L'imbarazzante piacere del Tu...

By MedOrMad

118K 3.7K 409

Med ha 24 anni e porta avanti una relazione di sesso con un soggetto di discutibile fascino, è 2 anni fuori c... More

L'imbarazzante piacere del TuttoTondo
Mutazione Shopping
Casanuova/Casanova
L'eleganza del pigiama.
Due per due
Sotto il cappuccio verde
Quello che succede in bagno...
... resta in bagno!
I discorsi interrotti -prima parte-
I discorsi interrotti - seconda parte -
Never smile at the...
... Crocodile
Do ut Des
Mia nonna non...
... vuole.
Pan per focaccia - prima parte -
Pan per focaccia - parte seconda -
E poi viene il dopo
Fragole e vongole
On the ROD
Dove?
A twist in the night
Per chi suona il telefono.
Importuni e in-opportunità
Parenti

Come quando hai sete

4.4K 143 8
By MedOrMad

Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia

Quando mi sveglio la mattina seguente, Alex è già uscito di casa. Sulla sedia accanto al letto ci sono i miei vestiti della sera prima asciutti e piegati. Sopra c’è un biglietto che dice:

Hai russato divinamente. Nelle pareti del salotto rimbombavi così forte che quasi non ho chiuso occhio. E, tra l'altro, sei violenta anche nel sonno. Nottata magnifica.

Seguito da un post-it con una faccina che sorride.

Io mi metto a ridere e mi alzo. Mi fanno male gli occhi e mi scoppia la testa. Ma non voglio distrarre Bet nel suo ultimo giorno di studio; le racconterò cosa è successo dopo l’esame. La sento ripetere ad alta voce dalla mia camera così, il più silenziosamente possibile, mi preparo ed esco di casa, determinata a trovarmi qualcosa da fare per tenermi impegnata fino a sera ed optando per rinchiudermi in biblioteca a fingere di studiare.

Camminando per strada mando un messaggio a Jules avvisandola che L ne ha fatta una delle sue e che urge una riunione a base di pizza, al quale lei risponde con un:

Sei anche nella fase di negazione da anni. Servirà anche il karaoke. Vi aspetto domani sera da me.

Fase della negazione. Da anni.

Non penso la mia amica si renda conto di quanto effettivamente abbia ragione e, mentre ci rifletto, sento le mani che si stringono in due pugni, per poi rilasciare la tensione e rilassarsi. Io non ho grandi scuse da accampare o forze superiori di incolpare.

Ho fatto tutto da sola. Come sempre, d’altronde. Nella vita, apparentemente, i danni li ho sempre causati con grande maestria e con un’incredibile consapevolezza.

Vi siete mai sentiti estranei nella vostra pelle? Come se non riconosceste la persona che vi abita dentro? O, quantomeno, non apprezzaste le scelte che fa?

Io da sei mesi a questa parte non sono assolutamente in accordo con la parte di me che sembra essersi arrogata il diritto di parola sulle decisioni importanti.

No, galattica balla. Sono anni che questa cosa va avanti ma sta avendo ripercussioni emozionali sono negli ultimi mesi.

È come se io non sapessi più davvero cosa voglio, cosa mi piace, cosa mi fa stare bene. O, probabilmente, non l’ho mai saputo.

Una volta mi importava davvero di quello che gli altri pensavano di me: no, più precisamente era fondamentale la loro approvazione. Come se, attraverso il loro giudizio positivo, io mi sentissi legittimata ad apprezzare me stessa.

Sì, ci sono dei colossali crateri nella mia sicurezza e autostima: francamente, se non fosse perchè ne parlano tutti, credo che quest’ ultima parola sarebbe insignificante per me.

Ho sempre vissuto nella speranza di compiacere gli altri, ma non capivo come fare. Era sempre come se ci fosse qualcuno più simpatico di me, più intonato di me, più volenteroso, più brillante e - la costante immutabile - più magro.

Perciò, quando ho capito che naturalmente non ero in grado di soddisfare le loro aspettative, ho iniziato a modellarmici sopra, a dare agli altri quello che volevano: le bambine permalose non piacciono a nessuno? Perfetto, quelle divertenti e autoironiche riscuotevano grande succeesso: e allora io sarei stata autoironica.

Più o meno il modus operandi era questo: studiavo le reazione degli altri alla vera me, poi prendevo atto del loro entusiasmo di fronte agli altri e, infine, assumevo l’atteggiamento stimato. E improvvisamente erano tutti contenti. Tutti tranne me: perché con gli anni non c’ho capito più nulla e ho smesso di comprendere cosa ero e cosa volevo.

Forse è così che sono arrivata qui. In genere, quando si cerca di non deludere gli altri, si finisce con deludere se stessi. Ma io ho fatto anche di meglio: ho deluso sia loro che me.

Il primo passo verso l’oblio me lo ricordo come se fosse impresso a fuoco sulla mia amigdala: la tristezza sul viso della mia famiglia quando uscirono i risultati di quel maledetto test di Medicina.

La tristezza la potevo sopportare, ma la compassione, Dio, quella no.

Il viso di mio zio si accomodò in una sorta di maschera incoraggiante, ma io sapevo che dentro era rammaricato quasi quanto lo sarebbe stato se a fallire fosse stata Terry. Perché lui era un grande medico e aveva sperato, forse, che qualcuno di noi scegliesse di seguire i suoi passi: io l’avevo fatto. E avevo fallito.

“Non sono entrata.” è bastato quello per far calare un silenzio tombale. Sembrava quasi un’elaborazione di un lutto. La morte di qualcosa. Ma di che cosa, veramente? Di me? Dei miei sogni? Delle aspettative degli altri? Di che cosa?

Tutt’oggi non lo so dire. So, però, che la prima curva a gomito è stata quella. E io l’ho presa in quarta e senza cintura di sicurezza. Mi ci sono schiantata contro a 100 all’ora.

Fallimento: quanto pesa su di me questa piccola parola. Io, che non ho mai accettato di perdere, neanche a Risiko. Io, la piccola ragazzina testarda che puntava al successo. Io, quella che, in realtà, il successo non sapeva davvero in che cosa lo voleva raggiungere. Io, che a ventiquattro anni ancora non lo so.

Il viso di mio padre resta la cosa che più mi colpì, carico di speranza e di fiducia:

“Magari ti ripescano...”

