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By indigosnostalgia

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Ho ancora lo sguardo basso, rivolto verso l'ร ncora tatuata sul polso di Harry e sorrido. Sorrido alla vista d... More

cast
capitolo 1
capitolo 2
capitolo 3
capitolo 4
capitolo 5
capitolo 6
capitolo 7
capitolo 8
capitolo 9
capitolo 10
capitolo 11
capitolo 12
capitolo 13
capitolo 14
capitolo 15
capitolo 16
capitolo 17
capitolo 19
capitolo 20

capitolo 18

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By indigosnostalgia

La nostra coincidenza per la Florida è in ritardo; la voce meccanica che scaturisce dagli altoparlanti della sala d'attesa è forte e chiara. Non capiamo male, il volo numero 95763 con destinazione Orlando, Florida, subirà un ritardo di due ore a causa di una forte perturbazione.

Louis si passa una mano sul viso solo per alzarsi dalla poltroncina sulla quale è seduto da oltre quaranta minuti; digita qualcosa sullo schermo del cellulare, portandoselo poi all'orecchio e allontanandosi.

Harry sbuffa, chiaramente infastidito ed io non sono da meno: non c'è niente che possiamo fare per cambiare le cose. Siamo tutti stanchi e nervosi e sono piuttosto sicura che Louis si sia allontanato per evitare di attirare troppo l'attenzione su sé stesso e noi altri.

Già lo immagino addossare la colpa alla sua segretaria per averci prenotato un volo con uno scalo, anziché uno diretto.

Harry si guarda intorno ed io seguo il suo sguardo, notando che anche il resto delle persone sta facendo le stesse cose: chi sbuffa, chi impreca e chi come Louis è al telefono. C'è comunque troppo movimento ed io ho un mal di testa martellante da quando siamo scesi dall'aereo.

Harry controlla velocemente qualcosa sul suo iPhone e quando incontra il mio sguardo, mette su un leggero broncio al quale non posso fare a meno di sorridere.

Louis ci raggiunge qualche minuto più tardi, sedendosi nuovamente sulla poltroncina accanto ad Harry. Ha il viso contratto e traffica con la cerniera del suo bagaglio a mano solo per estrarre il suo fidato MacBook; Harry scuote la testa, divertito dalla reazione dell'amico.

«Lou, vuoi qualcosa da bere?» Harry si alza lentamente, ma Louis scuote la testa, digitando velocemente sulla tastiera.

Harry si liscia le pieghe dei jeans, tendendo poi una mano verso di me con un seguimi stampato in volto. Non dico niente a Louis, ho persino paura che possa urlarmi contro qualcosa e anche se potrebbe divertirmi parecchio, non vorrei certo farlo innervosire ulteriormente.

Harry intreccia velocemente le sue dita alle mie, sono più fredde del solito; non ho idea di dove abbia intenzione di andare, ma lo seguo. Superiamo un paio di chioschetti di caffè, ma Harry di fermarsi non ne ha l'intenzione perché continua il suo percorso.

«Dove stiamo andando?» Harry mi indica qualche tavolino poco più avanti.

«Il più lontano possibile da Louis e dalla sua ira.»

«Credi che abbia già licenziato la sua segretaria?» Harry mi si accomoda di fronte, alzando gli occhi al cielo pensieroso.

«Senza alcun dubbio.» Si stringe nelle spalle e il suo iPhone vibra sul bordo del tavolo. Lui però lo silenzia in fretta, voltandolo sottosopra e ignorandolo del tutto.

Una ragazza con un grazioso grembiulino rosa ci si avvicina, domandandoci gentilmente se desideriamo qualcosa da bere o da mangiare. Harry scuote la testa, rifiutando con educazione, mentre io ordino un caffè lungo, molto lungo; di ritorno, la cameriera mi avvisa di fare attenzione perché è fin troppo bollente.

Harry è di poche parole ed io non sono in grado di dire se per via della stanchezza o se per un motivo a me del tutto ignaro; il suo telefono vibra di nuovo e di nuovo, Harry lo ignora. Tra i capelli si è arrotolato la sua solita bandana verde militare, in perfetta sintonia con i suoi occhi; la camicia leggermente aperta sul petto lascia intravedere le due rondini tatuate. Ha il viso contratto e persino un leggero accenno di barba.

L'espressione si distende quando si accorge che lo sto guardando. Fa un breve cenno con il capo prima di alzarsi e tendermi nuovamente le mano. Sono confusa quanto prima, ma accetto di nuovo di seguirlo, portando con me il mio caffè.

