Edith
Tenevo quella fotografia stretta tra le mani tremolanti.
L'avevo analizzata ormai troppe volte. Avevo fatto saettare i miei occhi su tutta la superficie ricoperta dalla polvere e avevo studiato l'intera immagine.
Non stavo capendo.
Volevo dannatamente comprendere, ma non riuscivo a dare delle risposte alle innumerevoli domande che mi stavo ponendo. Non ricordavo di aver mai scattato quella fotografia e, inoltre, dai vestiti che indossavo non sembravo neanche io.
Indossavo dei semplici capi mondani. Niente corona, niente perle, niente abiti lunghi e appariscenti, niente tacchi. Solo una camicia infilata in una lunga gonna rattoppata.
I capelli lunghi mi accarezzavano la schiena e un sorriso ampio era disegnato sul mio volto, uno di quelli che non facevo da tanto tempo e non credevo di essere capace di fare più.
Ero felice in quell'immagine; lo ero con i miei amici e con Azrael al mio fianco. Sembrava tutto troppo perfetto, però. Così tanto perfetto e surreale che mi provocò un senso di nausea.
«Edith...» sussurrarono contemporaneamente due voci dietro di me.
Mi voltai senza smettere di stringere la fotografia tra le mani. Alle mie spalle, incontrai le figure di Iria e Azrael.
«Che cosa significa?» domandai rivolta all'angelo, incurante della ragazza al suo fianco.
Il sollievo che provai nel vedere Iria in piedi e stare bene venne completamente sovrastato da una furia implacabile.
L'angelo, alle mie parole, abbassò lo sguardo sulla mia mano e, non appena vide la fotografia, sgranò gli occhi. Ero andata lì per incontrarlo e per seguire il consiglio di Nathan. Volevo rivelargli ciò che davvero provavo per lui. Ma, in quel momento, non mi importava più.
«Che cosa significa questa fotografia, Azrael?» domandai con lo sfinimento evidente nella voce.
Perché ero stanca di essere costantemente impossessata da sentimenti negativi. Ero stanca della rabbia, della tristezza, della malinconia.
Iria uscì seguita da Mike e Chris, lasciandomi da sola con la Morte.
«Ti posso spiegare...» provò a giustificarsi l'angelo.
«Allora fallo, spiega, perché sono stanca. Sono tremendamente stanca, Azrael. Spiegami cos'è questa fotografia e spiegami come mai non sembro neanche io» affermai avvicinandomi a lui. «Spiegami, ti prego...» continuai supplichevole.
***
Azrael
La guardai lì, inerme davanti a me, con quella fotografia tra le mani. Speravo che quel momento non arrivasse mai, ma ormai non avevo altra scelta. Così iniziai a raccontarle la verità; una storia, la nostra storia.
«Il giorno in cui venisti da me per chiedermi aiuto non fu il nostro primo incontro. Io ti conoscevo già, come conoscevo Nathan, Mike, Chris e Iria. Vi avevo incontrati nelle vostre vite passate...» esordii, per poi sedermi sulla poltrona che si trovava nella stanza. Non riuscivo a guardarla negli occhi, non potevo. «Quella foto l'abbiamo scattata per immortalare quel momento insieme. Quando siete morti, però, l'ho custodita io.»
«Dimmi la verità: quali erano i nostri rapporti?»
«Mike e Iria erano fratelli, tu e Nathan eravate migliori amici, Chris e Iria erano sposati e noi due...»
«Noi due?»
«Noi due stavamo insieme, mia regina.»
E, a quelle parole, la donna che amavo lasciò cadere la fotografia a terra.
Solo in quel momento alzai lo sguardo su di lei e, se avessi avuto un cuore, si sarebbe spezzato. Ogni parola che fuoriusciva dalle mie labbra, per lei e per me, era una dolorosa coltellata.
«Quindi è per questo che mi hai aiutato? Perché in una vita che io neanche ricordo stavamo insieme?» domandò con una nota d'ira nella voce.
Come potevo darle torto? Aveva tutto il diritto di essere arrabbiata con me. Volevo rivelarle ciò che provavo realmente, ma solo in quell'istante capii che sarebbe stato uno sbaglio.
Perché io preferivo che mi odiasse. Preferivo che non mi parlasse e che mi uccidesse con i suoi meravigliosi occhi. Avrei preferito che mi infilzasse con una spada ancora, ancora e ancora, ogni volta che la ferita si rimarginava; che mi detestasse, piuttosto che morisse davanti ai miei occhi di nuovo.
Perché vedevo quell'immagine ogni volta che chiudevo le palpebre. E io non potevo vederla decedere, perché la amavo.
Amavo Edith De Maris, la regina del Regno del Nord, e la amavo più di quanto potessi amare l'Edith di secoli prima. Amavo la donna che in quel momento mi fissava in cerca di una risposta. Amavo il modo in cui si prendeva cura del suo popolo, la tonalità che i suoi occhi assumevano sotto i raggi del sole e le nuvole del suo regno, il suo sorriso e, ancor di più, quando la facevo sorridere io.
Amavo i suoi capelli simili all'oscura notte che mi circondava, amavo vederla rilassata mentre suonava il violino e amavo accompagnarla con il pianoforte.
Io la amavo, ma non potevo farlo.
«Sì, Edith» replicai, cercando di sembrare indifferente, quando avrei voluto solo urlarle di no.
Non l'avevo aiutata solo perché stavamo insieme nella sua vita precedente, ma perché sapevo quanto desiderasse rivedere suo padre.