1.212

“Non mi ripescano...”

Ero arrivata alla posizione 1.212: chi l’avrebbe mai detto che un 1 e un 2 potevano pesare così tanto?

“... sono troppo in là in graduatoria.”

Le lacrime che ho versato quel giorno sapevano di veleno: perché da quelle lacrime nasceva una piccola morte di me.

“Ci puoi sempre riprovare l’anno prossimo.” era la voce densa di emozioni dello zio.

“Sì.”

No, non ci avrei riprovato neanche sotto tortura.

“Non era la tua unica possibilità.” questa era Terry, speranzosa come sempre.

“Già...”

Ma era l’unica che mi sarei concessa.

Però loro questo non lo sapevano. E non lo avrebbero saputo se non molti mesi più tardi. Ma non avrebbero comunque saputo la verità.

Perché quegli 1 e quei 2 decretarono la fine del mio sogno e segnarono i confini della mia decisione: io quel test non l’avrei rifatto. Non avrei sopportato un’altra volta una delusione così vivida e profonda. Non sarei stata in grado di reggere di nuovo quest’aria rarefatta di compassione.

E non avrei tollerato ancora questo fallimento.

Ma non lo dissi ad alta voce. Non lo dissi mai. Loro non capirono e non avrebbero saputo: quella paura, quel gesto di codardia fu il primo tradimento verso me stessa.

“Dai, ora rimboccati le maniche. Ora quello che devi fare è...” la voce di zia partì a raffica coi suggerimenti, ed io registrai solo quello che devi fare.

Devi. Ora non potevo più scegliere. O magari avrei potuto. Ma non lo capii e non lo feci. Lasciai che mi consigliassero nel migliore dei modi e, come sempre, mi modellai alle loro richieste.

Milano. Biologia. Un anno. Poi rifai il test.

Tutto liscio fino all’ultimo punto. Quello lo ribaltai con una bugia:

“Mi piace bilogia. Resto a questa facoltà.”

Cavolo, se solo avessi saputo che cosa stavo facendo. Ma non ne avevo idea e non sapevo che quelle parole mi avrebbero portato qui, oggi, infelice e incapace di leggere la mia stessa anima. E non sapevo che la biologia mi avrebbe condotta a L.

Una porta che sbatte e mi risveglio dai ricordi; mi allontano dall’analisi profonda dei fatti che mi hanno guidata dove sono oggi, e mi ritrovo di nuovo in biblioteca, nascosta dal mondo che preme per sapere e dalla parte di me che supplica per avere una direzione.

Sbatto ripetutamente le palpebre e torno a sfogliare il libro di genetica, riscoprendomi incredibilmente rapita dalle mutazioni del DNA pur di non ripensare a ieri sera. O a me stessa.

Fortunatamente non trovo inservienti molesti che mi rendono ancora più odioso il soggiorno in quell'edificio e si fa presto l’ora di scappare da un luogo chiuso per rifugiarsi in un altro.

È come vivere sottovuoto: ed è così rassicurante.

Quando quella sera rientro a casa, vengo subito accolta dalla voce di Bet che riempie la casa.

Entro in cucina per prendere da bere e, guardando verso il soggiorno, davanti ai miei occhi si presenta una scena di una dolcezza spiazzante.

J è seduto sul divano, con una gamba distesa sulla seduta e l’altra che tocca terra e, al centro, con la schiena appoggiata alla sua pancia e la testa che riposa sulla sua spalla, c’è Bet.

Lei tiene sulle cosce un libro aperto, ma non lo guarda nemmeno. Con la fronte contro il collo di J tiene gli occhi chiusi: le dita di una mano di lui sono intrecciate con quelle della mia amica, mentre con l’altra le accarezza i capelli a intervalli regolari e fa girare tra le dita una ciocca bionda.

Dalla mia posizione vedo che lei muove le labbra, e sento qualche parola; ma sta parlando piano, quasi sussurrando, per far sentire le parole solo a lui.

Ogni tanto lui annuisce e dice qualcosa. Le bisbiglia all’orecchio e le bacia una tempia, poi lei volta pagina e solo allora capisco che lui la sta ascoltando ripetere.

Lei si ferma, si tocca la fronte, come se stesse cercando di ricordare qualcosa, e lui indica una riga sul libro, leggendo ad alta voce per lei. Bet annuisce e sbuffa, frustrata. J ride e fa scorrere le braccia attorno alla sua vita, abbracciandola. Lascia cadere un bacio sul suo collo, confortandola e, probabilmente le dice qualcosa, sussurrando contro la sua pelle, perché subito dopo lei sorride e avvicina la mano di lui alle sue labbra. Poi riprende l’esposizione di chissà quale legge e lui, con pazienza, ricomincia ad ascoltarla.

“È più di un’ora che sono in quella posizione” esclama la voce di Alex alle mie spalle e io sussulto, presa in contropiede.

Mi giro di scatto, sorpresa, e gli offro un mezzo sorriso. Sono imbarazzata. Non so come comportarmi dopo ieri sera. E forse sono a disagio anche per l’aria trasognata che si riflette nei miei occhi, dopo aver spiato la scena tra i nostri ospiti.

“Ciao” dice lui, fissandomi e avvicinandosi pericolosamente.

Vade retro, tu e il tuo sguardo penetrante. Lo penso ma non lo dico. Rispondo invece un incisivo “Ciao” , abbassando lo sguardo.

Che fantasia.

“ Che c’è? Perché sei in imbarazzo?” domanda lui aggrottando la fronte e cercando i miei occhi.

“ Non sono in imbarazzo” rilancio io tenendo la testa bassa.

“ Ah no? E allora perché non mi guardi?” mi provoca lui e la sua voce lascia trapelare divertimento.

“ Perché…perché…” tentenno, poi rinuncio “ Ok, hai ragione, sono in imbarazzo.”

“ Va bene, ma è la motivazione che mi sfugge.” prosegue lui sedendosi sul bordo del tavolo, di fronte a me.

“ Per tante ragioni…” rispondo, alzando il viso.

“ Comincia a dirmene una.” mi suggerisce, inclinando la testa a destra.

“ Per ieri sera, tanto per cominciare.” Dico tutto d’un fiato e poi allontano di nuovo i miei occhi dai suoi.

