SORRIDIMI

By _AmandaMay

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Ci sono persone che sono capaci di affrontare i problemi, altre preferiscono scappare e lasciarseli alle spal... More

Capitolo 1
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Epilogo
BACIAMI

Capitolo 2

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By _AmandaMay

PAIGE

La mattina seguente fu Mia a svegliarmi, quel giorno ci sarebbe stato il discorso del preside, la presentazione delle squadre di rugby, football e basket e le iscrizioni a quella delle cheerleader.

Rimisi gli anelli e mi stropicciai gli occhi. Cercai di sistemare quel groviglio castano che mi ritrovavo ogni mattina in testa e mi alzai dal comodo letto.

Non appena fui davanti allo specchio, la prima cosa che notai furono i miei occhi scuri che emanavano tutta la disapprovazione di quel momento. Poi notai anche il debole accenno di occhiaie ed una riga rossastra sulla guancia: un piccolo regalino del cuscino.

«Paige sbrigati! Abbiamo pochissimo tempo: in sette minuti esatti dobbiamo trovarci fuori e contando che ti devi ancora vestire, lavare e truccare e prendendo in considerazione il fatto che per le scale troveremo quasi sicuramente qualche intoppo, arriveremo tardi!» esclamò sbucando alle mie spalle.

La guardai in malo modo «Sei una perfettina, eh?» sbottai poi.

«Esattamente, e gradirei che si seguissero delle regole dato che dovremo convivere per il resto dell'anno. Una di queste è la puntualità.» affermò con convinzione.

Alzai gli occhi al cielo e le feci un gesto con la mano per mandarla via.

Finii di prepararmi, indossando dei jeans scuri e strappati sulle ginocchia con sopra l'unica canottiera bianca che possedevo e la giacca in pelle nera, dato che quella mattina era abbastanza freddo all'esterno.

Raggiunsi la mia compagna di stanza ed insieme andammo nel luogo dove si sarebbero radunate tutte le matricole.

Il preside era immerso in un discorso patriottico, facendo salire sul palco dei ragazzi, probabilmente i capitani di rugby, basket e football che fecero un lungo discorso di incoraggiamento alle varie squadre. Quando tutta quella perdita di tempo ebbe fine decisi di sgattaiolare via, presi il computer e tornai al mio muretto isolato.

Durante il tragitto, un ragazzo alquanto imbranato mi venne addosso, ma ebbe anche la prontezza -fortunatamente per lui- di prendermi per un braccio per evitarmi una brutta caduta.

Mi rimisi velocemente composta e mi risistemai, inspirando profondamente per cercare di mantenere la calma.

«Dovresti stare più attenta...» mi disse il ragazzo con una voce abbastanza profonda e calma.

Quando lo guardai meglio, notai che fosse uno dei tre ragazzi saliti sul palco poco prima, ma decisi di fare finta di niente e mi limitai a guardarlo in cagnesco.

«Sì, sono il capitano della squadra di basket.» disse dando voce ai miei pensieri.

«Non mi importa.» sbottai con non curanza.

Lo sentii ridere, una risata quasi coinvolgente, che mi fece comparire sul volto una mezza smorfia.

Prima di fare altre figure del genere decisi che fosse arrivato il momento di andare, così mi avviai, senza nemmeno salutarlo, verso il muretto.

Mi ci sedetti sopra ed aprii il computer, accendendolo ed attaccandoci le cuffie. Poco dopo arrivò il ragazzo di qualche istante prima, quella volta non era più solo ma circondato da un gruppo di una decina di altri ragazzi.

Fantastico... pensai alzando gli occhi al cielo.

«Ciao, Mousse.» ammiccò poi verso di me.

Rimasi immobile a pensare a ciò che aveva appena detto. Mi aveva chiamata Mousse? Per quale motivo?

Anche se, in fondo, non ero certa che stesse parlando proprio con me, quindi rimasi zitta e continuai a fissare lo schermo del mio computer.

Ma il ragazzo evidentemente non colse l'antifona, e si sedette con un salto atletico a fianco a me costringendomi a spostarmi un po' per evitare di stargli appiccicata, ma un suo amico fece la sua stessa ed identica cosa dall'altra parte, facendomi sobbalzare.

«Non vorrai mica scappare, Mousse...» ridacchiò.