Harry intreccia velocemente la sua mano nella mia, percorrendo l'ennesimo corridoio: questo è pieno di vetrate e senza volerlo, sono io a condurre il percorso. Harry mi lascia fare, ma non andiamo poi molto lontano perché davanti a una vetrata c'è una poltroncina lunga sulla quale è possibile sedersi.

Deve aver intuito le mie intenzioni perché è lui il primo a prendere posto ed io mi siedo al lato opposto di essa; sono schiena contro il muro, così da poterlo guardare dritto negli occhi. Le sue gambe sono più lunghe rispetto alle mie ed entrambi siamo costretti a portarci le ginocchia al petto per stare un po' più comodi.

Harry mi ruba il caffè dalle mani, avvicinandoselo alle labbra e arricciando il naso al primo sorso; il suo iPhone vibra per quella che ho contato essere la terza volta, ma di nuovo Harry lo ignora, stringendo persino le labbra, quasi frustrato.

Vorrei davvero chiedergli perché si stia comportando in questo modo, ma evito di farlo perché se solo Harry avesse voluto farne parola con me, lo avrebbe già fatto; fuori il cielo è grigio e le gocce di pioggia punteggiano quasi totalmente la vetrata. La voce di Harry mi deconcentra.

«Sei preoccupata?» Il suo tono è sempre calmo e pacato, ma quando mi volto, l'espressione dipinta sul suo viso lo tradisce; il telefono continua a vibrargli nella tasca dei jeans stretti che indossa.

«Non proprio» replico in fretta, riprendendomi il caffè. «Voglio solo che questa storia finisca, ho bisogno che questo peso che ho sullo stomaco sparisca una volta per tutte.»

«Anche io.» Harry però non sembra ascoltare del tutto le mie parole, è distratto e si morde appena il labbro.

«Sei stanco? Vuoi tornare da Louis?» Annuisce comunque, spostandosi la bandana dai capelli per scompigliarseli appena.

La mano me la tende di nuovo, ma non si alza: ha risposto solo alla prima domanda. Torno a guardare fuori e per la prima volta, sono contenta che non abbia poi così tanta voglia di parlare.









Ho il collo indolenzito, il mio aver cercato di dormire con la testa posata sulla spalla di Harry per stare più comoda non si è rivelata poi una grande idea. In taxi non faccio altro che muovere il capo a destra e a sinistra, peggiorando però la situazione e provocando le risate di Louis quando sbuffo sonoramente. Gli rivolgo un'occhiataccia alla quale non può fare altro che rispondere con un'occhiolino; del Louis nervoso e scontroso non c'è più traccia, ci ha abbandonati non appena siamo saliti sull'aereo.

Harry è seduto davanti e sorride nello specchietto retrovisore quando Louis mi propone un massaggio al collo, che rifiuto scansandogli la mano. Louis si finge persino offeso ed è pronto a ribattere, ma il suo cellulare squilla insistentemente; fuori il sole è caldo e il cielo di un azzurro terso. Sarà difficile lasciare di nuovo tutto questo.

La strada che ci porta verso il quartiere di Evan mi è familiare come non mai, anche se il taxi ha deviato più volte per via del traffico; non è cambiato niente durante gli ultimi mesi, non succede mai. Abbasso appena lo sguardo quando passiamo davanti al mio appartamento; Louis e Harry non hanno idea di dove io abiti, ma gli apprezzamenti sul luogo li sento eccome. Non ho mai visto la casa di Louis, ma quella di Harry e della sua famiglia non ha niente da invidiare al circondario.

Il numero civico 450 è più vicino del previsto e tutti e tre scendiamo dal taxi qualche momento più tardi; è Louis a pagare la corsa, dicendomi persino di chiudere la bocca quando mi propongo di pagare la mia parte. Harry scoppia a ridere, tirando giù i bagagli: Louis ha con sé un piccolo trolley professionale, Harry un borsone di pelle nera.

Sono io a fare strada, tirando fuori il doppione delle chiavi di Evan dalla borsa; la serratura scatta e tengo aperto il cancello perché sia Louis che Harry possano passare. Louis sobbalza quando Jackie, la cagnolina di Evan, ci accoglie sul vialetto. Raggiungo mio fratello quasi di corsa, stringendolo in un abbraccio; il telefono di Louis squilla di nuovo e scusandosi, si allontana per rispondere.

«Papà...»

«Nel suo studio.» Evan non mi dà poi troppo tempo di porre quella domanda; voglio sapere di Josh, ma non lo faccio.

Quando Louis torna verso di noi, i suoi occhi non sono poi più così vispi come al solito, due piccole ombre scure si fanno spazio sul suo viso.

«Era il Comandante Connor» Louis agita il suo iPhone che ancora tiene tra le mani ed io quasi sussulto. «Dice che vuole vedermi, ma sono così stanco da non avere la minima idea di come poterci arrivare.»