"Med... Med, guardami” mi ordina ed io, senza riuscire a controllarmi, eseguo.

"Prima di tutto, se non ricordo male ora io posseggo la tua anima, giusto? È il prezzo che devi pagare per aver usufruito della mia cortesia."

" Simpatico! Sei esilarante! Hai mai pensato di fare il comico?” gli chiedo, spingendolo.

"No, preferisco fare il tuo coinquilino.” Dice riavvicinandosi a me. Io indietreggio, fino a che non sbatto con la schiena contro il bancone che separa la cucina dal soggiorno, e lui avanza senza remore.

“ E poi…” sussurra a pochi centimetri dalle mie labbra

“ Che cazzo fai?” bisbiglio senza un minimo di forza.

Lui trova di nuovo i miei occhi e vedo che i suoi sorridono.

“ Non illuderti, Scintilla” sussurra. Poi sposta lo sguardo oltre me, verso il salotto.

“ ... Pensavo solo che, magari, avresti voluto riprendere a guardarli ora” dice continuando a osservare J e Bet.

Io resto appoggiata al bancone, e giro la testa. E li vedo.

Sono passati solo pochi minuti ma, in qualche modo, Bet sembra essersi addormentata con la testa appoggiata sul torso di lui, mentre ripeteva. Lui sfoglia qualche pagina e abbandona il libro sul divano. Poi J cerca di svegliarla dandole una serie di volatili baci sulle labbra. Dopo poco lei sorride tra i baci e spalanca gli occhi. Si sussurrano qualcosa e lei sbadiglia. Gli accarezza la nuca con una mano e annuisce in risposta a qualche domanda che lui le ha bisbigliato all’orecchio. Si solleva da lui, dandogli spazio per alzarsi; poi lui le prende le mani e la aiuta a tirarsi su. Bet gli cinge la vita da dietro e lui appoggia una delle mani sulle sue mentre si dirigono verso la camera da letto. E in tutto questo non sono mai stati consci di me e Alex, come se al mondo fossero esistiti solo loro due. Entrano nella stanza dandosi un bacio e richiudono la porta.

E io resto immobile, immersa nella tenerezza della loro interazione.

“ Non c’è niente di male nello spiare da lontano una scena come quella” mi mormora Alex sul collo, riportandomi alla realtà. Mi volto e i nostri occhi si incrociano e il suo naso ad un respiro dallo sfiorare il mio.

Io non dico nulla e arrossisco. Lui mi sorride con un’ insopportabile espressione furba e aggiunge:

“ E non c’è niente di male nel desiderare quello che hanno loro...”

“ Non tutti possono avere quello che hanno loro.” rispondo io piano e, mentre continuo a scrutare il suo viso, sento che le mie difese inziano a capitolare.

“ Però a volte qualcuno lo trova.” ribatte lui, sorridendo. Poi, all’improvviso si allontana e io ricomincio a respirare.

Dio, ancora qualche secondo e avrei commesso l'infattibile: avrei cercato di pomiciarci come un'adolescente.

Lui ammicca e si incammina verso la sua stanza. Io faccio un sospiro e mi muovo in direzione del bagno, determinata a recuperare il controllo dei miei indisciplinati ormoni e infilarmi nel mio pigiamino. Quando accendo la luce vedo che sullo specchio svetta l'ennesimo post-it e mi avvicino per leggerlo:

Desolato, Scintilla. Per quanto l’idea di te nel mio letto abbia movimentato i miei sogni, stanotte il divano tocca a te.

Però se piangi e supplichi di restare, magari cambio idea.

Accartoccio il biglietto, mi mordo il labbro inferiore e rido. Che faccia di culo!

Le docce fredde funzionano anche con le donne?

Poco conta: l’indomani Alex sarebbe tornato ad essere irrilevante e io avrei scelto il vino rosso e l’ Häagen-Dazs  come unica realte fonte di sollievo.

Credetemi: ciò che vi può regalare il gelato è insostituibile.

E così mi ritrovai ad affondare un cucchiaio nella scatola da mezzo chilo di Belgian Chocolate, considerando l’ipotesi di affogarlo con del Groppello, e a fare un dettagliato resconto delle ultime quarantotto ore alle mie migliori amiche.

“Mi stai prendendo per il culo?”  questiona Jules lasciando cadere una manciata di pop corn dal pugno e stringendo i denti.

“Vorrei poterlo fare!”  borbotto nascondendo la testa in un cuscino.

“ Fammi capire: tu sei andata a casa di L e l’hai visto che si limonava una sotto il portone...” riepiloga Bet leccando il retro del cucchiaio che ha appena piantato nel cartoncino di gelato che ho appoggiato sulle ginocchia. Io annuisco.

“ E non hai fatto assolutamente nulla?” mi domanda e io scuoto il capo in risposta, facendo nascere in lei altre supposizioni “Non gli hai gonfiato la faccia di sberle , non l’hai reso incapace di avere un rapporto sessuale ? Niente di niente? ”  chiede incaponita e sbalordita.

“ Nada.” mi limito a sospirare io riempiendomi la bocca con un Chicken Mc Nuggetz. Sì, quando è una situazione di emergenza, noi mischiamo tutto. Proprio tutto.

“ Ma sei scema?” mi interroga con disappunto la mia amica bionda, restando in stato di shock.

“ Non potevo fargli una scenata. Io ho fatto finta di accettare la relazione di sesso-tra-amici, e ora ne pago le conseguenze” ribatto, arrabbiata con me stessa .

“ Sei un’idiota.” Dice Jules placidamente mentre stappa l’ennesima bottiglia di vino e si china verso di me per riempire il mio bicchiere  “ Ma un’idiota che ha ragione. Non avevi alcun diritto di parola. Ma questo non toglie il fatto che lui sia il più grosso pezzo di cacca mai partorito.”

“ E ora che devo fare?”

“ Vuoi la verità o quello che vorresti sentirti dire?” chiede Jules sdraiandosi accanto a me.

“ La verità.” rispondo con una colorazione incerta nella voce e sicura che la verità non è quello che mi piacerebbe udire.

“ Te ne liberi, Med!” sorride lei, soddisfatta per una volta di aver potuto dire le cose con franchezza.

“ Facile a dirsi.” Mugolo e mi copro gli occhi con un braccio.