Sentii il suo respiro sul collo e per poco non persi l'equilibrio. Mi ripresi con uno schiarimento della voce, poi parlai «Senti... non so cosa tu voglia da me, ma di certo non l'avrai.» dissi senza nemmeno guardarlo e tenendo lo sguardo fisso sul mio PC.

Sentii uno dei ragazzi deridere l'amico ancora scioccato da ciò che gli avevo detto.

«Avanti... nemmeno il numero di cellulare? Potrei farti cambiare idea se decidessi di venire dieci minuti da me.» mormorò al mio orecchio.

Chiusi il portatile, scioccata ed inorridita, e mi decisi a guardarlo negli occhi color caffè.

«Ora io vado via.» scandii bene, come si fa con i bambini piccoli per far capire loro qualcosa.

Detto quello, girai i tacchi e me ne andai a cercare un posto tranquillo. Per strada incontrai Mia che parlava con altre due ragazze. Mi avvicinai cautamente a lei e la salutai.

«Oh, Paige... non ti ho più vista prima, comunque loro sono la mia cara amica del liceo, Taylor, e mia cugina Renae.» indicò prima la ragazza più bassa, con lineamenti orientali, pelle d'orata e lunghi capelli lisci e neri, successivamente quella più alta con il viso incorniciato da ricci di un rosso quasi castano ed occhi grandi e verdi.

«Paige.» dissi porgendo loro la mano, che strinsero sorridenti entrambe.

«Come vi trovate per ora qui al campus? È bello come posto non è vero?» domandò Taylor sistemandosi la borsa a tracolla sulla spalla.

«È carinissimo... ah, Paige, senti: noi avremmo pensato di andare a mangiare fuori questa sera, ti unisci, vero?» mi chiese Mia, guardandomi speranzosa.

Acconsentii con un sospiro ed un cenno del capo. Tanto non avrei fatto nulla di davvero emozionante in camera, quindi perché non avrei dovuto accettare?

«Fantastico! Poi ci saranno anche il ragazzo di Tay ed alcuni dei suoi amici.» spiegò felice.

Mi mostrai entusiasta, ma sinceramente tutto ciò che era nei miei pensieri era 1. chiamare a casa e 2. mangiare. Sì, avevo delle alte priorità nella mia vita.

Mi incamminai verso i dormitori per riposizionare il PC e indossare una felpa, ma venni subito fermata da Mia.

«Che fai, Paige? Perché non stai con noi?» chiese inarcando un sopracciglio.

Le mostrai il portatile ed indicai la finestra della nostra stanza, come se fosse ovvio il mio intento.

«Oh, dai ti accompagniamo così poi diamo come punto d'incontro la nostra stanza. Tay, di' a Brad di venire qui per le tre più o meno. Dovremmo essere pronte per quell'ora.» disse la bionda al mio fianco.

Decisi di non ribattere, anche se il fatto di dover ospitare troppe persone in camera mia -anche se per metà- non mi andasse davvero troppo a genio.

Arrivata in stanza misi il computer nella sua custodia, il cellulare sul comodino e mi buttai sul letto portando le mani dietro la nuca e cacciando via le scarpe.

Taylor e Renae si sedettero accanto a Mia e mi fissarono tutte e tre con sguardo inquisitorio, come se avessi fatto qualcosa di alquanto strano.

«Che avete da guardare tanto?» domandai un tantino scocciata.

«Non cominci a prepararti?»

«Dovrei? In fondo mancano ancora due ore.» constatai con una scrollata di spalle.

In quel momento, un pensiero fisso mi balenò in testa: la tv.

Mi guardai attorno cercandola, e quando aprii un moblietto che stava proprio in fondo al mio letto la trovai ed esultai mentalmente.

Cercai tra tutte le cose che avevo nell'unica valigia che ancora non avevo disfatto e vi trovai all'interno la mia PlayStation.

Grazie a Dio, pensai, mi sono ricordata di metterla in valigia.

Sì lo so, sembra strano viaggiare con una PlayStation in valigia, ma i videogiochi erano una delle mie passioni e quando non sapevo cosa fare giocavo un po', solitamente con i miei fratellini.

«Non penserai davvero di giocare, spero: dobbiamo cominciare a prepararci, non possiamo permetterci di presentarci ai ragazzi conciate come delle ragazze che chiedono l'elemosina in mezzo ad una strada.» bofonchiò Mia.

«Cominciate pure senza di me, me ne farò una ragione.» commentai sarcasticamente.

