la porta ed indicando Bet e il suo spuntino.

“Quale lavoro?” tento ancora una volta e Bet, con la bocca piena, batte più volte le mani divertita.

“Curiosity killed the cat...” sghignazza lui uscendo, compiaciuto dal mio sguardo insoddisfatto, e Jules scoppia a ridere:

“Se non fa il prostituto è per forza un esattore delle tasse in incognito. E noi siamo tutte nella merda e non lo sapevamo.”

“Bet, tu le paghi le tasse?” prosegue, voltandosi verso la nostra amica bionda che sta mandando giù a fatica l’enorme bolo che ha in bocca.

Si ingozza sempre come un tacchino!

“Le tasse? Io... pago quelle universitarie e quelle dello sporco. C’è altro?”

“Secondo me allora è qui per spiare te, bionda criminale!” le annuncia additandola e sul suo viso nasce l’incertezza:

“Ma io sono una dottoressa in scienze e tecniche giuridiche! Non posso essere la legge e infrangere la legge...”

“Tu sei la legge come io sono una taglia quarantadue... Ora, posso vedere cosa avreste comprato?” mi intrometto per arginare l’assurdità della conversazione.

Loro si scambiano uno sguardo complice e, in preda all’euforia, corrono verso camera mia mentre io, sospirando, le seguo stringendomi nell’accappatoio e temendo di ritrovarmi in un completo di latex che mi farà apparire come un cetaceo: paura che diviene concreta quando, entrata nella stanza, Jules mi sventola davanti agli occhi un abitino rosso.

Rosso!

“ Che cosa? Ma voi siete matte! Io  quello non me lo metto neanche morta!”

“ Perché no?” chiede Bet confusa e allunga una mano per sfiorare con le dita la stoffa purpurea che hanno scelto per me.

“Perché è rosso!”

La mia protesta, però, sembra solo confonderle di più: ovviamente loro, non portandosi dietro adipe superflua, non possono capire il pericolo insito in qualunque indumento che non sia di colore nero.

“Ragazze, il rosso metterebbe in risalto tutte le mie pieghe di ciccia! Quante volte mi avete visto indossare un vestito che non fosse nero? È la regola di base! Il nero sfila!” esclamo con le mani suoi fianchi, cercando di comunicare l’origine del mio disagio ma loro si mostrano solo sbigottite e per nulla propense a cedere.

“Mettitelo e basta. Secondo te ti faremmo indossare qualcosa che ti sta male?” la voce di Jules reca con sé una silente minaccia e le sue braccia allungano la gruccia che regge l’indumento verso di me.

“Per punirmi? Sì, lo fareste.”

“Sì, hai ragione, per punizione lo faremmo, ma non hai fatto  nulla di male, quindi puoi fidarti.”

Alle sue parole abbasso il viso e loro colgono all'istante il flash di colpevolezza che mi passa sul volto.

“Med?” chiede Bet cauta e si avvicina a me insospettita “ Che cosa hai fatto?”

Io sto zitta per pochi secondi, chiedendomi se abbia realmente fatto qualcosa di male.

“Sto cercando di convincere Alex a cedere...”.

“Med!” mi rimprovera Bet ad alta voce, facendomi arrossire per l’imbarazzo.

“Stai lentamente diventando il mio idolo!” ridacchia Jules.

“ Non la istigare, cretina!” sibila Bet alla mia amica riccia, poi si volta verso di me e aggiunge

“Scusa ma se lui ti ha chiesto di chiarirti le idee, perché non ti prendi del tempo, invece di pressarlo?”

“Perché non credo di averne bisogno.” mi lamento sedendomi sul letto.

“Quindi ho ragione io e ti piace?” suggerisce Jules afferrandomi un polso e costringendomi a rialzarmi dal letto per vestirmi.

“Temo di sì...” mugolo mentre apro il cassetto dell’intimo e frugo alla ricerca di due pezzi che possano stare bene.

Ecco, altro particolare sul mio abbigliamento e che è diretta conseguenza delle mie curve: i completini intimi sexy o vagamente carini per chi ha un corpo, e soprattutto un seno, abbondante, non esistono.

O sono tutte cose rinforzate e che appartengono alla collezione Nonna Papera, o non vengono neppure considerati.

“Fino a ieri ti stava sulle palle e oggi ti piace?” cerca di capire Bet analizzando le mie scarpe e scartandole tutte, paio dopo paio.

Immagino che ci andrò in ciabatte a questa cena.