“Dovrebbe... Med, vuoi davvero sprecare il tuo tempo con un idiota così?” afferma Bet dalla poltrona.

“ Soprattutto quando a casa hai un boccino dagli occhi blu che io mi farei volentieri.” ridacchia Jules.

“ Tu ti faresti chiunque, Jules. E poi tra me e Alex c’è giusto un pelo di conflitto.” rispondo secca, limitandomi ad esporre le mie supposizioni.

“Non è conflitto. È tensione, Med.” specifica Bet, affondando nei cuscini e azzannando un altro cucchiaio di gelato.

“... tensione sessuale.”  aggiunge infine Jules e io le tiro una ciocca di ricci.

Lei borbotta un brutta vacca e io le chiarifico che è una psicologa ossessionata dal sesso e che si deve fare curare.

“ Non capisco perché non te lo vuoi fare. Lui ti si farebbe un sacco...” aggiunge Bet facendomi l’occhiolino.

“ Le tue sono banali illazioni...” le ringhio alzando la testa, per lasciarla ricadere subito dopo contro un cuscino mezzo vuoto che Jules ha prontamente appoggiato sulla traiettoria del mio cranio.

“ Cazzo, quanto sei falsa. Sai perfettamente che ha provato in tutti i modi a interagire con te.” rilancia Jules costringendomi a sedermi.

“Dicendomi quanto grosso sia il mio culo, o quanto forte io russi o quanto brutti siano i miei pigiami?” chiedo con aria di sfida.

“ Tutte cose vere, tra l’altro.” ride Bet.

“ Va bene, ma non capisco perché mi devo per forza fare qualcuno!”

“Non per forza. Francamente per me l’importante è che non ti fai L...” mormora la sempre premurosa Bet, benché Jules non sembri condividere il suo pensiero.

“No, no. Io non ne convengo: Alex è mediamente figo e deve essere fatto!”

“Senti Jules, ma il tuo terapeuta che ne dice di sta fissa per il sesso?” domanda Bet ricevendo solo un gesto poco creativo in risposta e, quindi, decide di riportare la conversazione su di me e su quello che è successo.

“Med, io capisco che tu ti senta la parte debole in questa... cosa che tiri avanti con L ma, non credi che fare qualcosa in proposito potrebbe essere un buon punto di partenza?”

“Per che cosa?”

“Per la svolta alla tua vita che continui a dire di volere e per cui ti ostini a non fare niente.”

Ah, la verità nuda e cruda: non esiste nulla di così tagliente e al contempo rassicurante che avere due migliori amiche che sanno cosa ti danna. E che, con scadenza settimanale, te lo rendono noto.

“Che tatto, Culo...”

“Senti io non sono la tua coperta di Linus: non puoi pensare che solo perchè ti voglio bene passerò ogni istante della nostra vita a tenerti sotto una campana di vetro. Sei infelice, questo è noto anche al parcheggiatore del supermercato, ma che hai intenzione di fare in proposito?”

“Certo, per te è facile parlare così...”

“Pensi seriamente che non mi costi fatica dirti queste cose? Ma che considerazione hai di me?”

Ecco, c’è da dire che il genere di discussioni che ho con Jules sono, di norma, più feroci di quelle che ho con Bet: ma questo soprattutto perchè la mia amica riccia è senza dubbio più dominante e asciutta.

“Med, L è un buon punto di partenza. Meriti una storia d'amore vera, non quello schifo.”

Alla menzione della parola amore non riesco a controllare un accenno di risata incredibilmente cinica e vedo Jules serrare la mascella in segno di disapprovazione.

"Non tutte le storie d'amore finiscono bene, Bet..."

"Neanche quelle d'affetto... ma te ne basta una sola vera per sentirti completa."

"Che differenza c'è tra amore e affetto?"

"Molta, e anche se entrambe dovrebbero essere espressione di bene, la verità è che  l'amore che ti può dare un solo buon amico, un inutile rapporto come quello che hai con L non te lo darà mai."

“Che diavolo vuol dire?”

“Che non ti serve una relazione insulsa come quella che hai avuto con L per sentirti amata: io e Jules ti diamo più amore di quanto L te ne abbia mai dato in tutti questi anni...”

“E allora perché devo cercarlo anche altrove questo amore?”

“Non è un dovere: voglio che ti metta in testa che quello che ti ha propinato L non è amore. Non sono così le relazioni, Med...”

“Ma questo lo so pure io! Lo so che tra me e L non c’è amore!”

“Neanche amicizia. Quella merda che accetti non è dimostrazione di affetto...” prosegue Bet con la sua immancabile dolcezza.

“Med, non ha mai funzionato e quel ragazzo non sa cosa sia il rispetto. È troppo innamorato di se stesso per vedere gli altri” mi mormora Jules aiutandomi ad alzarmi.

Io resto zitta. Faccio scorrere gli occhi da lei a Bet e ritorno. E loro guardano me.

Ed è in quel momento che capisco che non sono più disposta ad accettare quello L che mi fa passare. Le sue regole non mi vanno più. Sono stufa di essere la bambola gonfiabile di un ragazzo senza materia grigia. E la verità è che non lo voglio più nella mia vita. Punto.

Non vale come persona, non vale come amico, e non vale come amante.

“ Ok. Credo di essere pronta” affermo sicura, rompendo il silenzio.

“Sul serio?!” chiede attonita Jules, cercando nei miei occhi.

“Sì, sul serio. Forse non servirà a ridarmi il sorriso e certamente non mi spingerà alla ricerca del vero amore. Ma in fondo L l’unica cosa che ha saputo darmi in tanti anni è qualche scadente orgasmo. E si è preso tutto. Non mi ridarà quello che gli ho permesso di portarsi via...”

“Parli della tua verginità?”

“Ma come fai ad essere sempre così inopportuna, Jules?!” chiede Bet alla ragazza alla sua destra, che non può fare che alzare le spalle in segno di resa e dedicare la propria attenzione ad un pop-corn inesploso.

“Non mi riferivo a quello, ma grazie per aver perfettamente riassunto la sua funzione...” rifletto io e, alla sua specificazione “Di tappabuchi?”, scoppio a ridere.