Evan gli offre un passaggio perché stava comunque uscendo per andare in ufficio; Louis recupera in fretta il portatile e alcuni documenti dal trolley. Quando la mano di Harry abbia trovato la mia non saprei proprio dirlo.

«Hai bisogno di noi?» Chiede velocemente Harry, ma Louis scuote la testa, regalandomi poi un occhiolino.

«Non è necessario.» Replica educatamente e Harry annuisce.

Non appena Evan e Louis chiudono la porta alle nostre spalle, mi ritrovo a buttare fuori tutta l'aria che non mi ero nemmeno accorta di trattenere; Harry sorride quando mi porto entrambe le mani sul viso.

Voltandomi, non lo trovo più al mio fianco, ma dietro di me, con le braccia strette intorno alla vita. Il suo mento è fermo sulla mia spalla, il respiro mi sbatte contro la pelle del collo; chiudo gli occhi, rilassandomi contro il suo petto e le mani ferme sui suoi avambracci. Mi volto poi velocemente, cogliendolo di sorpresa perché Harry sobbalza quando gli bacio le labbra; so che è stanco perché lo sono anche io.

«Credo di aver bisogno di una doccia.» Mormora Harry, stiracchiandosi rumorosamente.

«Ti va di accompagnarmi a casa?» Glielo chiedo con semplicità, come se fosse una normale conversazione.

Harry resta interdetto per qualche secondo prima di portarsi una mano tra i capelli e annuire; la bandana che portava tra di essi gli penzola ora dalla tasca posteriore dei jeans. La poca strada che dobbiamo percorrere la facciamo a piedi e non mi dispiace; Harry mi cammina accanto, guardandosi attorno come un turista con il proprio bagaglio sulla spalla.

Il mio appartamento dista appena dieci minuti da quello di Evan, ho già le chiavi strette in mano; Harry lascia che io apra il cancello e la serratura di casa scatta due volte. L'odore di chiuso mi arriva dritto al naso; non è cambiato niente, ma mi guardo comunque intorno.

«Benvenuto a casa.» Mormoro soprappensiero; le labbra di Harry si curvano in un sorriso, poi annuisce.

«Grazie.» Replica e questo scatena in me una risata dovuta più alla stanchezza che al reale divertimento.

«Il bagno è qui accanto, l'acqua calda dovrebbe funzionare senza problemi.» Gli indico la porta bianca in fondo al corridoio, entrando poi nella mia vecchia camera da letto; Harry vi posa sia il suo borsone che il mio bagaglio a mano.

Mi chiede di nuovo il permesso di poter usare la doccia ed io mi siedo sul bordo del mio stesso letto solo quando il primo getto d'acqua riecheggia nel silenzio dell'appartamento; prendo un lungo respiro, lasciandolo andare solo dopo parecchi secondi.

Sul comodino alla mia sinistra c'è una vecchia foto di famiglia: nemmeno lì è cambiato niente, tutto è come dovrebbe essere. Papà sta sorridendo e tiene un braccio intorno alle spalle di mia madre. Anche lei sorride e la sua mano è ferma sulla mia di spalla; la sento quasi sulla pelle, tanto da abbassare persino lo sguardo.

Non c'è, però un pizzicore sul costato mi ricorda che lei è lì tanto quanto dentro al mio cuore e va bene così. Deve andare bene così.

Harry è veloce nel fare la doccia e neanche dieci minuti più tardi mi ha già raggiunto. Indossa una camicia leggera e i suoi capelli sono ancora umidi; la cornice la poso quando mi si ferma di fronte, però la indica con un cenno del mento.

«Posso?» Me lo chiede quasi timidamente, così annuisco e gliela porgo. «Le somigli moltissimo.»

«Già» replico, con un sorriso velato di tristezza. «Grazie.» Mormoro poi, quando Harry mi si siede accanto, posando la cornice al suo posto.

Sono io ad alzarmi per dirigermi in bagno ed io ci resto molto più tempo rispetto ad Harry, tanto che al mio ritorno lo trovo sdraiato e con gli occhi chiusi. Il suo respiro è lento e regolare: si è addormentato.

Non voglio svegliarlo e mi sdraio al suo fianco più silenziosamente possibile, guardandolo qualche secondo prima di voltarmi e dargli le spalle. Chiudo gli occhi sospirando forse più rumorosamente del previsto perché Harry si muove appena e mi cinge i fianchi con il braccio. Non so se sono stata io ad avvicinarmi al suo petto o se sia stato lui stesso a tirarmi verso di sé. In questo momento non m'importa di nulla, mi sento di nuovo a casa. 

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