Poi pensai all'opzione di presentarmi in tuta, con le infradito e gli occhiali -che usavo solo per leggere- come la protagonista di un romanzo che avevo letto quell'estate.

Dopo una scrollata di spalle, cominciarono a vestirsi, truccarsi, sistemarsi i capelli, mentre io ero concentratissima a non fallire una missione di GTA. Quando notai che erano quasi le tre, mi decisi ad alzarmi, mettendo in pausa il gioco per evitare di ricominciare tutto da capo. Cercai nell'armadio qualcosa da mettermi ed optai per un paio di jeans scuri ed attillati con sopra una camicetta che lasciava scoperte le spalle ed una giacca in pelle nera. Misi ai piedi le Vans nere e fui pronta. Meno di dieci minuti, signore e signori.

Mentre aspettavo decisi di riprendere la mia partita, che riuscii a continuare solo per un breve lasso di tempo perché bussarono alla porta. Mormorai un "avanti" distrattamente e mi concentrai sulla mia missione: stavo per investire una vecchietta con la mia nuovissima auto rossa.

Mia sbucò dal separé che aveva nella sua parte di stanza: aveva un occhio truccato, mentre l'altro era ancora a metà ed i capelli ancora spettinati.

«Ehi Brad! Tay si sta vestendo, quando ha finito arriva intanto tu puoi aspettare qui. Ah, lei è Paige.» mi presentò.

Gli diedi poca importanza, ma per essere un minimo cordiale, accennai un cenno con il capo in segno di saluto.

Lui si sedette accanto a me senza neppure chiedermi il permesso e questo suo comportamento sfacciato, devo ammettere, mi spiazzò abbastanza.

«Tu sei Mousse.» affermò senza mezzi termini.

Quel suo tono mi obbligò a mettere in pausa il gioco per la seconda volta ed a voltarmi verso di lui «Senti, ho un nome e gradirei che si usasse quello... se proprio c'è la necessità di parlarmi.» sbottai.

Ma lui non batté neppure ciglio, anzi, piegò leggermente un lato della bocca all'insù.

«Ti troverai bene con noi.» disse poi.

Non capii né il motivo né il senso di quella frase, ma decisi di non controbattere e di terminare la mia partita.

Brad mi osservò giocare fino a che non uscì la sua ragazza, seguita dalle due amiche. Quando le vidi, un pezzetto della mia autostima si staccò ed un pizzico di insicurezza si instaurò dentro di me. Quella nuova sensazione mi dava la nausea ed il motivo era semplice: loro erano bellissime, tirate a lucido per la giornata e la serata che ci aspettava e con un grande sorriso sulle labbra. Io, be', io ero l'esatto opposto di loro: vestita come al solito, con il mascara ancora di quella mattina e l'espressione facciale che solitamente viene associata ad un carcerato.

Quel momento di esitazione, però, cessò nell'istante in cui ripensai che il mio scopo in quel college era solo ed esclusivamente lo studio, e che non appena avessi finito sarei ritornata in Australia dalla mia famiglia. Non potevo permettermi di relazionarmi con troppe persone. Amare è distruggere, per citare il protagonista di una delle mie saghe preferite.

«Pronte? Gli altri ci stanno aspettando giù.» ci comunicò Brad, spostandosi verso la porta, impaziente di uscire.

Uscimmo e chiudemmo la porta a chiave per poi scendere ed uscire all'esterno. Tirava ancora un bel po' di arietta fresca, così mi strinsi all'interno della giacca. Ero tentata di isolarmi da tutto e tutti e mettermi le cuffie alle orecchie, ma mi sembrava esagerato, così evitai e preferii mettere le mani in tasca.

Ad aspettarci all'esterno erano altri due ragazzi, ero sicura di averli già visti: il primo era alto, con i capelli rossicci e gli occhi verde smeraldo, una corporatura troppo massiccia per un ragazzo di vent'anni e proprio quando pensai quello, ricordai dove l'avevo visto per la prima volta: quel ragazzo era il capitano della squadra di rugby. Il secondo ragazzo invece era più basso, stessa corporatura ma biondo con occhi azzurro cielo.

«Lui è Elias, viene da Amburgo, mentre lui è Chad, lui è l'unico del gruppo ad essere veramente inglese.» Brad mi presentò i due ragazzi e dovetti ammettere che non erano niente male...

«Lei è Paige.» spiegò loro.

Ricordai di aver visto entrambi i ragazzi insieme a quell'altro sciroccato che mi chiamava costantemente Mousse.