Poi le osservo e nei loro sguardi c’è solo appoggio: perché? Perché sono sempre dalla mia parte? Perché ci ho messo così tanto ad ammettere che avevano ragione? Perché mi è servita anche quell’ultima umiliazione per decidermi a mandarlo a quel paese?

La verità è che non è L l’importante; non sono i torti che lui fa a me o il modo sconsiderato in cui mi tratta. Non serve dare spessore e rilevo a qualcosa che è inconsistente più del nulla: non è lui che conta. Quello che conta è ciò che io gli ho permesso di fare a me.

Lui è nato stronzo: fin qui non ci piove.

Ma mi ha usata solo perché io gliel’ho permesso.

Appena esco dal portone di Jules, inizio a formulare in testa le frasi che dirò a L tra poco. Non ho bisogno di riflettere. Questa scelta io l’ho fatta tanto tempo fa, dovevo solo trovare il coraggio di metterla in pratica. E ora che sono pronta a farlo, non intendo aspettare un secondo di più.

Non sono mai stata brava a prendere decisioni. E’ colpa della mia insicurezza: quando mi trovo davanti a un bivio, tentenno per un tempo illimitato, con la paura di fare la scelta sbagliata. Poi, quando arriva il momento di muovermi, opto per la soluzione che sembra essere la più gettonata e che, alla fine si rivela quella giusta per il pensiero comune, e quella errata per il mio cuore. E così rimango intrappolata nella mia stessa ragnatela di bugie, illudendomi di aver agito secondo quello che era il mio desiderio.

E’ un circolo vizioso.

Entro in casa di corsa ed è tutto silenzioso: solo in quel momento mi ricordo che i miei ospiti hanno fatto ritorno nella loro abitazione (finalmente libera da zecche e zecchini) quel pomeriggio. Cerco di restare concentrata sul mio proposito e, accendendo la luce del salotto, afferro il telefono con decisione. Devo fare questa cosa in fretta, prima che il terrore di affrontarlo mi blocchi. Compongo il numero di L e aspetto che risponda, con il cuore in gola. Sarà una cosa rapida. Non ho intenzione di prolungarla più del dovuto. Dovrà essere come togliere un cerotto. Un colpo secco, veloce e deciso.

“ Ehi!” canticchia L nel ricevitore. “Stavo giusto per...”

“ Sì, certo. Senti, ti devo parlare.” lo interrompo io ansiosa.

“ Oh, d’accordo. Che succede?”

“ Ascolta, è un po’ che ci penso e ho deciso che non ti voglio più vedere.” dico ostentando sicurezza.

“ Che cosa? E perché?” mi chiede lui con voce ingenua e incredula: ma come è possibile che non si aspettasse qualcosa del genere prima o poi?

“ Perché sì. Perché ho capito che…che non sei quello di cui ho bisogno. Questa storia l’abbiamo tirata avanti anche troppo. E sappiamo tutti e due che è tempo sprecato. Tu non mi aiuti ad essere una persona migliore, anzi. Da quando sei entrato nella mia vita ho fatto cose che non sono da me. Ho accettato condizioni che mi fanno rabbrividire ed è come se avessi accantonato tutti miei principi e la mia morale. Io credo che i rapporti, di qualunque forma siano, debbano lasciarti qualcosa, debbano aggiungere qualcosa alla tua anima, aiutarti a crescere e a diventare un po’ meglio di quello che eri prima di incontrare quella persona. E dal nostro rapporto io non ho avuto niente di buono. E la verità è che tu, come persona, non mi piaci. Non mi piace come ti comporti e come affronti la vita. Abbiamo concezioni diverse del bene e del male e, siccome credo che, in linea di massima, tu peggiori la mia vita, non ti voglio più vedere o sentire.”

Non so nemmeno se ho respirato mentre gli esprimevo il mio punto di vista. Lui tace qualche secondo e poi dice:

“ Ma che cosa ho fatto per farti pensare queste cose?”

“ Non è una cosa in particolare. È come sei. Non sei una persona che può combaciare con me” rispondo con stanchezza e, dopo qualche attimo di silenzio, lui aggiunge.

“ Devo vederti. Mi devi guardare in faccia mentre mi dici queste cose.”

“ NO! Non dobbiamo vederci, io quello che dovevo dire l’ho detto. Mi dispiace ma questa è la mia decisione, e non c’è nulla che tu possa fare per farmi cambiare idea.”

“ Med, aprimi, sono qui fuori.” Taglia corto lui riattaccando il telefono.

“ Che cosa?” grido io nel panico.

Poi sento che L bussa forte alla porta e mi urla:

“ Apri, Med! Devi guardarmi negli occhi mentre dici che non vuoi più la mia amicizia.”

Io mi avvicino alla porta e gli dico piano.

“ Vattene, per favore. Mi dispiace, ma le cose stanno così. Non sono io, sei proprio tu il problema” giusto per la cronaca, ho sempre sognato di poter rigirare quella frase paraculo e, per mia estrema fortuna, in questa circostanza ho anche il diritto di farlo. E’ lui che è un uomo di merda. “Io non ti voglio più nella mia vita”.

“ E cosa ne è di tutto quello che abbiamo vissuto insieme? Cosa dovrei fare di tutti i ricordi che abbiamo? Bruciarli come vuoi fare tu?” dice furioso attraverso la barriera che ci separa, battendoci forte un pugno contro.

Chi ha parlato di appiccare incendi? Questo ragazzo è melodrammatico quanto Bet.

“Non lo so. Conservali. Non sta a me dirti cosa fare. Ora non fare il sentimentale.” sto praticamente sussurrando.

“ Voglio che mi dici che cosa ho fatto per farti arrivare a questo punto!” strilla con rabbia.

“ Non è una cosa in particolare. È quello che sei. Come sei. E come divento io quando ci sei tu!”

“ Med, piantala. Apri la porta...” e credo che la sua voce sia praticamente rotta dal pianto.

Oltre che stronzo è pure un debole. Cosa piangi? Non te ne è mai fregato nulla di me. Ora piagnucoli solo perché non sopporti che sia io a scaricare te.

“ Non ho più niente da aggiungere. Vai via, per favore”.

“ No, questa non è una cosa che puoi decidere da sola. E io non sono d’accordo”.

Sto per rispondere, quando sento una mano che mi allontana dalla mia posizione e vedo Alex afferrare la maniglia e spalancare la porta. Resto paralizzata a fissare la sua schiena.