“Non ha senso, vero?” chiedo conferma levandomi l’accappatoio e dando loro le spalle per indossare mutande e reggiseno.

“No, Med. Non ha senso. E la scusa dell’inglese e del profumo è una stronzata.”

“Aspetta, quando parla in inglese mi eccita davvero. Però, non lo so... Forse un po’ mi piaceva già ma ero troppo occupata a trovarlo fastidioso.” rifletto ad alta voce tornando a guardarle, prima di rivolgermi a Jules e domandare: “Può essere un effetto collaterale della mia orribile personalità?”

“Sì, può essere. O magari è conseguenza della tua demenziale insicurezza e, poiché lui ti corteggiava, tu, di riflesso, per timore che non fosse serio e che fosse come L, alzavi le difese...”

Prendo un calzino sporco da terra e lo tiro nella direzione della mia amica riccia, borbottando:

“Freud, mi stai sulle palle...”

“Perché ho ragione.” ridacchia lei, schivando la mia arma chimica e porgendomi il vestito che sarò costretta ad indossare.

“Comunque ora non abbiamo tempo per questa storia. Infilati quel maledetto affare e truccati.” mi ordina.

Io socchiudo le labbra per controbattere ma lei mi ferma.

“No Med, è fatto apposta per te. Scende morbido da sotto il seno, mette in risalto le tue favolose tettone, arriva poco sopra il ginocchio e il rosso, che tu lo sappia o no, è il tuo colore. Ora chiudi quella bocca e fai come ti diciamo noi. Ti aspettiamo in salotto.” conclude prendendo Bet per mano e trascinandola fuori dalla camera con sé.

Sbuffo di nuovo, per nulla propensa a seguire i suoi ordini ma assolutamente consapevole che non cederanno finché non l’avrò fatto; quindi, senza entusiasmo, prendo quel maledetto abito rosso e lo indosso.Poi mi osservo nello specchio e inarco un sopracciglio, sorpresa dal fatto che, effettivamente, scivola come olio sui miei fianchi abbondanti e, controllando come mi sta sul retro, mi stupisco di scoprire che neanche i miei rotolini posteriori si mostrano ingloriosi sotto la stoffa.

Dunque questa è magia: cos’è questa stregoneria?!

D’accordo: 1 a zero per Bet e Jules. Ciò non toglie che non lo ammetterò mai.

Mi allontano dallo specchio e corro in bagno a truccarmi il più velocemente possibile, senza grandi virtuosismi artistici: in tutta onestà non sono particolarmente abile, nonostante mi sia guardata qualche puntata di Clio Make up. Se mi impiastriccio troppo il viso mi sento sempre troppo appariscente e, come abbiamo più volte constatato, io odio stare al centro dell’attenzione.

Mentre finisco di colorarmi le guance con un filo di fard (il minimo indispensabile per togliermi il colore cadaverico che mi accompagna dalla nascita), Bet entra alle mie spalle e mi sorride.

“Te l'avevamo detto che ti sarebbe stato bene. Sei uno schianto” dice dandomi un colpetto sul fianco e appoggiandosi al ripiano del lavandino a braccia incrociate.

“Scordatevi che metta i tacchi.” le rispondo io sciacquandomi le mani e evitando di ammettere che avevano ragione mentre Jules appare alle mie spalle e, ridacchiando, raccoglie qualche forcina dal cassetto accanto a noi e me le infilza senza preoccuparsi di avere il mio consenso.

Bet la osserva armeggiare e poi mi squadra dalla testa ai piedi, fa un saltello gioioso e applaude euforica.

“Sei una bomba.” annuncia Jules “Ora andiamo, Tigre!”conclude spintonandomi fuori dalla porta me quando faccio notare che sono scalza, Bet mi allunga un paio di ballerine e, senza aspettare, mi trascina fuori di casa.

Sia ringraziato il cielo, almeno sulla calzatura si sono mantenute su ciò che mi è possibile indossare.

Quando arriviamo al ristorante, la maggior parte degli invitati è già seduta al tavolo.

Dopo pochi passi dall'entrata sento Jack sussurrare: “Oh cazzo!” e allora cerco di individuare la traiettoria dei suoi occhi, ma prima che riesca a farlo

“Che succede?”

Il mio gruppo di amici si scambia sguardi interrogativi, cercando di decidere cosa fare.

Finché Leo, prendendo in mano la situazione, mi bisbiglia:

“C'è L...”

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