«Alec ci raggiunge a cena, intanto andiamo a fare un giro.» spiegò Chad.

Quando il gruppo cominciò a camminare, mi aggregai restando in fondo, sentendomi per un istante a disagio ed estraniata dai loro discorsi.

Decisi di chiamare Kayla e di raccontarle come fossero andate le cose.

Ci mise un po' a rispondere e mi ricordai solo quando la sentii parlare che da loro era mezzanotte.

«Ehi Paige, come va al college?» chiese e mi immaginai che si stesse stropicciando gli occhi in quel momento.

«Non volevo svegliarti, è che qua è tutto così strano, devo abituarmi al fuso orario ed a essere circondata di gente.» le spiegai «Proprio ora sto uscendo con... non so come definirli, non credo siano propriamente miei amici.»

«Amici, nel senso... dei ragazzi?» chiese curiosa.

«Anche.»

«Ce n'è qualcuno carino?»

«Preparati, c'è un rosso tutto per te.» ridacchiai, abbassando il tono di voce per evitare che il diretto interessato mi sentisse.

«Davvero? Giura! Guarda che se scherzi mi metto a piangere!»

Risi forse un po' troppo forte, perché tutti si voltarono a guardarmi. Cercai di fare finta di nulla e tornai a parlare con Kayla.

«Te lo giuro, è proprio qui davanti a me.» mormorai.

«Con chi stai parlando?» il ragazzo in questione mi si avvicinò di soppiatto, facendomi sobbalzare per lo spavento.

«Con una mia amica.» risposi.

Lui mi prese il cellulare di mano e se lo portò all'orecchio.

«Ehi bella, scusa ma la tua amica ora è impegnata con-» si bloccò crucciandosi.

Sentii Kayla dall'altra parte parlare e ridere e successivamente anche il rosso rise con lei.

Quando mi passò il cellulare accennò un sorriso «È simpatica la tua amica.» disse per poi raggiungere Brad e Elias.

«Complimenti Kayla: sembra proprio che tu abbia fatto colpo. Cosa gli hai detto?» domandai, abbastanza curiosa.

«Nulla di che, semplicemente che mi sembrava strano che una come te fosse impegnata a socializzare, ma che nonostante questo tuo difetto, ti voglio bene comunque.»

Sospirai alzando gli occhi al cielo.

«Sei fortunata che abbiamo chilometri e chilometri di distanza che ci separano, Kayla. Ora devo andare a "socializzare"... ci sentiamo.» e, con la sua risata in sottofondo, chiusi la chiamata e rimisi il cellulare nella tasca dei jeans.

Poco dopo, Renae mi si avvicinò, fissandomi insistentemente come se avesse voluto dirmi qualcosa, ma avesse paura di parlare.

«Non ti mangio.» le dissi senza alcuna espressione particolare, il che, lo ammetto, poteva mettere un tantino nel panico una ragazza che non voleva fare nulla di male.

«No, io non è che... cioè, volevo solo chiederti se ti stessi divertendo per ora con noi...» balbettò, quasi mi venne da sorriderle per la sua tenerezza... quasi.

«È tutto okay.» dissi piano, guardando avanti a me.

«Posso farti una domanda?»

Annuii e le feci cenno di continuare.

«Perché parli sempre così poco o cerchi di estraniarti dalle conversazioni? Per la tua famiglia, per-»

«No, nulla del genere, semplicemente non trovo utile avere amici...» le dissi scrollando le spalle.

«Un amore non corrisposto?» continuò senza ascoltarmi.

Quasi mi bloccai in mezzo alla strada quando sentii quelle parole. Ebbi un tuffo al cuore nel momento in cui ripensai a qualche anno prima, quando cominciai la prima al liceo, ed ero così emozionata che la mattina mi svegliai alle cinque e a scuola mi ero subito fatta un'amica: Kayla. Ero felicissima di essere in quel posto e non appena vidi Tyson, cominciai ad avere solo lui in testa. Capii solo settimane dopo di esserne innamorata, ma non avevo minimamente il coraggio di dirglielo, così ogni volta che potevo lo guardavo da lontano. Al secondo anno ero pazza di lui, ormai se n'erano accorti tutti, persino il ragazzo, ma dato che lui era "quello popolare", sapevo che non avrei mai avuto possibilità.

Che ingenua che ero...