Che cosa sta facendo?

“ Med...” dice L, poi si blocca quando i suoi occhi incrociano quelli, scuri per la rabbia, di Alex.

“No, Alex.”

“Fatti gli...”

“Non riesco a capire se sei testardo o semplicemente stupido.” dice Alex, e nella sua voce avverto un tocco di gelo che non avevo mai sentito prima.

“ Che cazzo vuoi tu? Stanne fuori.” Gli ringhia L in risposta, facendo un passo avanti.

“ Voglio che ti levi dalle palle e fai quello che lei ti ha chiesto. Mi sembra che sia stata più che chiara. Non ti vuole più vedere.” Risponde il mio coinquilino con un tono di voce tanto secco da fare rabbrividire.

Cazzo, forse è davvero un pazzo. Magari è Scream?

“ Tu non sai nulla. Sei un estraneo che si è piantato in casa sua. Fatti gli affari tuoi e fammi parlare da solo con Med...”

Io resto due passi indietro ad osservare con gli occhi spalancati lo scontro tra i due.

“No, non ti faccio parlare con Med perché quello che voleva dirti già l’ha detto. E mi sembra che ti abbia ripetuto più volte di andartene. Ti conviene farlo finché l’orgoglio è l’unica cosa danneggiata che hai.” abbaia Alex con fare terribilmente minaccioso.

“ Oh, davvero? E cosa vorresti fare? Picchiarmi?”

“ Non necessariamente. Ma se non sparisci di qui, non so se avrò voglia di controllarmi a lungo.”

È uno scherzo? Dovrebbe essere divertente o anche solo lontanamente credibile?

Alex non rischierebbe mai il suo bel faccino facendo a botte e L è uno smidollato che se si imbatte in una rissa, si nasconde dietro la sua accompagnatrice. Tutto questo rasenta l’assurdo.

“ Alex...” cerco di attirare la sua attenzione, sfiorandogli un braccio. Ma lui non si volta, non mi guarda. Resta zitto e fissa L.

Forse è proprio un po’ incazzato.

“ Senti, ” dico rivolgendomi a L “ per favore, va  a casa e dimenticati di me. Dico davvero. Non ho intenzione di vedere voi due che vi picchiate. Tra l’altro sei talmente fragile che probabilmente ne usciresti a pezzi. E poi non fare improvvisamente il coraggioso. Tu gli scontri li eviti come la peste. Va a casa e lascia perdere, va bene? Ti ripeto che mi dispiace, ma qualsiasi tipo relazione tra me e te, finisce qui.” gli comunico con una sicurezza che non ricordavo di avere.

Alex tiene lo sguardo fisso su L e, standogli accanto, mi rendo conto di quanto sia realmente teso .

L scuote la testa sconfitto, lancia un’occhiata d’odio ad Alex e inizia ad indietreggiare.

“ Come vuoi, Med.” conclude, dandomi le spalle e allontanandosi.

Io tiro un sospiro di sollievo e mi sposto dall’entrata mentre Alex chiude la porta e noto che si rilassa, piegando la testa verso il basso, ma senza voltarsi.

“ Non sapevo fossi in casa” mormoro alle sue spalle.

“ E invece c’ero” risponde lui e ancora non mi guarda.

“ Già...” bisbiglio io, più che altro per riempire il silenzio che si sta creando e che mi mette terribilmente a disagio.

A questo punto lui lascia andare la maniglia, ruota verso di me e cerca il mio sguardo.

“ Stai bene?” mi chiede.

“ Sì. Sì, certo.” Sorrido “ L non era certo una minaccia. Ha solo un ego molto grande ed è terribilmente cocciuto.”

Lui ricambia il mio sorriso e si avvicina a me.

“Ok.”

Io resto intrappolata dai suoi occhi, respiro profondo e gli sussurro:

“ Grazie comunque. Hai decisamente accelerato i tempi.”

“Figurati. E’ stato un piacere. A che serve altrimenti avere un cavernicolo come coinquilino?” scherza contemplandomi e poi i suoi occhi si illuminano.

Mentre temo di perdermi in quello sguardo indagatore e vivace, dall’altra parte della porta sento d’un tratto le note di una canzone a me ben troppo nota:

Solo che pensavo a quanto è inutile farneticare, credere di stare bene quando è inverno e te, togli le tue mani calde...

Strabuzzo gli occhi e non so se sia per l’assurdità della cosa, se per un flebile fremito di orgoglio e compiacimento, o se perché penso che L stia rasentando i confini della Palude dei patetici (palude chiaramente appena inventata da me), ma mi viene improvvisamente voglia di ridere a crepapelle.

Alex volta il capo verso l’entrata di casa e poi torna a osservare me. Sui suoi lineamenti è stampata la più banale delle domande: che cosa diavolo è?

Emetto un suono indecifrabile, una sorta di incrocio tra una risatina e un vagito (sì, ho detto proprio vagito) e poi rispondo:

“Dovrebbe essere la nostra canzone. O meglio: lo è sempre stata secondo me. Lui ha sempre precisato che non eravamo una coppia, quindi non potevamo avere una canzone.”

Case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale che anche se non valgo niente per lo meno a te, ti permetto di sognare e sei hai voglia...

Alex sta facendo di tutto per non cedere all’ilarità della situazione: io ho appena scaricato il mio amico di letto, che non mi ha mai voluta e mi ha umiliata in molti modi in cui si può umiliare una donna, e ora l’imbecille mi fa la serenata (con le casse dell’IPhone come strumento) fuori dalla porta per non perdermi.

E poi succede l’imprevedibile, ma soprattutto, l’insopportabile: L si unisce a Tiziano Ferro e canta (oddio, no, diciamo che emette note a caso) la parte finale della canzone.

“Scusa sai non ti vorrei mai disturbareeeee...”

“You’ve got to be fucking kidding me...” si lascia sfuggire Alex (che, parafrasando, vuol dire “Certamente mi stai canzonando”: io ve l’ho detto in forma elegante) guardando la porta ed io penso che se parla ancora in inglese in mia presenza, io me lo faccio.

Giuro.