All'improvviso, vidi una lacrima rigarle la pallida gota, ma l'asciugò con una mano. «Beh, allora non c'è più bisogno del tuo aiuto. Ieri ho parlato con tua sorella e abbiamo chiarito. Non voglio più vederti, Azrael» sentenziò con tono di voce piatto, per poi teletrasportarsi via.
Sospirai e mi alzai, colto da un impeto di rabbia, quindi buttai giù l'intero scaffale che conteneva svariate pozioni.
Avevo rovinato tutto.
E tra i cocci che ormai cospargevano l'intero pavimento, raccolsi la foto che giaceva ancora ai miei piedi. Guardai il suo volto e non potei far a meno di ricordarmi di tutti i momenti in cui Edith aveva sorriso. Due sorrisi così diversi. Stesse labbra rosee, storie differenti da raccontare.
Mi maledissi, perché ero nuovamente stato soggiogato da quella meravigliosa donna.
Ero di nuovo caduto nella trappola dell'amore.
***
Iria
Decidemmo di lasciare Edith e Azrael da soli, in modo che potessero parlare. Appena vidi Edith nella stanza con quell'espressione in viso capii che ci fosse qualcosa che non andava. Solo dopo compresi che aveva scoperto la verità, e con lei anche Mike e Chris.
Non sapevo cosa dire. A vederli, in quel momento, mi si strinse il cuore e i miei occhi si inumidirono. Loro mi guardarono confusi, non sapendo tutta la verità, ancora in assenza dei loro ricordi.
Erano cupi mietitori e non dovevano rammentare, ma non riuscii a resistere. Abbracciai prima Mike, il mio amato fratello, e che ricambiò ancora frastornato. Mi staccai da lui e osservai gli occhi blu simili al mare che tanto amavamo.
«Cosa sta succedendo? Iria, stai bene? Azrael ti ha fatto qualcosa?» domandò Chris, preoccupato, avvicinandosi a me.
«Mi ha restituito i miei ricordi» confessai, per poi posare una mano tremante sulla sua morbida guancia.
«Cosa?»
«Azrael mi ha ridato i ricordi della mia vita precedente» ripetei con un sorriso emozionato.
«Non te li ha cancellati?» domandò scettico.
Scossi la testa per negare
«Quindi tu ricordi tutto ciò che ti è accaduto?»
«Sì...» ammisi, per poi vedere la figura di Azrael avvicinarsi a noi. «Dov'è Edith?» domandai notando che non lo aveva seguito.
«Se n'è andata» replicò con freddezza, quindi abbassò lo sguardo infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Avresti la cortesia di spiegare anche a noi quella foto?» domandò Chris rivolto all'angelo.
Azrael fece ciò che aveva fatto con me: schioccò le dita e i due cupi mietitori dovettero sorreggersi al muro per non cadere a terra a causa del mal di testa.
Un istante dopo, i loro sguardi sconvolti mi guardarono in modi diversi. Mike aveva le lacrime agli occhi e poco dopo mi ritrovai stretta tra le sue braccia.
«Mi sei mancata, sorellina.»
A quel nomignolo, il mio cuore ebbe un sussulto. Ero davvero sua sorella? In fondo, la Iria che conosceva lui era morta.
Mi voltai verso Azrael, che annuì con un cenno della testa. «Siete effettivamente fratelli. Se lui non fosse stato un cupo mietitore, si sarebbe reincarnato e sareste stati fratelli in questa epoca. Avreste avuto gli stessi genitori, in fondo» spiegò guardandomi e sorridendomi con un velo di malinconia.
Poi mi voltai verso Chris, che era rimasto come pietrificato. Camminò verso di me e mi strinse tra le sue braccia. Gli accarezzai la schiena in un gesto amorevole.
«Ti avevo persa, Iria. Te ne eri andata e mi avevi lasciato per sempre» sussurrò, la voce ovattata dai miei capelli.
«Io non sono quell'Iria, Chris. Anche se mi ricordo di ciò che abbiamo passato insieme, non sono la donna che hai sposato. Quell'Iria è morta insieme a quel Chris. Adesso siamo delle persone nuove. Io sono una dama di corte e tu un cupo mietitore, niente è come lo era un tempo» affermai, divincolandomi dall'abbraccio.
«Se niente è come lo era un tempo, mi sapresti dire perché sono finito per innamorarmi di nuovo di te?» dichiarò convinto.
Percepii il cedimento delle mie gambe. Chris era innamorato di me?
Non mi diede neanche il tempo di proferire parola, che si fiondò sulle mie labbra. Non era un bacio dolce, bensì era uno scontro disperato, come se si fosse appena liberato di un peso che lo schiacciava. E io lo ricambiai, perché provavo lo stesso per lui.
«Sai, ho passato anni, addirittura secoli, provando un vuoto dentro di me. Un vuoto che non riuscivo a capire perché esistesse e che non riuscivo a colmare. Di mattina, quando il sole brillava in cielo. Durante il crepuscolo, quando il sole ci abbandonava e di notte, quando le stelle danzavano. Pensavo in continuazione a quel vuoto. Era una sensazione inusuale e opprimente, quasi... triste» mi sussurrò a fior di labbra, dopo essersi staccato da me. «Eri tu, Iria. Eri tu quel vuoto che sentivo, quella parte che mi mancava. Il tuo ricordo era svanito, ma il mio cuore e la mia anima ti ricordavano, ti amavano. Non hanno mai smesso di farlo.»
Non mi importava se ero una creatura mortale e lui no. L'unica cosa rilevante era di essere finalmente appagata e contenta dopo tanti anni.
E con Chris lo ero. Lui era la mia felicità ritrovata.