Lo ero a tal punto che quando mi chiese di uscire, al terzo anno, non esitai a dire di sì e feci lo sbaglio più grande della mia vita: mi lasciai fare qualsiasi cosa lui avesse voluto farmi. Andammo a letto insieme, pensavo che stesse andando tutto a meraviglia, ma mi sbagliavo: il giorno dopo, quando mi svegliai, lui non c'era. Sul letto c'era il mio cellulare acceso e c'era un video che aspettava solo che io lo facessi partire.

Esitai ma lo feci e quello che vidi mi spezzò non solo il cuore, ma anche l'anima, e macchiò il mio orgoglio. Era il video di quella notte, di tutto ciò che avevamo fatto.

Inviato da Tyson Bills.

Venni a sapere che quel video l'aveva mandato non solo a me, ma all'intera scuola.

Ero talmente indignata che non uscii più di casa, persi il contatto con tutti, tranne che con Kayla. Ogni giorno mi arrivavano messaggi derisori, così cambiai anche numero.

Quel college sarebbe stata la mia nuova vita. Avrei potuto benissimo scegliere l'Università di musica più vicina alla mia città, ma dovevo assolutamente andarmene da lì, il più lontano possibile sarei stata da Tayson, più sarei stata meglio. Lì a Brighton nessuno mi conosceva e nessuno conosceva il mio passato, ma soprattutto, nessuno l'avrebbe mai saputo. Era tutto perfetto.

«No, nulla del genere.» negai e mi sorpresi nel sentire il mio tono stranamente tranquillo.

«Be', qualcosa deve essere successo: nessuno è mai così introverso per sua volontà.»

«Piacere, sono "nessuno".» e detto quello aumentai il passo, per evitare quell'argomento.

Quando lo feci, Elias mi guardò subito con un sopracciglio inarcato, forse chiedendosi il perché di quel comportamento.

Evitai il suo sguardo e continuai a camminare, mantenendo le mani nelle tasche della giacca.

Arrivammo ad un locale poco lontano dall'Università, era molto carino, si chiamava Apocalypse. Appena entrammo, comparve un signore sulla cinquantina che ci sorrise.

«Ragazzi, dove volete accomodarvi?» ci chiese «Al solito posto di sopra?»

Chad annuì e ci fece strada. Salimmo delle scale a chiocciola ed arrivammo ad un corridoio decorato con varie scritte nere su sfondo bianco.

Quando la porta davanti a noi venne aperta, si mostrò un terrazzino con un paio di tavoli, delle rampicanti che salivano sulla parete e dei vasi con dei fiori su ogni tavolo.

Ci sedemmo ed ordinammo qualcosa da bere. Ero tra Mia ed Elias e, mentre il gruppo parlava di ciò che aveva fatto durante l'estate, io mi limitavo a guardarli divertirsi.

«E tu? Che cos'hai fatto durante l'estate?» mi chiesero poi.

Mi misi sull'attenti e ripensai a quell'estate.

«Nulla di particolarmente emozionante.» dissi infine.

«Oh, avanti! Non dirmi che sei stata chiusa in casa per più di tre mesi!» esclamò Mia.

«Più o meno è così, invece.» sentenziai.

La porta si spalancò proprio in quel momento.

«Cos'è questo mortorio? Ragazzi, avanti!» esclamò il ragazzo che si avvicinò a noi.

«Ciao, Mousse.» mi salutò poi, come se fossi una sua vecchia amica.

Prese una sedia e si mise a cavalcioni su di essa, tra me e Mia.

Alzai gli occhi al cielo per il nomignolo datomi, ma evitai di ribattere.

«Alec, ce ne hai messo di tempo, pensavo non arrivassi più.» sospirò Renae. Notai un luccichio nei suoi occhi non appena vide il ragazzo.

«Scusate, ma dovevo sistemare delle cose in camera...» rispose vago «Di che cosa si parlava?»

Fu Taylor a rispondergli «Parlavamo di Paige: dice di non aver fatto nulla quest'estate.»

Il ragazzo mi guardò come se avessi commesso un crimine «Vorresti dire che non sei andata a delle feste, uscita di casa o cose simile?»

Era sconcertato quando gli dissi di no.

«Mousse, questa sera verrai con noi. Niente storie.» affermò serio.

«Dove dovremmo andare questa sera?» chiesi perplessa.

Lui sorrise in un modo quasi inquietante «Faremo la più grande festa che ci sia mai stata in questo college.»

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