Ma mentre io mi abbandono ad una fantasia che non avrei mai voluto avere - io che palpeggio Alex sbattendolo contro la porta mentre lui mi recita il sonetto 116 di Shakespeare (che mi eccita in modo incomprensibile) in lingua originale - il mio coinquilino spalanca la porta proprio sul  “Non me lo so spiegare, io...” di L.

“Neppure io...” si limita a ribattere Alex e poi aggiunge “pensavo avessimo stabilito che avevi capito l’antifona e te ne stavi andando.”

L è pronto a ribattere e, a questo punto, sono più che certa che il motivo della contesa non sia più Med ma si tratti più che altro di territorialità; per lo meno lo è senza dubbio per L.

Un maschio si è messo in mezzo e ha pisciato su uno dei suoi giocattoli e lui non lo può tollerare; immagino che se Alex non fosse intervenuto, L avrebbe già rinunciato alla mia virtù.

Non avendo alcuna voglia di assistere ad altre manifestazioni testosteroniche, sorpasso velocemente Alex e lo spingo delicatamente indietro, dicendogli:

“Stai buono lì, maschio Alfa” per poi rivolgermi verso L, esasperata “Perché fai tutte queste storie? Non te ne è mai fregato un cazzo di me. Non puoi semplicemente rispariamare ad entrambi la fatica di questa discussione ed andartene?”

“Ma lui...” comincia in risposta indicando Alex ed io lo fermo all’istante.

"Lui niente. Lui non c’entra nulla con me o con te” e alle mie parole percepisco distintamente che il ragazzo alle mie spalle fa un passo indietro e non so per quale ragione.

Ma ora è essenziale che mi sbarazzi di L.

“Basta. Basta, dico sul serio. Ho raggiunto il limite di sopportazione: va a casa, vai a cercarti una ragazza, vai a farti un panino, non mi importa. Vattene e basta. È finita e non ho intenzione di cambiare idea.”

I suoi occhi nocciola brillano ancora una volta per le lacrime e a quel punto perdo seriamente la pazienza: basta con le lagne. Io ho chiuso.

“Abbiamo chiuso.”

E per essere più incisiva, mentre pronuncio il mio distaccato addio, spingo la porta e lo lascio fuori.

Fuori da casa mia. Fuori dalla mia vita. Fuori dal mio cuore.

E mentre penso alla parola cuore mi rendo conto che non fa male: non punge come avrei immaginato. Non c’era posto per quello stronzo nel mio cuore. Ma ora c’è, spero, di nuovo spazio per me. Nel mio cuore.

“Maschio Alfa, eh?” la voce boriosa di Alex mi richiama all’ordine e non riesco a nascondere un sorriso, prima di rispondere con controllato astio:

“Se mi pisciavi anche in testa oltre che attorno avrebbe sentito prima l’odore.”

E lui ride. Ride di gusto. Ride di cuore.

Cuore.

“ Sicura che stai bene?” mi domanda poi accarezzandomi un braccio.

Al contatto sento un brivido che parte dal fondo dello stomaco e il mio corpo si irrigidisce. E lui se ne accorge. Mi scruta e sembra turbato dalla mia reazione: lascia ricadere la mano lungo il fianco e mi osserva.

Non ha capito che la mia tensione non era causata dal fastidio. Lo supplico con lo sguardo di capire che si è sbagliato, ma lui non coglie il mio messaggio silenzioso.

Fa un passo indietro e si allontana.

“È stato divertente, però. Il tuo amico è un codardo.” scherza dirigendosi verso la sua stanza. Quando sta per entrare io lo chiamo e lui si volta nella mia direzione.

“ Grazie, dico davvero.” sussurro con occhi sinceri.

Lui sorride per l’ultima volta e chiude la porta dietro di sé ed io mi ritiro nelle mie stanze, stavolta, levandomi velocemente i vestiti e infilandomi sotto le coperte pronta ad abbandonarmi ad un meritato riposo.

Un riposo che, però, dura meno di quello che avrei voluto perchè poche ore dopo arriva lei: la sete.

Insopportabile, incredibile, mortale sete.

Sono le 2.28 di notte quando il miscuglio di cibo che io e le ragazze abbiamo ingurgitato e l’eccesso di roba salata che mi sono divorata iniziano a manifestare i propri effetti.

Sete. Datemi dell’acqua prima che mi prosciughi come un ruscello in estate.

Prego la mia buona stella che io mi sia scordata la bottiglia d’acqua sul comodino in una delle notti precedenti l'arrivo dei miei amici e inizio a tastare nel buio: ovviamente nessuna traccia di recipienti che plachino la mia arsura.

Senza neppure accendere la luce e prendendo a calci il piumone - come se fosse tutta colpa sua - mi tuffo giù dal mio letto e, ondeggiando come uno zombie (no, stasera non sono per nulla Occhi di Gatto), guadagno l’uscita dalla mia stanza e mi addentro nell’oscurità del resto dell’appartamento.

E, mentre cerco di raggiungere il frigorifero che finalmente mi regalerà quel litro e mezzo di acqua che anelo, sbatto rumorosamente contro qualcosa. Qualcosa di alto. Qualcosa che non dovrebbe essere lì. Qualcosa di morbido. Qualcosa di caldo.

Qualcosa di nudo.

“Ma che...”

“Attenta, Scintilla...”

“Idiota, mi hai spaventato!”

Borbotto prendendo le distanze dal suo petto nudo.

“Sei tu che vai in giro ad occhi chiusi.”

“Che cosa ci fai nel cuore della notte in salotto tutto nudo?”

Alla mia domanda sento che libera una risatina silenziosa e poi il calore del suo corpo è nuovamente in prossimità del mio.

Sete.

“Veramente non sono tutto nudo, ma se vuoi posso provvedere con rapidità...” sussurra sul mio viso e il tono scherzoso è evidente nella sua voce.

“Preferirei che ti spostassi e mi lasciassi arrivare in cucina.” bisbiglio, e sento le sue dita cercare il mio mento e sfiorarmi la pelle.

Sete.

“Perché parliamo piano?”

“Perché è notte.”

E con una piccola pressione dal basso mi solleva il volto: sento il suo respiro solleticarmi uno zigomo e il suo torace sfiorare il mio ad ogni inalazione d’aria.

“E allora? Ci siamo solo io e te qui dentro.”

I suoi polpastrelli abbandonano la mia pelle e all’improvvisa assenza di contatto il mio corpo grida “Sete!”

“Posso andare a bere o hai qualche cosa di rilevante da comunicarmi?” domando mantenendo basso il volume della voce e cercando di costringere il mio corpo ad allontanarsi. Ma è inutile: ha sete.

“Sei più simpatica quando mi supplichi di restare...”

“Che pezzo di cacca.”

“Mi piace quando mi dici le parolacce!” scherza facendo la voce da uomo delle nevi ed io non posso fare a meno di unirmi a lui in una semplice risata.

“Vedi che non sono così odioso?” suggerisce, offrendomi una mano per condurmi in cucina.

“Sei insopportabile.”

“Eh dai, è notte. Fai finta che sia un sogno e che noi siamo due coinquilini normali con un rapporto civile... E che io non ti stia sulle palle."

Impossibile.

“Effettivamente molti dei miei incubi iniziano con uno stronzo semi nudo che mi assale in salotto...” constato, cercando di capire dove stia il suo braccio nel buio.

Sete.

“Perfetto: oltre che maniaco sono anche un assassino nel tuo immaginario. Sono quasi lusingato...” e mi afferra la mano con sicurezza.

Sete.

Ma in questo momento non so più se di acqua o altro.

Con forza le parole di Jules risuonano nel mio sangue.

Tensione. Sessuale.

Ah, no! Proprio no! Col cazzo! rispondo baldanzosa ai miei stessi pensieri che, d’improvviso, assumono la voce di Jules che, ridacchiando, ribatte:

Eh sì, direi col cazzo. Decisamente non con altro.

“Scintilla, non avevi sete?” domanda il mio coinquilino e sento che tira la mia mano verso di sè; io tentenno un secondo - la voce di Jules nella mia testa che ripete il suo mantra di incoraggiamento a liberare la bestia (riferendosi ai miei ormoni) - e poi lascio che mi trascini in cucina. Solo perché ho sete, ovvio.

Poi lui si ferma nel buio ed io sbatto di nuovo contro il suo corpo.

“Med, devo pensare che lo stai facendo apposta?”

“A fare che?”

“A venirmi addosso. È il tuo modo di corteggiarmi?”

“Alex, piuttosto di corteggiare te mi farei fare un piercing all’ombelico da un cane con la rabbia...” rispondo cercando di aggirarlo per raggiungere il frigorifero nell’oscurità e lui si lascia sfuggire una risatina sottile.

“Sei sempre così seducente...” ed è di nuovo a pochi centimetri alle mie spalle. E mi manca l’aria. E, soprattutto, ho sete.

Oh, spazio personale. È chiaro che Alex non ha mai visto Dirty Dancing!

“Baby, quello è il tuo spazio, questo è il mio. Io non entro nel tuo, tu non entri nel mio. Rigide le braccia...”

Il suo braccio destro si allunga accanto alla mia spalla ed io trattengo il respiro; poi la luce del frigo si diffonde debolmente nella stanza ed io socchiudo le palpebre per tollerare l’improvvisa e fredda illuminazione.

“Ne passi una anche a me?” bisbiglia nei miei capelli e io, per combattere il brivido che freme nel mio sangue, faccio un passo in avanti e borbotto: “Serviti da solo...”

Mi sporgo verso i ripiani dell’elettrodomestico e ne estraggo una bottiglietta d’acqua, poi mi volto rapidamente e mi accorgo che i suoi occhi divertiti sono ad un respiro dai miei.

Deglutisco a fatica e recupero il controllo dell’ormone impazzito e, abbassando lo sguardo per stappare l’acqua, domando spazientita:

“Che cazzo Alex, mai sentito parlare di spazio personale?”

“Ti sto dando fastidio?” e il suo torace si appoggia sulle mie mani che stringono - con un po’ troppa forza - la bottiglia, facendo fuoriuscire un po’ di acqua e sento che il suo respiro bollente riscalda l’incavo del mio collo.

Ride alla mia reazione di stupore (sì, chiamiamola così) e, restando immobile, domando:

“Ma cosa fai?!”

“Mi servo da solo...”

Io smetto di inalare aria e lui si ritrae da me, sorride cercando sul mio viso e poi, con irritante supponenza, mi sventola la sua bottiglia d’acqua davanti al naso.

Ormai un’espressione attonita adorna i miei occhi e la cosa sembra procuragli un inebriante piacere, ragion per cui desidero spezzargli il naso; resto immobile un paio di secondi mentre pondero come rispondere, ma lui mi anticipa:

“Io torno a letto. Spero che tu abbia appagato la tua sete.”

Mi rivolge l’ennesimo occhiolino e, con una rapidità degna di un supereroe, svanisce dietro la porta di camera sua.

Appagato?! All’improvviso credo che neppure abbeverandomi direttamente da una fonte naturale potrei placare questa sete (per nulla gradita).

Ricomincio finalmente a respirare a pieni polmoni non appena mi ritrovo sola nel buio e, dopo aver deglutito mezza bottiglia in un unico sorso, torno a rannicchiarmi sotto il mio piumone.

È solo una questione di istinti, unita al fatto che non vengo intrattenuta da un soddisfacente incontro intimo da non so più quanto tempo: è tutta colpa dell’ormone. Starò certamente ovulando. Ecco spiegato tutto.

Sbuffo, lievemente irritata da me stessa, poi mi allungo verso il comodino e afferro il telecomando dello split: e aria condizionata a Marzo sia.

18 gradi basteranno?

Continue Reading

You'll Also Like

23.1K 1.3K 53
Nina,19 anni,dall'argentina all'italia per seguire il suo sogno. Torino,la sua nuova città,cosa succederà in questa sua nuova esperienza di vita?
6.3K 1.3K 39
Londra, fine 800. Ray viene data in sposa a Samuel Harrington, un uomo che non ha mai conosciuto. Si tratta di una transazione di affari che il padre...
192K 6.5K 67
Katherine, bella, forte, impavida, ma con un dolore dentro se stessa che la segue costantemente. E' la ragazza nuova, lei che odia i cambiamenti, lei...
102K 2.6K 47
Due giovani ragazzi, che si sono conosciuti alle medie. Non sono mai andati d'accordo, infatti Camila lo odiava tanto ma lui fingeva di odiarla stran...